Musei, idee per il rilancio
Roma. Siamo tutti consapevoli che i Musei sono tra gli attori principali della grande fabbrica della cultura italiana, (5000 musei sparsi su tutta la superficie di cui 424 dello Stato), un’azienda che occupa centinaia di miglia di lavoratori fissi, per non dire di tutti i professionisti che a vario titolo sono coinvolti nella vita delle nostre istituzioni.
In questi anni recenti la crisi ha aggravato pesantemente lo stato economico in cui i musei operano, apportando tagli spesso così pesanti da non permettere in taluni casi neppure la sopravvivenza degli enti, e molto spesso l’azione di tutela e conservazione del nostro patrimonio. Non parliamo della valorizzazione, che è sempre più residuale.
Tutti noi siamo consapevoli d’aver ereditato uno dei patrimoni di arte e architettura tra i più significativi del mondo e per questi valori siamo riconosciuti nel mondo. L’Italia è meta di un turismo culturale sempre più allargato, che rappresenta un’importante voce del nostro bilancio. In questo scenario i musei sono mete ovviamente molto ambite e rappresentano per lo più il punto d’attrazione massima delle città d’arte e oggi, grazie alla nascita di molti musei d’arte contemporanea, anche l’attrazione di luoghi non necessariamente dotati dal punto storico-artistico, ambientale o monumentale.
Se guardiamo all’azione dei legislatori che ci hanno preceduto, possiamo dire per estrema sintesi, che nel secolo appena passato abbiamo prima codificato la vita dei musei con opportuni strumenti legislativi che hanno messo al centro la tutela e la conservazione. Poi, in anni più recenti, ne abbiamo modernizzato la fisionomia dotandoli (spesso anche con grande fatica) di servizi per il pubblico e ne abbiamo valorizzato l’aspetto esperienziale e formativo nel campo delle diverse discipline. Infine, proprio quando ha preso piede la consapevolezza del valore strategico del museo nel campo della così detta economia della cultura, ecco che via via li abbiamo sottoposti a tagli sempre più consistenti, e oggi i nostri musei faticano perfino a svolgere quella funzione culturale che è la ragione stessa per cui sono diventati fonte di economia.
Non si vive di rendita, lo dice tutto il sistema economico internazionale, e perché i musei e la cultura in genere dovrebbero farlo? Bisogna essere consapevoli che oggi i musei non possono più vivere solo di rendita di posizione o del proprio patrimonio. Se non si provvederà attraverso un piano strategico a rifondare l’intero sistema, su nuove efficienze, nuove dotazioni economiche, nuove designazioni giuridiche, nuove relazioni con il privato e soprattutto un rinnovato interesse per il valore etico che la cultura rappresenta, ci sarà un tempo in cui saremo fuori dalla competizione culturale internazionale.
Oggi i nostri competitori in Europa ci hanno superato nel campo dei servizi al pubblico, della tecnologia, dell’accessibilità, delle strutture, per l’arte contemporanea anche della patrimonializzazione di opere del nostro tempo presente, del green museum, l’ultima frontiera della museografia internazionale. Il confronto è stringente, e non si gioca più soltanto sull’eccezionalità del patrimonio, ma si gioca nel campo a fianco, in quello dove tutti partono uguali e vincono i nuovi talenti, la nuova ingegneria culturale fatta di capacità imprenditoriale, di reti internazionali, di rinnovamento delle strutture e dell’offerta per il grande pubblico, e lì la battaglia per far rimanere il nostro Paese nei primi posti delle scelte del turismo culturale, è davvero dura.
Se partiamo dal presupposto che il museo nell’assolvere alla propria missione, di trasformazione valoriale della società civile, può innescare un processo economico virtuoso, dunque se parliamo del museo e della sua produzione culturale come leva del sistema economico, non possiamo forse immaginare uno scenario nel quale i decisori politici riaprano l’agenda di governo per introdurre quelle necessarie modifiche e tutele a garanzie del patrimonio e dell’azione culturale del Paese?
Il mondo dei musei è più vivo che mai e vuole assumere la responsabilità di diventare uno degli attori del cambiamento e della modernizzazione, ma anche della competizione internazionale, al fianco di imprese e privati che vogliano condividere questa sfida, che potrebbe portarci ad un nuovo modello di sviluppo.
Dunque che fare? Quali potrebbero essere gli strumenti giuridici ma anche organizzativi per sostenere lo sforzo dei musei verso una nuova imprenditorialità, che tuteli la missione culturale, ma ne ampli il risultato economico?
E’ evidente che dobbiamo riscrivere le regole che hanno fin qui governato la vita delle istituzioni del nostro Paese. Ecco di seguito alcune azioni che ritengo fondamentali per andare verso un modello di sviluppo del Paese che metta al centro la grande fabbrica della Cultura
Ne elenco alcune:
Continuità della governance: i vertici della maggior parte dei musei italiani sono di nomina politica e dunque strettamente legati alla vita delle amministrazioni pubbliche. Non si discute la nomina politica, cosa che avviene anche per le grandi istituzioni per esempio francesi o tedesche, ma è certo che la selezione deve avvenire sulla base del merito professionale. L’accesso ai ruoli di vertice deve avvenire solo attraverso selezioni che valutino il talento, la competenza scientifica e nel caso dei vertici della governance l’alto profilo professionale e il lavoro svolto, anche se in ambiti imprenditoriali diversi da quelli specificatamente culturali. La governance dovrebbe rimanere in carica per almeno 5 anni per permettere una seria programmazione e la sua nomina non dovrebbe coincidere con le elezioni politiche delle diverse amministrazioni di riferimento. L’operato della governance scientifica e amministrativa deve essere oggetto costante di valutazione di risultato.
