Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Un’impresa ad arte

  • Pubblicato il: 16/03/2015 - 09:18
Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Anna Saba Didonato

Molvena (Vi). Dall’esperienza di Luigi Bonotto, imprenditore tessile di successo ma anche collezionista e illuminato mecenate, nasce l’omonima fondazione dedicata a una delle più importanti collezioni del movimento Fluxus e della Poesia Sperimentale che conta circa 12mila pezzi di oltre 250 artisti. Un patrimonio che documenta azioni e performance di cui, diversamente, non avremmo memoria e che per essere visionato nella sua interezza necessiterebbe di quasi 450 ore. Tutto il materiale è stato archiviato e messo in rete con lo scopo di rendere fruibile la collezione al più ampio pubblico possibile. Tra gli obiettivi dell’ente, infatti, figurano la promozione, la divulgazione e lo studio di Fluxus e della Poesia sperimentale, ma anche la determinazione a tenere vivo quel legame tra mondo della produzione artigianale/industriale e artistico, fondamentali nell’esistenza di Bonotto. L’evento inaugurale, svoltosi nel giugno 2013 a Venezia, ha avuto come madrina d’eccezione l’artista e performer Yoko Ono, presente con diverse opere nella collezione.
L’ultimo evento, «Fluxbooks. From the Sixties to the Future», organizzato dalla giovane fondazione sempre a Venezia, in collaborazione con la Fondazione Bevilacqua La Masa, ha come finalità «rilanciare verso il futuro una delle poetiche più radicali ed utopistiche sviluppatesi nel secolo scorso». Si tratta di due mostre dedicate, rispettivamente, ai libri d'artista prodotti in ambito Fluxus, a cura di Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini, e ai lavori realizzati dai giovani artisti degli Atelier della Bevilacqua La Masa, a cura di Stefano Coletto e Angela Vettese, che hanno reinterpretato i libri d'artista storici, individuati tra i molti presenti nella collezione di Luigi Bonotto.
Ma come nasce la collezione Bonotto, legata a doppio filo alla sua azienda tessile? Luigi si avvicina all’arte sin da bambino grazie alla mediazione del padre, artigiano produttore di cappelli e appassionato di arte veneta del Cinque e Seicento, che lo accompagna nei musei e gli fa conoscere le opere di Canova, Tiziano, Tiepolo, Jacopo Dal Ponte. Negli anni ’60 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Venezia ed entra in contatto con Vedova, Nono, Tancredi e Santomaso con cui stringe rapporti di amicizia. Inoltre vivendo a Valdagno ha la possibilità di ampliare i propri orizzonti artistici grazie allo storico Premio Marzotto (1951-68). Conosce, così, le opere di Burri, Fontana, Christo, Armann ma la partita decisiva è quella giocata con Duchamp in un circolo scacchistico di Milano. Dopo averlo incontrato, i suoi interessi si spostano dalla pittura a un’arte più concettuale. Luigi frequenta gli artisti anche grazie ai viaggi di lavoro che lo portano a New York e a Parigi; li ospita nella sua casa di Molvena, dove ha sede il lanificio, condividendo con loro gli impegno quotidiani che diventano occasione feconda di confronto.
Un connubio inestricabile quello tra passione artistica e produzione aziendale, trama e ordito di quell’impareggiabile tessuto culturale firmato Bonotto che non teme imitazioni. Un’esperienza imprenditoriale e creativa unica, ultracentenaria, che negli anni '60 subisce un primo grande cambiamento quando si decide per la riconversione della fabbrica paterna di cappelli. Nel timore che non avrebbe retto alle sfide del mercato, si decide di farne un centro di produzione tessile. Così Luigi, allora giovanissimo, viene mandato dai Marzotto a imparare la lavorazione della lana. L’altra svolta fondamentale è datata 2007: mentre i produttori italiani si affannavano a rinnovare la propria tecnologia per incrementare la