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La relazione tra pubblico e privato: verso una politica evolutiva

  • Pubblicato il: 10/10/2016 - 19:06
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Roberto Ferrari

Cosa si intende davvero quando si parla di rapporto pubblico-privato? Pensare che logiche private riguardino esclusivamente imprese di profitto, e logiche pubbliche alberghino soltanto nell’ente locale non vale per la Cultura. Ne parla Roberto Ferrari, Direttore Cultura e Ricerca della Regione Toscana, che a Lubec, in una stagione di opportunità che si aprono per la Regione, introdurrà l’incontro dedicato all’Arte Contemporanea

Nel giugno del 1848 Victor Hugo viene eletto all’Assemblea Costituente della II Repubblica, formatasi in conseguenza della insurrezione di inizio anno. In uno dei suoi discorsi parlamentari (10 novembre dello stesso anno), intervenendo nel dibattito sulle modifiche al bilancio afferma: ‘ho già votato e continuerò a votare la maggiore parte delle riduzioni di spesa proposte, ad esclusione di quelle che mi sembrerà inaridiscano le fonti stesse della vita pubblica, e quelle che a fronte di un miglioramento finanziario incerto, mi prospetteranno un errore politico certo’. .. […] Si provvede alla illuminazione delle città, si accendono tutte le sere, ed è una cosa giusta, i lampioni agli incroci e nelle piazze pubbliche; quando dunque si capirà che la notte può scendere anche nel mondo morale, e che bisogna accendere delle fiaccole delle menti? (Victor Hugo[1]).
In quadro di risorse in calo e di istanze in crescita, il rischio di rifugiarsi in dibattiti  evanescenti sul rapporto pubblico-privato è molto alto come appiattirsi sulla rassegna delle forme giuridiche, proprio ora che ne abbiamo disinnescato il potenziale retorico.
Proviamo a ripartire da una costatazione: in verità non sappiamo bene di cosa parliamo quando ci riferiamo al rapporto pubblico-privato. Privato è un cittadino, ma anche un dipendente della pubblica amministrazione, privato un bene culturale, e pubblico un modo di gestirlo. Pensare che logiche private colmino esclusivamente imprese di profitto e logiche pubbliche alberghino soltanto nell’ente locale è forse valido altrove, ma non di certo nel panorama assai variegato della cultura.
Nel corso del Lubec si affronteranno molteplici temi, e da molte prospettive si cercherà di offrire un contributo sui più svariati ambiti, con il supporto di molti protagonisti, anche internazionali. Si tratta di una occasione importante, perché riflettere su quello che facciamo e osserviamo è sempre utile, ed in special modo in una fase in cui cambiano le regole di programmazione, di bilancio, di scenario e molte esperienze ‘dal basso’ – ancorché accompagnate dalle istituzioni - hanno segnato il passo del periodo più recente.
L’imminente avvio di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017 (con un programma di estremo interesse) è un’occasione per l’intera regione ma anche uno stimolo a comprendere e rafforzare nelle politiche di settore i legami tra cultura e sviluppo che spesso evochiamoLa riapertura del Museo Pecci, all’interno di un percorso di costruzione di una rete del contemporaneo toscano,  mette in luce esperienze consolidate che possono sì beneficiare di grandi eventi, ma certamente vivranno di buone pratiche quotidiane. Il rafforzamento delle reti bibliotecarie, il riavvio delle residenze teatrali, il percorso di sviluppo di quelle museali (anche per il tramite dell’accreditamento) costituiscono un passo deciso verso sistemi culturali collaborativi, pubblici e privati per definizione. Il riuso in senso culturale di aree industriali, la animazione di luoghi di cultura (e culto) tramite la musica, e molti altri esempi sparsi per la regione, testimoniano di una vivacità che è pubblica e privata, perché è esperienza collettiva e momento di crescita anche individuale.
E così, è pubblica e privata anche la esperienza di chi lavora in questo comparto, ancora eccessivamente esposto al rischio di un lavoro sommerso o comunque nascosto. Se ne parlerà anche in occasione di ‘Italia è cultura’, III conferenza nazionale della Associazione delle istituzioni di cultura italiane, il prossimo 10 novembre a Lucca.
E infine pubblica e privata è la pratica della partecipazione culturale, sul cui valore sociale matura oramai una incoraggiante consapevolezza
