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SPOSTARE L’ESTREMITÀ AL CENTRO. IL PROGRAMMA 2017 DEL MEF

  • Pubblicato il: 14/04/2017 - 22:38
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

La panoramica su programmazione e attività 2017 delle fondazioni per il contemporaneo in Piemonte prosegue con un’intervista al direttore del Museo Ettore Fico, Andrea Busto. Dopo Fondazione Merz, Fondazione Sandretto RR, Cittadellarte con UNIDEE, in questo numero dedichiamo un approfondimento al lavoro svolto dal museo privato situato nel quartiere di Barriera di Milano, zona periferica a nord della città di Torino, disposta lungo la via ferroviaria che conduce a Milano. Un’area di derivazione industriale che si rivela in forte trasformazione sociale ed economica e, come già avvenuto per altri quartieri del capoluogo piemontese, anch’essa pare diventare un luogo della cultura. Una posizione strategica, prospettive di crescita e un fermento che il MEF – nato per volontà della famiglia dell’artista Ettore Fico per trasmetterne il lascito – cerca di tradurre in azioni orientate all’attrazione di diverse tipologie di pubblico: dal locale all’internazionale. La conversazione con il direttore di un giovane attore culturale, come è il MEF nonostante la sua progressiva affermazione nella scena del contemporaneo, spazia dal contesto culturale alle mostre internazionali, dalle co-produzioni alle attività con il quartiere più multietico della città.
 


 
Torino– Avevamo parlato della Fondazione Ettore FICO-MEF quasi due anni fa, agli esordi dell’istituzione in questo articolo. Un progetto di museo nato in seno alla Fondazione stessa per conservare, tutelare e valorizzare l’opera dell’artista, ente di cui Busto del MEF era direttore artistico – all’epoca – da otto anni. L’edificio in via Cigna è stato ristrutturato con capitali privati, consentendo continuità ai lavori di ristrutturazione e garantendo un’inaugurazione avvenuta nel 2014, con una personale dell’artista. Al tempo «l’idea era quella di lavorare su tre nuclei annuali di mostre della durata di quattro mesi l’uno, per avere sempre una presenza fresca di pubblico e un’attività espositiva molto dinamica». Una vivacità espressa su più livelli: mostre internazionali di autori che necessitavano di una riflessione ulteriore, valorizzazione delle giovani generazioni di artisti italiani e interazione costante con un quartiere che «ha una storia recente e affascinante, con peculiarità multietniche spiccate, e anche le caratteristiche architettoniche degli edifici interessanti. Il massimo auspicabile per i creativi». Durante questi mesi abbiamo assistito ad un’evoluzione della progettualità, con mostre riuscite che spaziavano dalla fotografia al design, dalla scultura all’installazione, senza trascurare dinamiche territoriali feconde di nuovi immaginari.  Su tutte citiamo quelle – a nostro avviso – più azzeccate: dall’antologica su Bruno Munari – forse la più completa mai vista in assoluto, a quella del fotografo francese Lartigue, senza dimenticare quelle dei “giovani” (sino a che età in Italia si è considerati giovani?) Alis/Filiol e Eugenio Tibaldi. Facciamo il punto sul futuro con il direttore Andrea Busto, in vista del centenario dalla nascita di Ettore Fico, in una grigia giornata torinese che non è certo un limite all’afflusso di numerosi visitatori e scolaresche che in misura sempre maggiore popolano gli spazi del museo.
 
