Cultura e mezzogiorno. Una nuova strategia per il paese
Cresce il numero dei visitatori dei musei e siti archeologici italiani ma non nel Sud (nel 2012 appena 7,4 milioni, pari al 20% del totale nazionale, mentre nel Mezzogiorno è presente il 48% dei musei, monumenti e siti archeologici statali); crolla la quota di spesa totale delle famiglie destinata alla cultura (nel Sud soltanto il 5,7% del reddito familiare va alle attività culturali, contro il 7,3% della media nazionale) e, infine, il Mezzogiorno appare in testa alla classifica nazionale per dispersione scolastica. Questi sono solo alcuni dati presentati dal presidente Federculture Roberto Grossi nel suo intervento al convegno «Cultura e Mezzogiorno. Una nuova strategia per il Paese» tenutosi a Bari il 29 ottobre scorso, alla presenza del Presidente della Repubblica.
Proprio la presenza di Giorgio Napolitano è stato lo stimolo per richiamare all’urgenza di compiere scelte necessarie per riaffermare il ruolo strategico della cultura per lo sviluppo del Paese. Perché il Mezzogiorno e la cultura rappresentano un asse indispensabile per la crescita complessiva della società meridionale. Con una crisi economica e sociale che fa sentire il suo peso, la situazione del Mezzogiorno appare drammatica. Una strada possibile da percorrere per tornare a crescere è sfruttare la nostra più grande ricchezza: la nostra cultura.
Il filo rosso che lega la cultura al progresso e al benessere è spezzato. Il filo rosso della cultura, delle idee, delle energie creative. Per uscire dal tunnel però quel filo deve essere riallacciato.. Nessuna crescita nazionale è possibile senza il Sud, come nessuno sviluppo è possibile senza la cultura.
«Il dato storico da cui partire – ha sottolineato Grossi – è la consapevolezza che non c’è sviluppo senza cultura così come non può esserci crescita per il Paese senza un Mezzogiorno forte e capace di sfruttare tutta la sua energia creativa». Anche dal Rapporto Svimez viene fuori un quadro drammatico: siamo di fronte a un processo di ‘desertificazione economica, produttiva ed umana’ che lascia sgomenti. Adesso più che mai il Mezzogiorno appare staccato dal resto dell’Italia, incapace di sfruttare le opportunità che arrivano dall’Europa, incapace di offrire opportunità di crescita ai suoi giovani che fuggono via (5.000 solo nel 2011).
Per non lasciarsi schiacciare dal ruolo, che l’immagine degli sbarchi di Lampedusa ci attribuiscono, di ponte di approdo di un altro Sud ancora più povero e disperato, c’è bisogno di invertire la rotta. Si tratta prima di tutto di cambiare mentalità, modificare comportamenti, c’è bisogno di una nuova idea di Paese in cui bellezza, conoscenza e ricchezza economica possono trovare un nuovo equilibrio.
Il Mezzogiorno ha un’immensa ricchezza che non riesce a gestire: con i suoi 145 siti culturali statali tra musei, monumenti e aree archeologiche pari al 34,3% del patrimonio nazionale più i 111 siti siciliani, il solo Sud rappresenta il 48% del totale italiano. Tra i beni culturali del Meridione 15 sono parte della lista del Patrimonio dell’Umanità, il 30% dei 49 siti Unesco italiani. Il vero problema è la cattiva gestione di questa immensa ricchezza. Certo non mancano esempi virtuosi come il Consorzio del Teatro Pubblico Pugliese o la Fondazione Federico II di Palermo. Qui la giusta collaborazione tra pubblico e privato ha dato i suoi frutti. E’ su questa collaborazione tra diversi livelli istituzionali e tra questi con il privato che occorre puntare anche al fine di evitare di disperdere risorse preziose come avvenuto nel caso del POIN Attrattori Culturali (a fine dicembre 2012 sono stati già stati restituiti a Bruxelles 33,3 milioni di euro!) ed è per questo che Federculture, anche in vista del prossimo ciclo di programmazione 2014/2020, ha lanciato la proposta di un Fondo per la Progettualità Culturale, risorse destinate a favorire la progettazione integrata e partecipata sui territori. Si tratta di un processo che, sperimentato con successo in alcune parti d’Italia e in Europa, può creare le premesse per virtuosi percorsi di valorizzazione e gestione del patrimonio culturale diffuso in tutto il Paese e così presente anche al Sud.
A questo orizzonte occorre agganciare anche la nascente industria culturale e creativa che, nel Mezzogiorno, può e deve rappresentare una straordinaria prospettiva di sviluppo, irrinunciabile per creare nuova occupazione e crescita sostenibile. Le imprese di questo comparto nel Sud producono 12,6 miliardi di euro l’anno di fatturato, il 16% del valore aggiunto complessivo del settore. Basterebbe seguire l’esempio della Puglia, la regione che ha posto proprio la cultura alla base della propria visione dello sviluppo, per immaginare un piano per il Mezzogiorno che favorisca la nascita di reti e incubatori d’imprese creative, artistiche e culturali per rivitalizzare il tessuto imprenditoriale e sociale.
L’Europa può aiutarci per tornare a crescere con la cultura. Ci sono delle occasioni che non si possono perdere, come le opportunità derivanti dal programma Europa Creativa o per la «Capitale Europea della Cultura 2019». Solo del sud sono 11 città candidate su 21. Questa sfida, al di là di chi si aggiudicherà il titolo, rappresenta una straordinaria esperienza di pianificazione strategica e di rigenerazione del tessuto urbano che rilascerà i suoi frutti nel tempo.
Puntare sulla cultura e sulla creatività può dunque rappresentare un’autentica occasione di riscatto per il Sud e per combattere efficacemente le mafie, l’illegalità e il degrado sociale e ricostruire una speranza di futuro per il Mezzogiorno e per il Paese.
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