Guggenheim è sempre più mondo
New York. In Italia, ogni giorno, parte l'appello per salvare un'istituzione culturale dalla crisi che la attanaglia. Non in tutto il mondo però, non tutte le istituzioni si trovano nel mare in tempesta. Per Richard Armstrong, da quattro anni a capo del Solomon Guggenheim Museum and Foundation di New York, la crisi del prestigioso museo nato nel 1939 è durata 15 mesi, il tempo per cambiare pelle.
Nel 2017 alle sedi di New York (1,8 milioni di visitatori l'anno), Bilbao (che continua a segnare un milione di visitatori l'anno in una città di pari abitanti) e Venezia si aggiungerà Abu Dhabi, una presenza che rende l'istituzione sempre più globale. «Lavorare su questo museo ci ha dato l’opportunità di rompere il monopolio Europa-Nordamerica», Un'apertura nel segno della profonda evoluzione dell'ente che, secondo il suo direttore in una conversazione con A. Elkann per La Stampa è «diventato un centro di riferimento non solo per l’estetica, ma anche per la politica». Per Armstrong il museo è «un’impresa globale che porta intelligenza da tutto il mondo. Mi sono reso conto in questi anni di come il mondo sia molto più grande oggi».
Una istituzione dinamica che per realizzare una politica internazionale ha stretto rapporti con nuovi partner, impostando una progettualità del tutto innovativa, basata sull'incontro win win dei reciproci obiettivi. Finito il matrimonio con Deutsche Bankitalia a Berlino, «con la svizzera Ubs abbiamo il più grande "grant" di sempre» sul progetto Guggenheim UBS Map-Global Art initiatives. Sul mercato si parla di 70 milioni di euro in 5 anni per attuare una strategia nei Paesi del Bric, divulgando la conoscenza degli artisti dei Paesi emergenti, ospitandoli in residenze a Ny, costruendo un sistema di scambio con i curatori, acquistando opere. Un modo efficace per la banca per penetrare mercati nei quali si sta formando la nuova ricchezza.
Il museo è attrezzato con una squadra di curatori di ogni parte del mondo, Cina compresa. Per questa ragione «abbiamo avuto una donazione molto importante da parte della “Robert H. N. Ho”, una fondazione che sta tra Hong Kong e Vancouver."
Ed è con Bmw che Guggenheim va incontro ai giovani nel mondo. «Inspiring ideas for urban life» è il Lab che, con un edificio itinerante costruito dalla società Atelier Bow-Wow di Tokyo, toccherà sei grandi città , unendo i marchi di museo e impresa. Si tratta di un think tank aperto per stare dove nascono le idee e intercettare i macro trend dell'innovazione. Dopo le esperienze a New York, Berlino e Mumbai annunceranno presto le altre tre città. Una struttura che «cambia ogni volta e svanisce dopo 12 settimane. Abbiamo capito che non si dovevano fare solo mostre di architetti famosi e architetture famose. In questi edifici, infatti, non c’è arte: l’arte è la gente che parla e discute e questo sistema ha avuto un grandissimo successo». Un museo che punta ad un pubblico nuovo, allargato, e giovane, che vada oltre all’élite dell'arte contemporanea. C'è ancora molta strada da fare per «essere più democratici». continua Armstrong e agire un ruolo politico che renda il museo sostenibile nel significato ed economicamente. «La crisi è passata. Si può dire che sia durata in realtà soltanto 15 mesi, negli Stati Uniti. Oggi, invece, ci si deve domandare come sviluppare le nostre entrate finanziarie. Bisogna trovare altre forme e anche un modo più imprenditoriale di gestire il museo stesso . Non si può pensare che siano solo i più abbienti a contribuire». Parola di una realtà che si muove senza finanziamenti pubblici, come nello stile della nazione.
E per il 2014 a 2015, l'edificio di Lloyd Wright di New York parlerà italiano. Nel prossimo gennaio, celebrerà il centenario del Futurismo, con una «mostra gigantesca» alla quale seguirà nell’ottobre dell'anno successivo l'attesa antologica di Burri.
In collaborazione scientifica e finanziaria con gli attori del nostro Paese?