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Alla Fondazione Palazzo Ducale di Genova, la Storia dei Consumi Culturali

  • Pubblicato il: 29/04/2016 - 12:08
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Ginevra Domenichini

Molti gli ospiti italiani e stranieri che hanno affrontato il tema nelle sue diverse accezioni – artistica, culturale, storica, sociologica, economica- per la settima edizione de «La Storia in Piazza»
 
 
Genova. L’evoluzione dei consumi culturali, del mercato e della produzione culturale sono il cuore del dibattito tenutosi a Genova dal 7 al 10 aprile in occasione de «La Storia in Piazza». La manifestazione, giunta alla sua settima edizione, affronta il tema dandone diverse chiavi di lettura e ripercorrendo il periodo che va dalla fine del ‘700 ai giorni nostri. Lo spirito che anima la rassegna, nelle parole di Luca Borzani, Presidente della Fondazione Palazzo Ducale ente organizzatore e promotore della manifestazione -insieme a Comune di Genova, Centro Culturale Primo Levi, Università di Genova- è di <<ricostruire le ragioni storiche e le grandi trasformazioni avvenute nel settore per offrire strumenti che aiutino a leggere meglio l’oggi, a capire criticamente il nostro modo di rapportarci quotidianamente con i contenuti culturali e i canali di comunicazione>>. L’argomento infatti non soltanto coinvolge direttamente la nostra quotidianità –attraverso il modo in cui fruiamo del cinema, della televisione, della radio, della rete….- ma interessa, per i suoi risvolti, l’economia e la società contemporanea e le innovazioni tecnologiche: basti pensare al valore prodotto dalle industrie culturali e creative sul piano reddituale e occupazionale, alla democratizzazione della cultura, a quanto anche l’evoluzione delle tecnologie in ambito culturale sia interconnessa con il passaggio da un modello industriale ad uno post-industriale. In quest’ottica Genova è un esempio di come i cambiati consumi culturali e il legame sempre più intenso tra cultura e turismo siano, insieme ad altri fattori, capaci di trasformare l’immagine e il tessuto economico di un territorio, come nel caso, ad esempio, di Bilbao e Torino.
 
 
 