produzione, a scapito della qualità del prodotto, Giovanni, figlio di Luigi e direttore creativo dell’azienda (suo fratello Lorenzo è amministratore), decide di puntare sulla qualità e l’originalità. I tempi di lavorazione di dilatano con l’introduzione in fabbrica di vecchi telai meccanici, ormai in disuso, abbandonati nei capannoni delle aziende in via di liquidazione. E’ la nascita della «fabbrica lenta», caratterizzata dalla tensione costante al miglioramento qualitativo di un prodotto sempre più di nicchia che affonda le sue radici nella sapienza artigiana. Una virata decisamente azzeccata se dal 2007 il fatturato della Bonotto è aumentato del 50%, svettando i 30 milioni di euro, mentre solo nel 2013 la crescita è pari al 15%. Sarà anche perché nella fabbrica di Molvena gli artigiani lavorano a stretto contatto con l’arte, venendone costantemente stimolati, in un luogo in cui si produce cultura quotidiana a 360°. Sulle pareti, infatti, sono esposte le opere della collezione Bonotto, da Cage a Beuys agli artisti della Poesia Visuale. Un mix di condizioni e di politiche culturali e d’azienda che dà come risultati prodotti eccellenti, tessuti verso i quali si possono attuare politiche di prezzo del 10-20 % superiori alla media, corteggiati da marchi del calibro di Armani, Chanel, Dior, Margiela, Moncler, Versace, e amati dagli sceicchi e agli oligarchi russi che non temono certi i prezzi proibitivi. E in un’Italia sempre più povera dei marchi che hanno fatto grande il nome del made in Italy, l’azienda vicentina non teme rivali e guarda spavalda al futuro, forte dei legami che ha instaurato con la tradizione e il territorio da cui provengono le maestranze.
Ultima nata in casa Bonotto, dopo l’Archivio, è l’omonima Fondazione: «il capitolo finale di una storia di vita dove l'arte e la creatività contemporanea hanno rappresentato non tanto l'accumulazione di opere, documenti e materiale vario, quanto la vita stessa – afferma Bonotto. L'arte è entrata in modo diretto in tutte le dinamiche aziendali, modificando il modo di agire e di pensare di tutta la fabbrica. Non è rimasta rinchiusa all'interno degli uffici della direzione o della proprietà ma ha toccato ogni punto. Dal magazzino alla tessitura. E non è rimasta ferma alla fase espositiva ma è entrata nelle coscienze e nel modo di lavorare e di vivere di ognuno».
Da archivio a fondazione, un passaggio non solo formale ma di prospettive sostanziali: «in un momento difficile per il Paese dobbiamo credere sempre di più che la via di uscita sia nella cultura e nella culturalizzazione dei nostri territori – continua Bonotto. Per questo abbiamo deciso di investire importanti risorse economiche e umane per portare il nostro contributo al territorio e far capire quanto un messaggio che sembra distante dall'economia e dalla società possa invece essere dirompente e funzionale. Il nostro obiettivo è di lavorare a doppio livello. Da una parte essere un punto importante per il Nordest e l'Italia, dall'altra continuare nel lavoro di relazioni con musei e collezioni».
Tra gli obiettivi più prossimi, la presentazione, entro la fine dell’estate, della sede della fondazione che avrà luogo a Molvena, accanto alla Fabbrica Bonotto Spa, il cuore pulsante di tutte le attività e lì dove tutto è nato. Mentre rimane fermo, purtroppo, l’ambizioso progetto firmato da David Chipperfield, per il quale di attendono ancora le autorizzazioni, che ineteressa la sede dell'ex Macello di Bassano del Grappa, un esempio di architettura industriale risalente al XIX secolo. Il progetto di massima prevede la realizzazione di un “centro culturale multifunzionale” con spazi destinati a convegni, mostre temporanee, biblioteca pubblica e residenze per artisti, oltre ad ambienti destinati a ospitare la collezione permanente e l'archivio.
 
 
© Riproduzione riservata