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POSSIBILITA’ E CONSEGUENZE DEL NEW CRAFT

  • Pubblicato il: 13/05/2016 - 10:35
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'IMPRESA
Articolo a cura di: 
Sendy Ghirardi

Fondazione Bassetti propone un dibattito intorno ai temi del nuovo artigiano, in occasione di  New Craft, la  mostra curata da Stefano Micelli – con il quale conversiamo – che mette in scena un paradigma economico per il futuro del Made in Italy, riflettendo  sulle possibilità e sugli impatti dell’innovazione tecnologica nella terza rivoluzione industriale che stiamo attraversando

Milano.  Labour versus labour. Rethinking work in a digital society, questo il titolo del dibattito legato alla mostra New Craft di Triennale XXI, presentato dalla Fondazione Giannino Bassetti in collaborazione con il curatore Stefano Micelli e con Polifactory.
La Fondazione, che da anni si occupa di promuovere l’innovazione d’impresa responsabile,  ha proposto un momento di discussione per riflettere sul nuovo rapporto tra lavoro, persona e tecnologia.
 
La terza rivoluzione industriale ha modificato il modo di produrre, di distribuire, il modo di consumare e anche quello di costruire relazioni sociali. Quali sono gli impatti e le conseguenze?
Il prossimo futuro non crea solo nuovi spazi per la produttività, ma anche per la creatività, lo spazio per il Lavoro dopo il Lavoro. «Quello che si sta analizzando con i temi del New Craft è qualcosa che se colto può consentire una via di sviluppo per le nostre società» dichiara in apertura del convegno Francesco Samoré, Direttore scientifico della Fondazione Bassetti,  che indaga un sistema di valori rinnovato e la svolta trasversale che stiamo vivendo sotto diversi punti di vista: sociologico, tecnoscientifico e urbano.
 
Tra le esperienza presentate, De-LAB, laboratorio specializzato in temi di Business Inclusivo e Innovazione Sociale che propone modelli che relazionano il tessuto imprenditoriale-manifatturiero italiano alla scarsità delle risorse in paesi di sviluppo, attraverso l’innovazione frugale, evidenziando come si possano produrre oltre alle cose anche nuovi sistemi sociali, interagendo con gli attori del territorio. Relatori d’eccezione i Professori Anil Gupta e  Jeremy Miller che, attraverso le loro ricerche, hanno sottolineato come la creatività possa essere maggiormente stimolata nei contesti svantaggiati e come l’innovazione possa essere messa al servizio di esigenze e problemi di coloro che spesso non sono considerati consumatori appetibili dalle imprese.
 
Tra le aree esplorate, l’innovazione dei modi di produrre e l’apporto delle  nuove tecnologie che rompono i confini tra le discipline e portano a una collaborazione tra diverse professionalità.  La stessa introduzione delle stampanti 3D è materia per gli operatori del biomedicale, in piena convergenza tra competenze che coinvolgono il design. 
Ulteriore punto di osservazione il tema della metropoli come esperimento di collettività e le sue funzioni alla luce della nuova manifattura che torna a popolare i luoghi della città. si possono costruire distretti collaborativi tra imprese artigiane innovative, startup e industrie che sperimentano la manifattura digitale, spazi di co-working e condivisione di servizi e tecnologie, secondo il Prof. Stefano Maffei, Coordinatore scientifico di Polifactory secondo il quale la New Craft può riconfigurare socio-economicamente le città,  aprendo nuovi scenari sul mondo del lavoro.
 