Concluso il ciclo di programmazione 2016, quest’anno si apre con una grande mostra su Bruno Munari – antologica completa sull’opera dell’autore. Quali metodologie alla base della programmazione annuale? 
Abbiamo una programmazione varia e vasta, sul piano degli interessi e del campo di azione. Ci proponiamo come un museo che si occupa delle Arti del Novecento, arco temporale che parte dalla nascita delle Avanguardie storiche sino ad arrivare ai giorni nostri. In tale periodo storico, il linguaggio artistico si è sviluppato in diverse direzioni e discipline e – in questo spettro di possibilità – cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione scientifica e espositiva sulle eccellenze artistiche e sui temi che non hanno trovato una larga attenzione della critica, del mercato e delle istituzioni. Perché Munari, per esempio? Perché mancava una mostra seria su questo autore da trent’anni. Ci sono state molte piccole mostre tematiche: sui libri, sull’editoria e altre ancora. Munari non è stato sicuramente dimenticato, ma mancava una grande antologica che facesse chiarezza nella sua produzione artistica. Spesso le nostre operazioni mirano a riscoprire figure cardinali, penso ad esempio alla mostra del fotografo francese Jacques Henri Lartigue, peculiare perché da numerosi anni quelle opere non erano visibili nella nostra nazione.
Nel nostro metodo, si parte dall’autore e/o da un periodo storico, prendendo in considerazione argomenti che mancano da tempo da un punto di vista espositivo, critico e informativo. Credo che il ruolo di un museo oggi sia quello di informare sul passato e sul presente della produzione culturale, per dare al pubblico la conoscenza di nuclei collezionistici privati e pubblici. Non abbiamo sposato nessun criterio specifico e ci muoviamo in modo libero. Con il collezionista Guido Bertero – per esempio – abbiamo sviluppato una mostra sul Neorealismo, ma questo non preclude altre possibilità future o argina i nostri ragionamenti all’apertura di un ciclo di mostre meramente tematiche su una corrente o su un certo tipo di fotografia. La nostra programmazione è sempre molto varia. Adottiamo una metodologia flessibile in relazione a tanti fattori, non ultima la considerazione dell’offerta culturale cittadina e nazionale.
 
Potreste raccontarci delle mostre e progetti previsti per il 2017?
Abbiamo inaugurato la mostra di Bruno Munari e, in contemporanea, ospitiamo la personale di Cosimo Veneziano. Cerchiamo di abbinare una mostra storica a una di un giovane autore. Da giugno a settembre presenteremo una mostra sul centenario della nascita di Ettore Fico, e da ottobre a gennaio un’esposizione tematica sui tarocchi: dai Visconti ai social media. Numerosi artisti contemporanei, infatti, si sono confrontati con l’aspetto delle carte: dal Mantegna a Guttuso, da Gentilini a Niki de Saint Phalle, oltre a celebri disegnatori come Milo Manara.
Il principale cambiamento nel programma espositivo di quest’anno è la scelta di dedicare interamente i due piani del museo alla mostra principale e riservare gli spazi del mezzanino come project room in cui ospiteremo focus sulla produzione contemporanea e giovani artisti. Esporremmo diversi giovani autori – molti dei quali saranno inseriti in un grande programma di performance che comincerà ad ottobre sino a giugno 2018. Sarà un calendario con appuntamenti bimestrali in cui un artista, oltre a presentare un lavoro visivo, sarà anche protagonista di performance – attivando così tutti gli ambienti del museo, compresa la terrazza.  Si tratta prevalentemente di italiani e il progetto sarà sviluppato insieme alle gallerie di appartenenza. Nell’ambito del progetto di valorizzazione dei giovani artisti italiani, presenteremo a breve due personali: ad aprile Agostino Bergamaschi e a giugno Paolo Brambilla, entrambi seguiti dalla galleria veneziana massimodeluca.
Il progetto dedicato alle performance invece si aprirà a settembre con Marco Rezoagli e il suo progetto Jesus in Turin. L’artista, che impersona nelle sue performance la figura di Gesù Cristo, comparirà nel quartiere di Barriera di Milano, attivando le relazioni tipiche delle sue apparizioni: camminare tra la gente, guardare negli occhi, ascoltare, abbracciare e costruire relazioni. A ottobre proporremo un suggestivo lavoro performativo e pittorico di Yumi Karasumaru, artista giapponese che usa il corpo come schermo su cui proiettare drammatiche immagini della storia del suo paese.
 
