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Addio a Paolo Rosa, anima di Studio Azzurro

  • Pubblicato il: 22/08/2013 - 15:52
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Francesca Romana Morelli
 Paolo Rosa

Milano. «"L'Arte fuori di sé" è il titolo dell'ultimo libro scritto da Paolo prima di lasciarci. Pensiamo, unendoci per lui in un unico abbraccio, che questo possa essere un bel saluto per uno spirito libero come il suo che vive indifferentemente in terra e in cielo». È il saluto che Studio Azzurro porge a Paolo Rosa morto d'infarto il 20 agosto a Corfù. Insieme ai due compagni d’avventura Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi, Rosa era stato infatti uno dei fondatori dello Studio, pioniere in Italia della video arte e delle video ambientazioni interattive.
Nato a Rimini, Rosa non aveva ancora compiuto 64 anni, e presto aveva eletto Milano come sua città di residenza e di lavoro; nel 2005 aveva impiantato il suo studio dove lavoravano molti specialisti e giovani nella Fabbrica del Vapore. Importante per lui l’attività didattica: dirigeva  il Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate dell’Accademia di Brera a Milano; allo Iuav di Venezia era professore a contratto di Tecnologie e processi. Nell’ultima Biennale d'arti Visive, insieme al collettivo, è stato autore della stanza della Creazione, debutto del Vaticano a Venezia.

Paolo Rosa aveva sempre accompagnato l’impegno professionale con quello civile e politico,  come intellettuale militante, che pensava al suo lavoro come un mezzo per rivitalizzare e comunicare i valori di una comunità di una cellula sociale, compreso lo storico manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma, il passato di una civiltà, in particolare quella mediterranea.  Nell’impiego di mezzi teconologici sofisticati nel lavoro, non aveva permesso che questi prendessero il sopravvento rispetto ai contenuti, al pensiero; con Studio Azzurro ha anche convertito tecnologie usate fino a quel momento per scopi bellici. In un catalogo del 1999, Studio Azzurro, ambienti sensibili, scrive: « Si può parlare di sparizione dell’arte, domandarsi se è davvero così scontato che l’arte debba esistere- come ha fatto Jacques Derrida nel workshop che con lui e Carlo Sini abbiamo tenuto a Meina lo scorso anno- si può trasformare in paradosso il concetto dell’arte (la televisione è la grande opera  d’arte di questo secolo, si è sentito dire), si può pensare che tutto sia ormai arte (che è il miglior modo per pensare che non esista). Più semplicemente crediamo che il concetto di arte sia un concetto mobile, come quello di democrazia in fondo, cioè si modifichi nel tempo, cambi fisionomia, muti collegandosi alle caratteristiche delle epoche in cui si manifesta. (…) Solo così essa, fuori dalla cristallizzazione, dalla genericità e dai paradossi, può esprimere il senso di una sua necessità, può trovare la vitalità per essere protagonista di un’epoca, può diversificare  la sua identità e la sua funzione rispetto ai criteri dominanti».

da Il giornale dell'Arte, edizione online, 22 agosto 2013