Verrebbe da dire che ogni volta che si riflette di politiche culturali si riflette di istituzioni, nel doppio significato di istituzioni-organizzazioni e istituzioni-configurazione di valori, una combinazione di ‘concetto’ e di ‘struttura’ (Sumner, 1906). Nell’affrontare il tema del rapporto pubblico-privato un primo passo sarebbe quello di distinguere ciò che incide sull’una o l’altra dimensione delle istituzioni. Se non comprendiamo come assegnare valore alle istituzioni (non solo con la autorevolezza, ma anche con la partecipazione consapevole dei cittadini), non avremo gli elementi per riformarli. Letteratura e pratica ci insegnano che scissa dal suo significato presso i cittadini ogni istituzione perde progressivamente legittimità fino a scomparire; la organizzazione materiale non fa altro che seguire quella valoriale.   
È a mio avviso in questo quadro di riferimento, e certamente secondo diverse prospettive metodologiche (dalla geografia economica alla psicologia di comunità, per fare solo due esempi tra i tanti), che può e deve inquadrarsi un dibattito serio sul rapporto pubblico privato in campo culturale. Una visione organica – verrebbe da dire ‘ergonomica’ - delle istituzioni culturali deve aiutarci a capire entro quali soglie il combinarsi di logiche private e pubbliche sortisce gli effetti sperati. Ergonomica perché dovremmo capirne di più sulle condizioni che rendono efficace una istituzione e la politica ad essa rivolta, consapevoli che esistono delle soglie, contingenti, da individuare e monitorare: entro quali limiti una strategia di marketing accoglie nuovo pubblico e scoraggia o trasforma in senso peggiorativo un pubblico già fidelizzato? Fino a che punto digitalizzare supporta nuove modalità di apprendimento? I modelli di psicologia sperimentale degli anni ’20 e ’30 applicati alla ‘fatica museale’ (ad esempio tesi a verificare le migliori condizioni di fruizione di una mostra) costituiscono a mio avviso un esempio – tra i tanti che qui non vi è modo di richiamare – sotto il profilo metodologico.
È quindi (forse) arrivato il momento che il dibattito critico entri nel vivo delle logiche istituzionali private e pubbliche che convivono nelle organizzazioni, esplorandone le molteplici traiettorie di sviluppo in tema di rigenerazione urbana, inclusione sociale, accesso digitale, dialogo interculturale, solo per citare alcuni dei temi che verranno affrontati nella prossima edizione di Lubec.
Non possiamo più accontentarci di affermazioni di principio, assumendo ad esempio che ‘coinvolgere più pubblico sia sempre positivo’, perché esistono sempre controindicazioni e vanno indagate con molta franchezza e rigore. E così anche per i legami tra cultura e salute, tra cultura e dialogo interreligioso, e così via.
Al contempo dobbiamo maturare una consapevolezza unitaria sulle politiche culturali, comprendendo l’impatto non tanto di singoli interventi quanto di vasti programmi, secondo metriche che salvaguardino le realtà più deboli nelle relazioni di mercato.    
Provando a puntare in modo selettivo due argomenti cruciali per reinterpretare il tema in oggetto, propongo due fonti del cambiamento che, a parer mio, stimolano oggi un processo di riforma delle politiche culturali: il senso di comunità (brutalmente: da Tönnies a Durkheim) e la ricerca di nuovi stili di vita (rozzamente: da Adler a Bourdieu). Si tratta di elementi sempre presenti, pur con diversa intensità, nella società, ma che stanno assumendo significati più penetranti in campo culturale, in special modo laddove interagiscono, anche per effetto delle nuove tecnologie. 
Queste due direttrici segnano oggi il passo dell’Amministrazione pubblica, perché ci obbligano a ripensare finalità e strumenti dell’azione amministrativa. Sinteticamente,

  • ci impongono di lavorare sulle relazioni e i legami più che sulle strutture, nell’assunto che proprio in una epoca di iperconnettività la sensazione di isolamento sia aggravata;
  • ci impongono di inquadrare la partecipazione culturale all’interno della vita quotidiana dei cittadini, incorporando anche il prima e il dopo della ‘fruizione’ di un contenuto culturale.

Bisognerebbe moltiplicare i luoghi di studio per i bambini, i luoghi di lettura per gli uomini, tutte le organizzazioni, tutte le istituzioni in cui di medita, in cui si istruisce, in cui ci si raccoglie, in cui si impara qualcosa, in cui si diventa migliori; in una parola, bisognerebbe far entrare dovunque la luce nello spirito del popolo; perché è a causa delle tenebre che si perde’ (Victor Hugo nella parte conclusiva del suo intervento).

 
 

 

[1] V. Hugo ‘Contro i tagli alla cultura’ (2011), p. 34,40. Ibis, Como-Pavia.