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Catacombe, una possibile soluzione

  • Pubblicato il: 15/11/2018 - 08:00
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Marco D’Isanto
Non tutti i mali vengono per nuocere. O almeno lo si spera. La vicenda delle Catacombe di San Gennaro che in questi giorni sta facendo molto discutere deve imporci alcuni ragionamenti.
La vicenda vede protagonisti i giovani della Cooperativa la Paranza, nata su impulso di un progetto di recupero e valorizzazione delle catacombe patrocinato dal visionario parroco della sanità Antonio Loffredo, e la Pontificia commissione per l’archeologia Sacra presieduta  dal Cardinale Gianfranco Ravasi. E’ noto che l’autorità ecclesiastica rivendichi il pagamento delle royalties in ossequio ad una Convenzione che prevede che il 50% dei proventi derivanti dagli ingressi alle Catacombe italiane vengano destinati alla Pontificia commissione per finalità di restauro degli stessi beni ecclesiastici.

E’ di tutta evidenza che una richiesta di questo tipo vanificherebbe la possibilità che la Cooperativa possa continuare a svolgere la sua attività. Il contributo chiesto dal Vaticano sarebbe infatti compatibile solo con una attività di tipo volontario e non con un progetto, come quello realizzato a Napoli, che ad oggi dà lavoro a circa 50 giovani professionisti e che ha valorizzato a tal punto il bene da incrementare il numero dei visitatori dai 5 mila del 2008 ai circa 150 mila nel 2018, collocando le Catacombe di San Gennaro tra i monumenti più visitati di Napoli.

Cosa può insegnarci questa vicenda? Due cose. La prima è che a Napoli si è realizzato un esperimento di successo in uno dei quartieri più difficili della città. La seconda è che questa strada nuova abbia indotto il Vaticano più che ad esplorare le potenzialità contenute in questo esperimento di innovazione sociale e culturale a contenerlo per ricondurre la gestione dei beni ecclesiastici ad un consolidato ma vecchio schema.

E’ stato proprio questo giornale a condurre nel 2013 una inchiesta sulle chiese abbandonate di Napoli: si contano almeno 200 immobili ecclesiastici, alcuni dei quali autentici gioielli architettonici, in preda al degrado e all’incuria. Un patrimonio enorme che se fosse valorizzato adeguatamente rappresenterebbe uno dei più imponenti interventi in campo culturale della  città di Napoli negli ultimi decenni. L’esperienza delle Catacombe di San Gennaro dimostra che questo processo può dare esiti fruttuosi sia alla Chiesa di Roma che, come notava sulle colonne di questo giornale Stefano Consiglio, potrebbe veder rivalutato una parte importante del patrimonio ecclesiastico partenopeo e sia alle centinaia di giovani professionisti della cultura che potrebbero così sperimentare progetti in campo culturale conservando e tutelando la storia di quei siti.

Il gruppo di lavoro cresciuto intorno alle catacombe di San Gennaro potrebbe essere un incubatore di nuovi progetti: la stessa Curia potrebbe prevedere nella Convenzione con la Cooperativa la Paranza questo impegno formativo a favore delle nuove iniziative.

Le istituzioni locali, a cominciare dalla Regione, non possono sentirsi estranee a questo dibattito: potrebbero destinare parte delle risorse destinate alla cultura, come in parte già fatto nel recente bando sulle Imprese Culturali, per finanziare progetti di riqualificazione dei beni ecclesiastici e dei beni culturali pubblici inutilizzati.

Non si tratta di alzare barricate: Napoli è attraversata storicamente da tensioni emotive che troppo spesso conducono ad esiti infruttuosi. Lo sanno bene innanzitutto i protagonisti di questa vicenda, e cioè gli autori del progetto della Sanità, che si sono contraddistinti finora per la loro sobrietà.

Anche il progetto di recupero del complesso monumentale dei Gerolomini, dalla cui biblioteca  sono stati trafugati migliaia di volumi antichi e rari, ha sottratto un gioiello di rara bellezza al degrado. Il progetto delle Catacombe di Napoli può indicare alla Chiesa un nuovo modo di gestire i propri beni inutilizzati. E come suggerisce la Bibbia: La fede è una certezza di cose che si sperano, e dimostrazione di cose che non si vedono.

Pubblicato sul Corriere il 14 Novembre 2018

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