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Salviamo il patrimonio progettuale di Italia 2019

  • Pubblicato il: 04/07/2014 - 09:48
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Ledo Prato

Nel 2008 la Capitale Europea della Cultura è stata Liverpool. Per quella edizione furono 12 le città candidate al titolo in Gran Bretagna. Il Governo laburista dell’epoca, presieduto da Tony Blair, ritenne opportuno valorizzare il patrimonio progettuale anche delle 11 «perdenti». Si era, infatti, reso conto che la competizione per il titolo europeo era diventata una occasione per riprogettare il futuro di queste città e che compito del Governo era quello di aiutare e sostenere il processo di rigenerazione urbana e di rinascita culturale. In questo modo le 11 città «perdenti» avrebbero contribuito al successo di Liverpool, assicurato un buon livello di qualità della vita ai propri cittadini e sviluppata la capacità competitiva sul piano internazionale. Blair costituisce il Fondo Culturale Urbano e dà vita al programma «Uk Cities of Culture programme».  In questo contesto, sempre per iniziativa del Governo, nasce la competizione per assegnare il titolo di Capitale della Cultura della Gran Bretagna, adottando le procedure della competizione europea. Questa coraggiosa scelta testimoniava la volontà non di assegnare il titolo ad una città inglese a scopo puramente promozionale ma di accompagnarne lo sviluppo, incoraggiando la partecipazione dei cittadini e la predisposizione di progetti ambiziosi. Una strategia, quindi, organica, nata da idee forti e pensieri solidi legati alla consapevolezza che le città possono essere il vero motore dello sviluppo economico, sociale e culturale di un Paese. Purtroppo non possiamo ancora dire altrettanto del nostro Paese. Vediamo perché. L’Italia, insieme alla Bulgaria, esprimerà la Capitale Europea della Cultura per il 2019. A questa competizione hanno partecipato 21 città italiane (8 in Bulgaria), di cui 3 non hanno visto protagoniste le Amministrazioni pubbliche. Fra le rimanenti 18, sei (Ravenna, Siena, Perugia con i Luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria, Lecce, Matera e Cagliari) sono state selezionate per la fase finale. A giudicarle è stata una Commissione di esperti (7 europei e 6 italiani) presieduta dall’inglese Steve Green il quale ha espresso un giudizio positivo sui dossier di candidatura. Le città candidate (Aosta, Bergamo, Mantova, Venezia e il Nord Est, Pisa, Grosseto, Urbino, L’Aquila, Caserta, la Città diffusa e il Vallo di Diano, Taranto, Reggio Calabria, Erice, Palermo, Siracusa, più le sei finaliste), in coerenza con il profilo della competizione, hanno predisposto progetti di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio culturale, di rigenerazione urbana, di ammodernamento del sistema di accoglienza, oltre che un palinsesto di eventi per il 2019 di buona fattura, avendo chiara la necessità di disegnare un modello urbano di interesse per l’Europa. In un certo senso hanno acceso i pensieri creativi dei propri cittadini. Ogni dossier di candidatura è stato costruito con la partecipazione della comunità, delle istituzioni regionali, dei soggetti di rappresentanza, realizzando il massimo della condivisione su obiettivi di carattere strategico per il futuro delle diverse città, oltre che un’esemplare esperienza di democrazia partecipativa. Proprio la qualità dei progetti allestiti, e la procedura usata per la validazione e la condivisione del programma, ha suggerito di non disperdere il lavoro svolto, a prescindere dall’esito della competizione. Lo strumento individuato per valorizzare il patrimonio progettuale, per iniziativa dell’Associazione delle Città d’Arte e Cultura (www.cidac.eu) a cui aderisce la quasi totalità delle città candidate, ha preso il nome di Italia 2019. Un programma finalizzato a dare concreta attuazione ai migliori progetti di riqualificazione del patrimonio culturale e di rigenerazione urbana, previsti nei dossier di candidatura. Perché, se una sarà la città Capitale, è altrettanto vero che tutte le candidate possono contribuire a fare dell’Italia la Capitale Europea della Cultura per il 2019. A questo punto è bene ricordare che ogni dossier di candidatura, per ciascuno dei progetti presentati, indica gli investimenti necessari, le fonti possibili di finanziamento (pubblico e privato) e i tempi di realizzazione nell’arco temporale 2014/2018. Un parco-progetti che ha indotto il Parlamento, con voto unanime di tutti i partiti, a impegnare il Governo (Letta), confermato anche dall’attuale Governo, a realizzare il progetto Italia 2019, utilizzando le risorse europee relative al ciclo 2014/2020. Più di recente il Programma Italia 2019 è entrato in un emendamento presentato alla Camera, d’intesa con il Ministro Franceschini, nell’ambito del Dl 83/2014, più noto come Decreto Art Bonus, ed è all’esame parlamentare. Parere favorevole è stato espresso anche dal Presidente del panel degli esperti, Steve Green, nel momento in cui ha suggerito alla Commissione Europea di assumere Italia 2019 come una «buona pratica» per le prossime edizioni della competizione. Quest’ampio consenso ha avuto anche l’effetto di suggerire al Governo Renzi l’istituzione della competizione per la Capitale italiana della Cultura, inserita nell’emendamento di cui si è fatto cenno. Qui il richiamo alla strategia europea è solo evocata poiché la competizione dovrebbe essere operativa già con il 2015, rendendo quindi molto difficile utilizzare i regolamenti della competizione europea (la scelta della città avviene, infatti, con quattro anni di anticipo per rendere possibili gli investimenti programmati e preparare la realizzazione del programma culturale). Inoltre si stanzia una somma di 1 milione di euro per la città prescelta, con un duplice rischio: l’esiguità della somma non consentirà di predisporre progetti ambiziosi e di vera rigenerazione urbana; lo stanziamento di una somma ex-ante non potrà tener conto della progettazione delle città in competizione. E’ quindi evidente che nel caso inglese si è perseguita una strategia chiara, con risultati molto apprezzabili, mentre nel nostro Paese si naviga a vista e si rischia di disperdere opportunità. A partire dall’impiego delle risorse europee 2014/2020 che dovrebbero essere utilizzate al più presto. Italia 2019 è una straordinaria opportunità anche a questo scopo. Analogamente gli stessi fondi europei potrebbero essere uno strumento utile per sostenere programmi e progetti delle città italiane che vorranno candidarsi a Capitale della Cultura. Basterebbe avere obiettivi condivisi da perseguire ed una strategia che rifugge dalla ricerca pura e semplice del consenso immediato. In realtà siamo di fronte ad un paradosso figlio di questo tempo: la dimensione locale, laddove cioè le migliori energie si mobilitano per «ruminare» futuro, la scala più propria dove il patrimonio culturale può davvero giocare o meno un ruolo decisivo per la crescita di una comunità e misurarne l’impatto, in una parola il «territorio», realizza il massimo della creatività ma dispone del minimo di potere decisionale. Ma noi continuiamo a credere che il Programma Italia 2019 si realizzerà.

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Ledo Prato è Segretario generale CIDAC

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