Come museo, in che maniera interpretate il rapporto con le gallerie private e come agite – anche da un punto di vista economico – per la produzione delle mostre?
È un rapporto collaborativo che ci interessa dichiarare. La collaborazione con le gallerie è fondamentale e non bisogna far finta che il mercato dell’arte non esista e sia influente nelle scelte. Se è vero che il privato è necessario nello sviluppo dell’azione culturali, le gallerie hanno delle potenzialità e dei mezzi economici che i musei (privati) – in questo momento storico – non hanno. Ci sono degli ottimi progetti di artisti validi che spesso non vengono mostrati. Perché non pensare a nuove forme di collaborazione tra galleria commerciale e museo? Il nostro approccio non è una novità, del resto. Si è sempre agito in questo modo, anche se la questione non veniva esplicitata in modo manifesto. Dietro ai grandi artisti ci sono grandi gallerie, e anche in Italia abbiamo visto esempi magistrali. Nella produzione dell’intervento di Jenny Saville alla Galleria d’Arte Moderna di Torino c’era il lavoro di Gagosian, così come nella prima personale di Tatiana Trouvé – intitolata I tempi doppi – al Museion di Bolzano.
Noi chiediamo agli artisti di produrre dei progetti ex novo che, tuttavia, possono anche contenere in parte dei lavori datati. Se la produzione di questo progetto può essere sviluppata in maniera collaborativa con la galleria, tanto meglio. Nel caso della mostra di Eugenio Tibaldi abbiamo prodotto la mostra interamente come MEF. Ci sono dei casi in cui la galleria interviene, altri no; da parte nostra cerchiamo sempre di esplicitare la collaborazione. Una duplice attenzione per l’artista ci restituisce un’azione sinergica nella valorizzazione del suo lavoro – come ci insegna la mostra di Cosimo Veneziano. In futuro potrebbe anche essere necessario un intervento economico da parte della galleria – che nelle mostre di Tibaldi e Veneziano non c’è stato – ma, ribadisco, l’intento di collaborazione è sempre manifesto.
 
Potrebbe parlarci in maniera più approfondita della genesi e dello sviluppo di progetto della mostra su Munari?
Nella mostra di Munari, la Galleria Repetto era a conoscenza della localizzazione di grossi nuclei di opere. Il contributo della galleria è stato quello di facilitare l’individuazione e il prestito di questi grossi nuclei. Si configura un nuovo ruolo per la galleria, che ci ha aiutato a costruire questo grande puzzle e un grande progetto che portasse a conoscenza della complessità del lavoro di Munari. Un progetto che nasce dopo oltre un anno e mezzo di lavoro, peraltro in maniera abbastanza casuale da una mia sensibilità ed esigenza. Avevo visto, proprio qui a Torino, una conferenza sulla grafica di Munari. Di qui è nata l’idea di organizzare una grande mostra: ho contattato il relatore della conferenza per un progetto, incontrato le gallerie e individuato Claudio Cerritelli come curatore – era necessaria una persona che si fosse occupata di Munari ad alti livelli. Ne è nato un percorso espositivo, sviluppato in modo cronologico e tematico, che mette in luce tutta la produzione di questo grande artista.  
 
All’interno del programma A.R.T. Attività e Relazioni con il Territorio avete sviluppato progetti partecipativo MEFinMarket, vincitore del Bando Open di Compagnia di San Paolo; e sostenuto artisti che focalizzano il tema del territorio nella propria ricerca, come per esempio avete fatto con Alessandro Bulgini e l’allestimento della mostra Decoro Urbano in Barriera di Milano. Come continuerete ad agire sull’asse prioritario del vostro intervento a Barriera di Milano, la relazione tra museo e territorio?
Continueremo a includere il territorio nel nostro museo ed essere molto presenti. Ci sono diversi programmi e svariate tematiche in cantiere. Alcune azioni del progetto sulle performance saranno rivolte a includere i cittadini di Barriera di Milano, sviluppando sinergie fra l’interno e l’esterno del museo.   
 
Potreste darci qualche anticipazione della mostra in programma a Parigi su Luigi Serralunga – maestro di Ettore Fico – con quale ruolo collaborerete, quali partner e che sviluppi in Torino?
La mostra su Luigi Serralunga si terrà nella primavera del 2018 nella sede parigina della Galleria Maurizio Nobile. Anche questa operazione rientra nella riscoperta delle grandi figure non ancora valorizzate. Serralunga è un pittore fra simbolismo e liberty a cui avevo già dedicato una mostra al CRAA di Villa Giulia nel 2010, e che merita sicuramente una rilettura.
 
Ci sono delle nuove collaborazioni e partnership strategiche che vorreste comunicare?
Quest’anno abbiamo attivato numerose e importanti collaborazioni, tra le ultime partnership di co-marketing con TrenitaliaGTT – Gruppo Torinese Trasporti e lo Shopville “Le Gru” di Grugliasco (To), tutte rivolte all’ampliamento di un pubblico più vasto ed eterogeneo possibile.
 
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