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Quando la governance del denaro pubblico è privata. Il Brasile non è un modello

  • Pubblicato il: 14/02/2014 - 14:15
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DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Chiara Tinonin

Rio De Janeiro. Con l’avvicinarsi dell’apertura del «triennio sportivo», Rio de Janeiro è guardata anche come capitale culturale: la fiera d’arte contemporanea «ArtRio» è consolidata, i neo musei MAR e Casa Daros sono mete obbligate in città, le recensioni di mostre e i cataloghi di artista proliferano.
Eppure, la diacronica volontà di anticipare ciò che potremo aspettarci dalla scena culturale brasiliana dei prossimi anni, può portarci a banalizzare una situazione che è ricca di zone d’ombra. Nella cultura, così come in altri settori dell’economia (infrastrutture, sanità, educazione), l’intervento dello Stato è debole, nei meccanismi e nei processi. Il modello brasiliano di sostegno alla cultura è incentrato su una governance privata del denaro pubblico, che vede protagoniste le grandi mostre dei centri espositivi privati nell’asse culturale San Paolo-Rio de Janeiro, a discapito di uno sviluppo diffuso anche nelle altre vaste regioni del Paese.
L’intervento dei privati poggia sulla legge-incentivo nota come «legge Rouanet», il politico che l’ha promossa. Istituita nel 1991, prevede che le imprese e gli individui possano finanziare attività artistiche e culturali in modo sostitutivo rispetto al versamento delle imposte, rispettivamente per il 4% e il 6%.
In una nazione che tassa moltissimo (le imposte sui salari raggiungono il 58%) l’alternativa proposta dalla «Rouanet» è un grande vantaggio per le imprese: trasformare gli oneri fiscali in un investimento in comunicazione istituzionale, rendendo più efficiente la strategia di presenza territoriale e di posizionamento sui mercati.

Nel decennio 1996-2006 con la «Rouanet» sono stati investiti in cultura oltre 4 miliardi R$ complessivamente (circa 2 miliardi USD Fonte Ministero della Cultura Brasile); nel 2012, solo nello Stato di Rio de Janeiro, i 5 maggiori investitori privati (Petrobras, Telemar, Light, Ambev e Coca Cola) hanno speso in attività culturali oltre 90 milioni R$ (circa 45 milioni USD Fonte Secretaria de Estado de Cultura RJ). Dall’istituzione della legge, la scelta delle imprese è stata di aprire centri culturali dedicati alle mostre. È il caso delle utilities, come la compagnia telefonica Oi e il progetto «Oi Futuro» dove si intersecano una museografia delle telecomunicazioni e nuove produzioni artistiche; del banking, come i centri «Itaú cultural» e «Centro Cultural Banco do Brasil» che nel 2011 si è aggiudicato il titolo di mostra (a ingresso gratuito) più visitata al mondo con «The Magical World of Escher»: 9,677 visitatori giornalieri e 573,691 totali (The Art Newspaper); della manifattura, come l’acciaieria Arcelor Mittal-Cst che sta supportando la costruzione della «Cais das artes», un complesso culturale di 26,500 mq, a Vitória in una regione dove sono stati rilevati importanti giacimenti petroliferi. Diversa, invece, è la posizione delle piccole e medie imprese che, con il tetto del 4% previsto dalla legge, non sono incentivate a realizzare progetti di ampio respiro, anche se «è in cantiere un nuovo progetto di legge» ci spiega Tatiana V.A. Richard, dirigente della Secretaria de Estado de Cultura di Rio de Janeiro, «che porta in primo piano l’aumento della percentuale di sgravio fiscale per le piccole imprese, in modo tale da favorire interventi più diffusi su tutto il territorio statale, dove queste hanno sede». La «Rouanet» è stata utile per supportare anche importanti iniziative private come l’«Instituto Inhotim» del magnate Bernardo Paz vicino a Belo Horizonte, inaugurato nel 2002 trasformando una tenuta di oltre 240 ettari in un immenso giardino botanico, riserva naturalistica e parco di arte contemporanea. «Tutti i miei soldi li investo in questo mio sogno» ha detto Paz ai microfoni della BBC. «Inhotim sarà un parco immenso nel futuro e resterà tale per migliaia di anni». Una passione a cui si aggiunge una buona dose di responsabilità sociale, se consideriamo che Inhotim conta oltre 1.000 dipendenti. La qualità delle proposte e del servizio offerto dai soggetti privati sono alti e in costante crescita, tanto che il modello brasiliano può apparire come una soluzione efficace per gestire le risorse pubbliche, ma in mancanza di una strategia integrata e di lungo periodo, il Paese può perdere la sfida di una crescita culturale inclusiva. Quest’anno l’Istituto brasiliano di geografia e statistica ha affermato che il 92% dei cittadini brasiliani non ha mai visitato un museo o una galleria e l’IBRAM, l’organizzazione creata nel 2008 dal Ministero della Cultura per la gestione dei 28 musei federali del Brasile, ha a disposizione una spesa diretta in cultura inferiore all’1% del budget federale totale. A questo si aggiunge l’intervento totalmente indipendente di FUNARTE, la fondazione nazionale per l’arte creata nel 1975 con la «finalità di promuovere, incentivare e sostenere in tutto il territorio nazionale la pratica, lo sviluppo e la diffusione delle attività artistiche e culturali». La politica sta rispondendo con l’approvazione di un voucher di 50 R$ al mese per spese culturali (riviste e download musicali inclusi) per coloro che guadagnano meno di cinque volte il salario minimo. Interessante, ma marginale. «Non abbiamo un sistema di finanziamento della cultura integrato e i diversi livelli amministrativi non dialogano» spiega Marcelo Velloso, rappresentante del Ministero della Cultura a Rio de Janeiro, che lavora per «costruire un dialogo tra i diversi soggetti che supportano la cultura, ottimizzando i processi di scambio e individuando le lacune normative. Oggi manca una legislazione che regoli il funzionamento del mercato delle opere d’arte, dove la burocrazia e i costi elevati penalizzano la circolazione delle opere». Curiosamente, un altro gigante BRIC sta lavorando proprio su questo tema. Secondo lo studio di ArtTactic, la Cina sta progettando la creazione di zone di libero scambio per vendere, comprare e tenere in deposito le opere d’arte, portando il settore dell’arte e della cultura a contribuire all’economia del Paese dal 2,5% di oggi al 5% nel 2015. Come risponderà il Brasile?