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Viaggio nell’Italia «minore» alla ricerca del tempo perduto

  • Pubblicato il: 15/09/2015 - 09:27
Autore/i: 
Rubrica: 
PAESAGGI
Articolo a cura di: 
Manlio Lilli

L’Italia, lontana dai siti Unesco e dalle bellezze più reclamizzate, continua ad essere un Patrimonio sterminato ma inesplorato. Il viaggio attraverso quei siti minori, da Nord a Sud, rivela chiese e palazzi, borghi e conventi, torri e castelli, vallate e corsi d’acqua straordinari ma poco noti. A volte addirittura ignoti. Luoghi che troppo spesso sono preda dell’abbandono e del degrado, cancellati dalla memoria collettiva. Solo una radicale operazione di conoscenza diffusa può dunque salvarli. Contribuendo anche ad attirare quegli interventi privati che, nella crescente esiguità di risorse dei Comuni, può contribuire ad interventi di restauro
 
 
 
«L’Italia cambia da un chilometro all’altro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità degli animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitudini, tradizioni, lingue, eredità razziali», scrive Guido Piovene in Viaggio in Italia, uscito per Mondadori nel 1957. Un viaggio attraverso i paesaggi e i musei, le chiese e i ristoranti, gli uomini i bambini, i campi e le industrie. Un reportage nato nel 1953, quando la Rai, impegnata in una serie di progetti per favorire la conoscenza dell’Italia presso gli italiani, gli chiede di percorrere il Bel Paese.  Da nord a sud, dalle «Tre Venezie» alla Sicilia. Piovene accetta e  per tre anni percorre lo Stivale e racconta agli ascoltatori le «cose viste». Se vogliamo «minori», perché meno evidenti a sguardi distratti. La stessa Italia raccontata dalle fotografie di Guido Guidi nelle antologiche «Varianti» del 1995 e soprattutto «A New Map of Italy. The Photographs of Guido Guidi» del 2011. Sono però differenti le sensazioni. La crescita descritta da Piovene si trasforma nel declino ritratto da Guidi. Ma l’importante, tra differenze ed analogie, è averla raccontata quell’Italia meno nota, lontana ma anche vicina. Fondamentale che ancora lo si faccia. Così come scrive Alessandro Calvi in «Paracarri. Cronache da un’Italia che nessuno racconta» (Rubbettino, pp. 240, euro 14,00). Il suo viaggio lo porta a Mussolinia di Sicilia, la città mai nata, e tra le casette costruite negli anni Cinquanta tra la Puglia e la Basilicata. Molti altri i luoghi visitati e fatti conoscere, da Casale Monferrato a Messina. Perché il merito maggiore di questi cantori di quel che offre e nasconde il Paese è proprio quello di far conoscere. Accendere una luce nel buio. Raggiungere monumenti e borghi che in pochi, di solito, decidono di raggiungere. Siti lontani da tutto, anche dal turismo di “nicchia”. Siti che in molti casi, pur non potendosi fregiare dell’ambizioso riconoscimento dell’Unesco, lo meriterebbero. Abbazie, conventi e monasteri, ma anche sentieri. Alberi monumentali come palazzi storici e ville. Siti archeologici come giardini e parchi naturali. Cascine e fattorie, come aree marine e spiagge. Chiese come boschi. Ancora, castelli e rocche, come laghi. Torri come fiumi e torrenti. Un’infinità di luoghi nei quali antropizzazione e ambiente naturale hanno imparato a rispettarsi. Luoghi troppo spesso legati insieme da un abbandono che ha costituito le premesse ad un irreversibile degrado.  Abbandono e degrado che non solo ne mettono di frequente a repentaglio l’esistenza, ma che privano le comunità, a partire da quelle locali, della necessaria identificazione culturale. Proprio per questo motivo la loro sostanziale marginalizzazione, il loro abbandono perfino memnonico, da parte delle amministrazioni, risulta ancora più colpevole e ingiustificato. Anzi incomprensibilmente folle. Addirittura autolesionistico.
E allora eccoli, solo alcuni di questi luoghi. La chiesa duecentesca di San Bonfilio (o Bonfiglio), alle pendici del Monte Nero di Cingoli, comune in provincia di Macerata, della quale restano soltanto tre pareti, dopo che nel 1940 é caduto il tetto e nel 1961 sono crollate anche le volte, distruggendola quasi completamente. Ma anche la chiesa e il convento di Sant'Antonino, a Scicli in provincia di Ragusa, una delle poche testimonianze architettoniche del Val di Noto in cui insistono elementi di cultura pre-barocca. Ancora, la Chiesa della prima metà del XVIII secolo della Madonna della Neve, a Bellinzago novarese, in provincia  di Novara. Il Convento del XVI secolo dei Cappuccini, a Simeri, in provincia di Catanzaro. Il  castello del X secolo di Illasi, in provincia di Verona, che, scavi effettuati sul versante sud, hanno rilevato essersi impiantato in un'area nella quale la presenza umana é documentata dall'Età del Ferro. Il Borgo alto-medievale di Gessopalena, nel chietino, distrutto prima da un terremoto poi dalle mine tedesche al passaggio della Linea Gustav. E Palazzo Sigillò, edificio settecentesco, nel centro storico di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, anticamente residenza nobiliare. La pieve di Santa Maria di Sesto, nel territorio di Cittaducale, in provincia di Rieti, che deve datarsi intorno al 1000, anche se é possibile sia stata realizzata su un edificio preesistente, come indiziano numerose tessere di mosaico rinvenute nel passato nella corte prospiciente l'ingresso principale.
E’ in contesti come queste, più che altrove, che l’intervento privato può contribuire a quel corto circuito necessario per riavviare la seconda vita di luoghi altrimenti destinati ad una desolante agonia. Può offrire quella spinta agile ma solidamente risolutiva, con quelle energie e meccanismi peculiari che rendono l’opera privata privilegiata sostenitrice del bene pubblico.  Ma perché ciò si verifichi è fondamentale che si creino, prima ancora, le necessarie condizioni affinché si concretizzi l’intervento risolutore, che si crei conoscenza. Ci si adoperi perché quei luoghi siano patrimonio condiviso di un più largo pubblico. Ed in questo almeno il ruolo statale  dev’essere decisivo.
«Il Governo ha il dovere di obbligare privati, municipi e province a fare qualcosa, dando esso per primo l’esempio  di adoperarsi con energia … Senza l’intervento dello Stato non c’è l’iniziativa privata che basti», scrive nelle «Lettere meridionali» Pasquale Villari. Era il 1875. Quell’atteggiamento mentale, quell’idea di Stato auspicata dallo storico, continua spesso a mancare. Anche per questo il viaggio attraverso i tanti luoghi d’arte e naturali d’Italia meno noti continua ad essere una sorta di reportage di guerra. Una ricerca affannosa di ciò che si è salvato. Un viaggio alla ricerca del tempo perduto scegliendo quasi sempre di mortificare il nostro Patrimonio diffuso.
 
 
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