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Ca’ Pesaro rivoluzionata

  • Pubblicato il: 19/07/2013 - 13:26
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Lidia Panzeri

Venezia. L’aver riunito, all’ingresso del salone del primo piano di Ca’ Pesaro (il museo d’arte moderna parte della Fondazione Musei Civici veneziani), le sculture di tre grandi autori, peraltro molto diversi tra loro, è un «coup de théatre» che dà subito il segnale del cambiamento. Si tratta di «I borghesi di Calais» (1889) di August Rodin, di due cere di Medardo Rosso e di una maschera di Adolfo Wildt. In concomitanza con l’inaugurazione della Biennale, infatti, l’intero percorso del museo è stato ripensato da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici, e da Daniela Ferretti, responsabile di Ca’ Pesaro e degli allestimenti degli stessi musei. Il riallestimento propone una nuova lettura delle opere, alcune delle quali rimosse, altre acquisite con prestiti a lungo termine di autori come Boccioni, De Pisis, Sironi, Burri e Morandi, ma soprattutto messe a colloquio tra loro (proprio «Colloqui» è il titolo di questa operazione), per affinità stilistiche e culturali.
Così da osare il raffronto, ad esempio, tra un nome prettamente veneziano come Giacomo Favretto e maestri riconosciuti di fine Ottocento come Ignacio Zuloaga, Max Liebermann o Giuseppe De Nittis. Sono 15 le sezioni individuate secondo un duplice criterio, insieme cronologico e tematico, tra le quali «Dal Verismo alla Belle Époque»; «Tra simbolismi e secessioni», con Klimt e Franz von Stuck; «Risonanze metafisiche», protagonista De Chirico; «Surrealismi e Astrazioni» (Ernst e Tanguy versus Arp e Tàpies). Con qualche gemma isolata come la sezione omaggio dedicata alla Secessione veneziana di Ca’ Pesaro e ai suoi interpreti Semeghini, Martini, Rossi. Certo è un racconto, perché tale vuole essere, non esaustivo della storia del Novecento, a cui mancano alcuni tasselli fondamentali, come quello relativo al Futurismo, ma che nello stesso tempo supera il limite costituito dall’iniziale origine della collezione: le opere acquistate in occasione delle diverse edizioni della Biennale. Fino agli anni Sessanta, quando tutto si interruppe. Non a caso la sala conclusiva si riferisce a quegli anni: intitolata «Forma e Materia», mostra da una parte Alberto Burri ed Emilio Vedova, dall’altra Tàpies e Rauschenberg. Per ora. È infatti in atto, da parte di Gabriella Belli, una strategia a lungo termine finalizzata ad acquisire opere di artisti contemporanei.
Va in questa direzione l’attuale esposizione, al secondo piano nobile, della collezione Sonnabend, a cui seguirà in autunno quella di Panza di Biumo. In attesa di individuare (all’Arsenale Nord?) una sede per un museo d’arte contemporanea, di cui la città della Biennale è paradossalmente priva.

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da Il Giornale dell'Arte numero 333, luglio 2013