Donald Sassoon, Professore emerito al Queen Mary College di Londra e curatore de «La Storia in Piazza» -con Paolo Battifora, Luca Borzani, Alessandro Cavalli, Piero Dello Strologo, Ferdinando Fasce, Antonio Gibelli, Osvaldo Raggio- ha aperto i quattro giorni di dibattito con una approfondita panoramica sui mercati culturali dall’800 ad oggi, evidenziando i cambiamenti avvenuti, primi tra tutti, le tre innovazioni che tra il 1880 e il 1903 hanno posto le basi per il fiorire dell’industria culturale. Se fino ad allora infatti il consumo era legato all’acquisto di libri, di spartiti da suonare a casa e al frequentare sale da concerto e chiese dove ascoltare buona musica,  la sopravvenuta possibilità, alla fine dell’Ottocento, di comunicare a distanza, grazie alla radio, di registrare il suono, grazie al grammofono e di creare immagini in movimento attraverso il cinema producono una vera rivoluzione tanto nel modo di produrre quanto di fruire della cultura. La diffusione delle suddette innovazioni tecnologiche e, insieme, della stampa e dei fumetti concorrono, tra l’altro, al dominio della cultura Americana nel ‘900, influenzata nella sua crescita, secondo Sassoon, anche dalle grandi dimensioni del mercato USA e dal suo essere forgiato sui gusti di una popolazione multietnica e diversificata. Aspetti che lo rendono competitivo rispetto ai vari paesi del vecchio continente, dove l’offerta è più piccola e legata alla cultura nazionale identitaria. L’analisi prosegue ripercorrendo i vari fattori che hanno portato alla espansione dei consumi fino ad arrivare alla contemporaneità dove, tra le sue varie sfaccettature: la televisione rappresenta il primo prodotto culturale fruito; la musica si può ascoltare ovunque in streaming –mettendo in difficoltà le industrie discografiche e facendo invece guadagnare i produttori di apparecchi acustici, di riproduzione etc.; e il world wide web moltiplica i produttori e gli elementi comuni della attuale cultura globale. 
Altrettanto interessante l’appuntamento con Giovanna Segre, Professore Associato alla Università IUAV di Venezia, sul concetto di economia della cultura e sul suo ruolo rispetto allo sviluppo dei territori. Partendo dai dati pubblicati nello studio commissionato nel 2003 dalla Commissione Europea, «L’Economia della Cultura in Europa», e dalla ricerca «Io sono cultura», curata dalla Fondazione Symbola nel 2015 si è mostrato chiaramente quanto il settore sia oggi, come dieci anni fa, tutt’altro che marginale per l’economia. Nel 2003 contava infatti il 2,6% del PIL europeo con 6 milioni di lavoratori, nel 2014 in Italia, la ricchezza prodotta corrisponde al 5,5% del PIL e gli occupati sono 1 milione e mezzo. Cifre, queste ultime, sottolinea Segre, al ribasso poiché considerano le sole imprese attive in ambito culturale escludendo il settore pubblico e il non profit. Il dato ancora più rilevante si trova però nella concezione di cultura come settore ampio, diversificato che comprende non solo il patrimonio storico-artistico ma anche quei comparti che sulla cultura e la creatività si fondano per creare beni e servizi altri destinati al largo consumo. Tra questi l’enogastronomia, la moda, il design ma anche il cinema, la tv, la radio, i videogame ovvero il più ampio settore dei computer e software. Nonostante vi sia ancora dibattito sulla loro inclusione nel settore culturale e creativo, il caso delle Langhe-Roero e del Monferrato, elette nel 2014 patrimonio dell’UNESCO, rappresenta un emblema di come l’enogastronomia, se concepita e prodotta rispettando le tradizioni e il territorio, possa essere considerata una testimonianza della storia e specificità di un luogo, del profondo legame tra il territorio, il patrimonio costruito degli insediamenti, l'attività agricola e il paesaggio. Lanciando poi uno sguardo al futuro, affinché questo stock di beni possa mettere in moto processi di sviluppo sociale ed economico, la direzione nella quale orientarsi è rappresentata dal modello Atmosfera Creativa, coniato da Santagata e Bertacchini nello studio dal titolo omonimo. Secondo gli Autori, il macrosettore culturale-creativo può diventare un attivatore per lo sviluppo locale quando, data la sua concentrazione all’interno di un distretto, le reti di relazioni economiche e sociali generate tra i diversi attori privati ed istituzionali sono in grado di produrre una intensa circolazione di idee e produzione di prodotti, espressioni artistiche, bisogni dei consumatori, innovazioni tecnologiche, modelli di business, design industriale e ricerca della qualità ovvero una creatività diffusa.
Sempre sul fronte economico, Matteo Melley, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia e Vice Presidente dell'Acri, insieme al Direttore del Piccolo di Milano, Sergio Escobar, hanno discusso sul rapporto sponsor-sponsee e sulle opportunità offerte dall’essere partner. In proposito Escobar, ripercorrendo la sua personale esperienza, ha ricordato di quando trovò lo statuto del 1947 del Piccolo, che contava tra i soci fondatori dell’Ente, anche un insieme di importanti imprese: IBM, Pirelli, Edison, Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Esempio della coincidenza tra interesse privato e pubblico in un momento in cui era necessità di entrambe migliorare le condizioni di vita del Paese, aspramente colpito dalla guerra.  Negli anni ’80 le imprese scoprono un rinnovato interesse verso la cultura e, ad esempio La Scala avvia rapporti con Parmalat ed Eni. Per le Fondazioni di Origine Bancaria invece, ricorda Melley, «l’origine delle sponsorizzazioni è legata ai beni più che alle attività, in particolare ai restauri. Oggi, non avendo l’esigenza di ottenere un ritorno immediato dai propri interventi, le Fondazioni tendono piuttosto a rivestire il ruolo di partner ovvero di chi analizza il territorio per capire i suoi bisogni e come questi possono essere colmati, in dialogo con le istituzioni del territorio. Sono degli investitori pazienti». Questo ruolo non è però esente da difficoltà relazionali e incomprensioni a volte tali da precludere l’avvio dei progetti; in questi casi, la Fondazione tende a fare da sola, ad operare in proprio, come per il Festival della Mente promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, nato per «scuotere la società, il territorio. Ora l’Italia ha bisogno di interventi che attraverso la valorizzazione di un bene possano fare rinascere una comunità». Secondo Escobar, anche per le imprese la chiave sta nelle partnership che si instaurano quando il linguaggio di queste ultime incontra quello dell’ente culturale. Accadde nel 2006, in occasione del centenario della nascita di Enrico Mattei, quando l’Eni e il Piccolo di Milano diedero vita ad uno spettacolo teatrale su questa complessa figura grazie anche ad uno stretto lavoro con l’archivio storico della società.
 
Molti altri ospiti italiani e stranieri hanno reso ricco e variegato il caleidoscopio di temi affrontati durante il Festival. Tra questi l’intervento dell’economista Paola Dubini sull’industria culturale, quello dell’antropologo Francesco Remotti sul rapporto tra cultura e mercato in chiave storica e l’affollatissima l’intervista a Ken Follett sulla sua esperienza di scrittore di fama internazionale.
Quest’anno poi, per la prima volta, il Festival ha dedicato una sezione a scuole e famiglie e più di 7mila ragazzi e bambini hanno partecipato ai laboratori così come tantissime sono le persone che hanno assistito alle relazioni.
Per continuare a riflettere su questi temi e nella speranza di alimentare una discussione pubblica sempre più vivace e aggiornata in Italia sui mercati della cultura, tutti gli interventi de «La Storia in Piazza» possono essere ascoltati nella sezione Audio Gallery del sito di Palazzo Ducale, in streaming appunto!
 

 
Didascalie immagini
1 – Facciata di Palazzo Ducale in occasione de La Storia in Piazza