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Produzione e cultura

  • Pubblicato il: 16/11/2012 - 16:12
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Chiara Tinonin

Milano. «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura»[1].
Non me ne vogliano gli storici dell’economia, se ancora prendo spunto da Adriano Olivetti per parlare di cultura d’impresa. L’imprenditore colto ha lasciato una lezione che ancora oggi sembra insuperata. La recente ondata d’intervento e presa di posizione di Confindustria sul tema dell’investimento culturale e della produzione culturale e creativa come leva per la crescita economica del Paese sta effettivamente smuovendo le acque del mare magnum che è la politica culturale italiana. Le bracciate dell’aquilotto sono vigorose: nel 2011, da Federturismo, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici e Confcultura, nasce la Fondazione Industria e Cultura per «identificare e selezionare le strategie di sviluppo da realizzare per favorire l’attrazione di nuovi investimenti, volti alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano e alla produzione culturale, e per accrescere la competitività del nostro Paese su scala mondiale». Il 19 febbraio 2012 esce sulle pagine della Domenica del Sole 24 Ore l’articolo «Niente cultura, niente sviluppo» che lancia il «Manifesto per una Costituente della Cultura», un progetto che ha trovato l’adesione di notevoli professionisti della cultura e intellettuali, oltre a quella, istituzionale, dei Ministri Ornaghi, Profumo e Passera, ieri presenti agli «Stati Generali della Cultura» al Teatro Eliseo di Roma. Solo qualche giorno fa, dal 3 all’11 novembre 2012, le imprese sono state protagoniste di «Florens. Biennale Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali» (cfr. Il Giornale delle Fondazioni «Ripartire dalla Bellezza») e da lunedì 19 fino a domenica 25 novembre 2012 promuovono la «Settimana della Cultura d’Impresa», quest’anno votata alla «Cultura del cambiamento».

Chi storce il naso di fronte a una presunta prospettiva di commercializzazione della cultura da parte di Confindustria e ancora non sa districarsi nell’equazione che lega il pensiero culturale alla produttività delle industrie culturali, prima ancora di quelle creative, dovrebbe, in questo caso, tirare un sospiro di sollievo. La «Settimana della Cultura d’Impresa», che forse passa più in sordina rispetto agli altri appuntamenti sopracitati, è un momento di riflessione culturale in senso stretto.

Promossa da Confindustria e Museimpresa, l’associazione che riunisce le imprese italiane che hanno istituito un museo o un archivio storico, la Settimana è un calendario fitto di visite guidate, mostre, convegni, proiezioni cinematografiche, performance e letture in oltre venti luoghi d’Italia. Apre la manifestazione «Imprese e parole. Città, fabbriche e lavori per raccontare il nostro “orgoglio industriale”», un incontro in Assolombarda che vede Gioele Dix interpretare una selezione di brani di letteratura industriale con performance musicale live. Una nicchia con un peso storico rilevante, la letteratura industriale, se si considerano esperienze del calibro di «Gatto Selvatico», la rivista aziendale interna di Eni voluta da Enrico Mattei e diretta dal poeta Bertolucci, su cui hanno scritto grandi come Calvino e Gadda.

Seguono visite guidate gratuite nei musei e negli archivi storici; mostre come «Umanesimo industriale di Pirelli» alla Fondazione Pirelli, «Camparisoda 80 anni e non sentirli» alla Galleria Campari di Milano, «Cocktail con Marilyn» al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze; incontri, come il laboratorio di lettura «Regole e Scelte. Doveri e Diritti di tutti» alla Biblioteca dell’Associazione Archivio Storico Olivetti, o la presentazione dell’autobiografia dell’imprenditore Fulvio Bracco alla Fondazione Bracco di Milano; proiezioni di cortometraggi anni ‘50 e ‘60 di «Memoria Contesa / Memoria Condivisa» sull’industrializzazione nel Mezzogiorno o «150 anni di storia Martini attraverso il cinema d’impresa» al museo Martini&Rossi di Pessione (Torino). Non mancano neppure appuntamenti sulla contemporaneità, come «Sguardo al futuro: la Milano Politecnica», in cui Assolombarda presenterà i primi dati di una ricerca sul posizionamento della città sull’innovazione e il sostegno alla cultura.

«Museimpresa compie undici anni. Dai 10 soci promotori, oggi siamo un’associazione di circa 50 imprese. Quello che mi piace sottolineare è che stiamo diventando un punto di riferimento per tutte quelle aziende che decidono di investire sul proprio patrimonio storico, o che si chiedono come possono avviare un investimento di questo tipo» mi racconta Magda Marsili, Segretario Generale di Museimpresa. «Tendiamo ad accompagnare l’azienda nei primi passi» continua «muovendoci al contempo a livello europeo, dove rappresentiamo un’eccellenza».

Tornando alla lezione del piemontese, sembra che, nonostante la crisi, un numero crescente di imprese italiane senta la necessità di sistematizzare, organizzare, valorizzare e comunicare il proprio patrimonio storico, materiale e immateriale. In altre parole, un numero crescente di imprese comprende la dimensione culturale del proprio operato socio-economico. L’apertura di musei, archivi storici e biblioteche all’interno delle imprese è un’azione importante nella misura in cui riesce a costruire un collegamento tra l’azienda e il mondo dell’arte e della cultura, in senso trasversale. Se solo fossimo in grado di superare le divisioni fra produzione e cultura.

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[1] Marco Peroni, Riccardo Cecchetti, Adriano Olivetti: Un secolo troppo presto, BeccoGiallo, Padova, 2011