Certezza dell’investimento: attualmente la maggior parte delle istituzioni culturali vivono costantemente nell’incertezza di bilancio. Se vogliamo che i musei siano soggetti produttori di cultura e trovino partner privati disposti a condividere l’onere dell’investimento, dobbiamo cambiare le regole. Per essere soggetti produttori bisogna programmare con almeno tre anni in anticipo, dobbiamo fare in modo che le amministrazioni abbiano una visione compatibile con questo piano di rilancio della funzione economica della cultura e che i trasferimenti destinati ai musei siano dunque blindati nei piani finanziari pluriennali, così da permettere alle singole istituzioni di progettare con quell’anticipo che solo può garantire la permanenza dell’Italia sulla scena della competizione internazionale.
Contenimento della burocrazia: inutile dire che oggi l’azione culturale è vessata da una burocrazia eccessiva, e mi riferisco non tanto ai procedimenti amministrativi interni relativi alla gestione degli enti, quanto ai procedimenti amministrativi che disciplinano la relazione con gli organi competenti dello Stato, che in via definitiva hanno l’ultima parola sulle diverse iniziative che coinvolgono il nostro patrimonio artistico. In questo si ritiene di esprimere un malessere che è degli stessi organi competenti, che alla burocrazia cedono il loro tempo migliore, riducendo sempre più quell’intervento attivo di tutela che nel sistema italiano ha preservato da vere e proprie razzie il nostro patrimonio. Dobbiamo alleggerire le migliaia di carte che compromettono la rapidità delle decisioni, le partnership internazionali, gli scambi culturali dall’Italia verso l’estero, dall’estero verso l’Italia. La revisione delle procedure è improcrastinabile.
Le reti e l’allineamento agli standard internazionali: è pure improcrastinabile la creazione a livello nazionale di filiere di musei (e non necessariamente locati nello stesso territorio) per creare vere economie di scopo, secondo un principio di sussistenza che nel rispetto delle diverse autonomie di missione, supportino le strutture più deboli in tutti i settori imprenditoriali che le difettano. Solo così l’Italia potrà permettersi di mantenere questa straordinaria diffusa musealizzazione del territorio che credo sia una delle grandi attrattive del Paese. La rete permetterà anche l’adeguamento delle nostre istituzioni agli standard internazionali, di cui molto ancora difettiamo, sia nel campo della conservazione e della tutela che in quello dell’accessibilità. Parlo di cose che potrebbero sembrare ovvie ma non è così: condizioni climatiche ottimali per la conservazione del patrimonio, abbattimento delle barriere architettoniche, accessibilità ai contenuti da parte del pubblico, ovvero assoluta priorità per gli aspetti formativi e di comunicazione dei progetti museali.
Progettualità e Programmazione: sono gli strumenti per eccellenza del binomio cultura-economia. Sappiamo che per costruire una rete di scambi con il mondo internazionale sono necessari anni di anticipo. In Italia questo non avviene quasi mai e se avviene è comunque frutto di singole espressioni di volontà, spesso mal ritenute dagli stranieri, che sono ormai abituati a sottoscrivere contratti di partnership rigorosissimi. Sappiamo che i contratti di cooperazione pluriennale ben difficilmente (o diciamo meglio quasi mai) possono essere sottoscritti dai musei italiani, con la grave perdita per esempio di importanti occasioni di collaborazione scientifica alla costruzione di grandi progetti di ricerca o di eventi espositivi. Solo la programmazione può consentire l’accesso ai programmi di finanziamento europeo e la creazione di una vera rete internazionale.
Partnership pubblico-privato: il Pubblico non può retrocedere davanti alla grande partita culturale del Paese e dunque non potrà mai abbandonare il suo ruolo di buon padre di famiglia, e rimanere sempre e comunque proprietario per conto dei cittadini del Patrimonio. Ciò premesso è chiaro ormai a tutti che il sistema ha bisogno di nuove fonti di finanziamento e sicuramente un sistema più ordinato, efficace ed efficiente, che propone certezze di programma e di governance, è potenzialmente un campo interessante per gli investimenti privati. Insieme alla governance o addirittura dentro la governance (questo mi piace di più) i partner privati dovranno dunque avere un ruolo importante per concorrere con le amministrazioni a rafforzare l’assetto finanziario degli Enti, ma anche per partecipare ad un nuovo Progetto Paese, che dovrebbe avere come obbiettivo primario la produzione cultura e l’economia come strumento per raggiungere questo obbiettivo. E’ evidente che lo Stato, chiamando a raccolta il mondo dell’imprenditoria privata, deve avere ben chiaro l’obiettivo strategico di questa partnership, che potrebbe essere il motore del riallineamento dell’Italia alla competizione culturale internazionale. Lo Stato dunque dovrà scrivere regole chiare e mettere in campo a anche alcune leve di scambio, come per esempio migliorare le agevolazioni fiscali, che vorremmo leggere come una sorta di partita di giro.
Formazione: impossibile parlare di economia della cultura in un Paese che pur detenendo una percentuale altissima di beni culturali ha praticamente rinunciato all’insegnamento delle discipline che hanno forti attinenze con il mondo dell’arte e della produzione creativa. La cosa si commenta da sola.
Nuove professioni: cosa possiamo fare per i giovani? Nell’industria culturale dei musei c’è grande domanda di storici dell’arte contemporanea, di curatori di mostre, di manager culturali, di operatori didattici, di registrar, di tecnici informatici, di restauratori specializzati nella conservazione dell’arte contemporanea, di addetti alla logistica, di addetti alla sicurezza, etc. ma tutto è fermo. In questo scenario ogni assunzione pone un problema di spesa, in un quadro riformato sarebbe un investimento e dunque una risorsa per l’economia del Paese.
© Riproduzione riservata