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Che stupore Stupinigi

  • Pubblicato il: 09/12/2011 - 09:22
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Barbara Antonetto
Anticamera di gusto rocaille

Stupinigi (Torino). La «Corona di delitiae»: l’ultima delle residenze costruite dai Savoia, la Palazzina di Caccia di Stupinigi alle porte di Torino, è quella cui più si addice la definizione di luogo del loisir in quanto, attraverso la composizione armoniosa di tutte le espressioni più significative del Settecento, rappresenta una mirabile testimonianza dello spirito barocco e di uno stile di vita improntata alla levità, al piacere, alle feste, al vivere in villa e non più in castello.
Commissionata da Vittorio Amedeo II per lo svago preferito della corte, quello venatorio, rappresenta l’approdo al luogo ameno grazie all’estro creativo di Filippo Juvarra, esperto di teatro prima che di architettura, che nella pianura boscosa appartenente all’Ordine Mauriziano (di cui il sovrano era Gran Maestro) è libero come a Superga di inventare dal nulla, anziché intervenire sul preesistente come negli altri lavori per i Savoia.
L’idea è geniale: una forma stellare con un grande salone centrale ellittico dal quale partono quattro braccia a croce di sant’Andrea; le due braccia verso Torino si allungano in due porticati (poi chiusi in gallerie) e ancora in due corpi di fabbrica che chiudono a tenaglia il cortile d’onore. Il risultato, ben descritto dai viaggiatori del Grand Tour, è un’architettura leggiadra e ariosa che appare con effetto a sorpresa al fondo di un rettifilo alberato. Intorno il parco e poi il bosco secondo il nuovo gusto pittoresco per la natura che aveva abbandonato labirinti, sculture e fontane del giardino seicentesco. Il teatro della meraviglia continua all’interno, dove la natura entra attraverso gli artifici dell’arte. Juvarra fu regista fin nei minimi dettagli della decorazione che affidò a una squadra di scultori, intagliatori, stuccatori, artigiani e pittori, molti dei quali forestieri: il veneto Giovanni Battista Crosato, il francese Carlo Andrea Van Loo, l’emiliano Gerolamo Mengozzi Colonna e i bolognesi Giuseppe e Domenico Valeriani che danno prova dei loro virtuosismi illusionistici con le finte architetture affrescate nel salone centrale dove la luce, come in molte architetture juvarriane, gioca un ruolo di primo piano entrando attraverso ampi finestroni. Cinque anni dopo la posa della prima pietra nel 1729, la decorazione è conclusa e Juvarra parte per Madrid, ma il cantiere della Palazzina, diretto dall’inizio e per 42 anni da Giovanni Tommaso Prunotto e successivamente da Ludovico Bo, prosegue con una serie di ampliamenti progettati nello spirito del messinese da Benedetto Alfieri e Ignazio Birago di Borgaro. Agli Appartamenti del re e della regina si aggiungono, con due corpi che si spingono nel giardino, quelli dei duchi, i figli di Carlo Emanuele III che amò Stupinigi forse ancor più del padre. È con il restauro complessivo (boiserie, stucchi, dipinti, carte cinesi, tappezzeria in seta, arredi, sovrapporte, paracamini...) dell’Appartamento del duca di Chiablese, altrimenti detto di Levante, che la Palazzina di Caccia lo scorso 19 novembre ha riaperto al pubblico dopo quasi sei anni. Anna Maria Bava e Franco Gualano hanno studiato un progetto museologico che ne rispetta entrambe le anime: quella di residenza che conserva arredi originali (uno per tutti la vasca da bagno di Paolina Bonaparte) e quello di Museo dell’Ammobiliamento, allestito nel 1919 con opere dei massimi ebanisti piemontesi (Luigi Prinotto, Pietro Piffetti, Giovanni Galletti, Giuseppe Maria Bonzanigo...), molte delle quali trafugate nel 2004, ma poi recuperate e restaurate presso il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale.
L’allestimento mette in evidenza di volta in volta il gusto per la rocaille (molto particolare la volta realizzata con specchi e pitture a finte porcellane) o quello per l’esotismo (evidente nei Gabinetti cinesi o nei pannelli con uccelli esotici dipinti da Christian Wehrlin per la Sala da gioco). Il percorso di visita comprende anche l’antica scuderia juvarriana, antibiblioteca e biblioteca, la galleria di levante (in cui sono esposte copie in gesso dei trofei venatori marmorei di Ignazio e Filippo Collino collocati sulle balaustre della croce di sant’Andrea) e la Sala degli scudieri con le vedute di caccia di Vittorio Amedeo Cignaroli.
Nella scuderia un percorso di pannelli dal titolo «Tempo primo. Tesori ritrovati» racconta il recupero della Palazzina a partire dagli anni Ottanta, un’impresa quantificabile in 38 milioni di euro che ha visto la collaborazione di enti pubblici, il Ministero per i Beni culturali con le due Soprintendenze e la Regione Piemonte, e privati: la Consulta per la Valorizzazione dei Beni artistici e culturali di Torino, la Compagnia di San Paolo e, principale sostenitore con ben 18 milioni di euro, la Cassa di Risparmio di Torino poi Fondazione Crt, che nel 1986 istituì la Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi con la Fiat, poi uscita, e l’Ordine Mauriziano, proprietario dell’edificio. La Fondazione Palazzina, che si avvale di un comitato scientifico presieduto da Mario Verdun e di cui fa parte Andreina Griseri, da allora coordina i lavori di recupero su progetto di Aimaro Isola, Roberto Gabetti, Maurizio e Chiara Momo. I primi interventi hanno risolto problemi statici, di umidità di risalita e di dotazione impiantistica (per non compromettere l’aspetto di residenza gli impianti sono stati collocati sotto i pavimenti); si è quindi passati al restauro delle facciate verso Torino, del corpo centrale e della cupola sormontata dal cervo in bronzo, rame e foglia d’oro di Francesco Ladatte (l’originale si può osservare nel percorso di visita circondato dai dodici medaglioni lignei con le effigi dei primi conti della genealogia sabauda rinvenuti negli spazi ipogei, che verranno aperti al pubblico). Ma a un «Tempo primo» dovrà seguire un «Tempo secondo»: il restauro delle facciate verso il parco e la riapertura degli altri appartamenti: la Fondazione Crt è già in prima linea, ma non basterà, come hanno sottolineato Giovanni Zanetti e Cristiana Maccagno della Fondazione Ordine Mauriziano, che ha ereditato il patrimonio dell’Ordine (la Palazzina di Stupinigi e le abbazie di Sant’Antonio di Ranverso e di Staffarda), nonché i debiti della grave crisi economica dell’Ospedale Mauriziano passato alla gestione regionale.

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da Il Giornale dell'Arte numero 315, dicembre 2011