Riflessioni importanti che descrivono le opportunità e gli effetti di un fenomeno che il Professor Stefano Micelli, autore di Fare e Innovare e Futuro Artigiano, racconta nella sua mostra alla Fabbrica del Vapore. L’idea di fondo è che la competitività del nostro sistema industriale sia ancora oggi intimamente legata a competenze artigiane che hanno saputo rinnovare il loro ruolo nelle grandi e nelle piccole imprese attraverso le nuove tecnologie. Il progetto espositivo indaga le possibili conseguenze dell’impatto della tecnologia in un Paese che ha fatto del saper fare artigiano la sua forza e un elemento di specificità. La mostra mette in scena una commistione tra saper fare e tecnologia che tende ad espandere il potenziale di creatività legata anche ad un modo di fare impresa e a un suo mercato che oggi ha già la sua consistenza economica.
Micelli tiene a sottolineare che  «Sono presenti in mostra  aziende di punta che hanno investito sulla tecnologia e sul digitale mantenendo un piede nella tradizione. Ciò che si vede non è sperimentazione, ma percorsi di prodotto e di processo di imprese che oggi si sono cimentate in questa direzione». La manifattura tessile di Giovanni Bonotto che ha dato vita al concetto di Fabbrica Lenta, dove i processi sono affidati a macchinari meccanici privi di automatismi, rimettendo  al centro, quindi, la creatività e il prodotto esclusivo, per una produzione inferiore quantitativamente, ma più accurata.
Una qualità che si può leggere nei gioielli di Paola Volpi che unisce le stampe 3D alla rifinitura a mano, mescolando materiali originali e l’estrema ricercatezza delle forme e nell’esperienza di Lino’s & co che recupera la tradizione tipografica e la competenza artigiana di 500 anni e la miscela con il gusto e le tecnologie contemporanee, dalla stampa 3D al digitale.
 
New Craft offre una rassegna di questo modo di pensare la manifattura, che affianca a 8 produttori consolidati del Made in Italy, i giovani selezionati nell’ambito della Call Under 35 che ha raccolto oltre 500 candidature da più di 30 paesi del mondo. Quello che emerge è un nuovo paradigma economico.
                                                                                   
Il simposio è stata l’occasione di incontro con il curatore Micelli, a cui abbiamo fatto qualche domanda.
 
Com’è nata la collaborazione con la Fondazione Bassetti  e con quali obiettivi?
La collaborazione con la Fondazione Bassetti nasce tre anni fa, con  il progetto Innovating with Beauty che ci ha portato in California. Un grande tentativo di dialogo con i Makers americani, promossa a San Francisco alla quale hanno collaborato inoltre la Triennale, insieme alla Regione Lombardia, il Comune di Milano e il Politecnico. L'avanguardia tecnologica californiana ha incontrato la creatività e il buon gusto del nostro Paese, in una fase in cui i due mondi possono compenetrarsi. La mostra New Craft nasce sicuramente da quel viaggio e dal mio dialogo continuo con Piero Bassetti per sfatare la difficoltà del mettere insieme tecnologia e tradizione, paradigma a cui gli Americani ci hanno stimolato e sollecitato. L’obiettivo che questa collaborazione si pone è quello di riflettere su un uso consapevole della tecnologia e dell’innovazione nell’impresa e  su come questa possa generare valore, occupazione e ricchezza.

 
Chi sono i destinatari di New Craft? A chi si rivolge la mostra?
Questa mostra ha tanti pubblici diversi.  Durante il Salone del Mobile si è rivolta principalmente a designer e produttori, ma  esiste un altro pubblico più generale di New Craft che ha a che fare con un’idea nuova di manifattura, di produzione, di legame tra produzione e cultura: le associazioni di categorie, le banche e le istituzioni culturali che vogliono parlare in forma nuova al mondo manifatturiero.
Altro pubblico importantissimo sono le scuole e le università che oggi stanno ragionando in maniera creativa sulle forme nuove di didattica e sperimentazione e che hanno bisogno di intravedere un nuovo traguardo. Uno dei possibili obiettivi della formazione tecnica è suscitare nei ragazzi l’idea di un nuovo orizzonte. In questo modo nei giovani si innesca questo fenomeno del recupero della capacità del saper fare come strumento abilitante. Se il nostro sistema formativo inizia a mettere in campo questo modello economico, la nostra manifattura ne può giovare in tempi brevi.
Quando si parla di tecnologia spesso si tende ad associarla alla causa della sottrazione del lavoro, questa mostra racconta uno scenario diverso, di futuro possibile per l’Italia e per l’Europa.
Ci tenevo che l’impianto espositivo potesse aprirsi ai pubblici diversi che stanno ragionando su questi temi da punti di vista differenti. Proprio perché il cambiamento che stiamo vivendo non è settoriale ma sistemico, orizzontale. È in corso la terza rivoluzione industriale, che recupera la capacità del saper fare e la cultura del design  e del progetto e lo mescola con questo nuovo potenziale della tecnologia.
 

Come cambia quindi oggi il rapporto tra lavoro, consumo e produzione?
La mostra racconta il tramonto del modello economico  fondato sull’economia di scala. Si mette in scena l’idea per cui  non si crea valore banalizzando il prodotto e mettendolo in una produzione seriale, ma utilizzando il digitale per ottenere varietà e per lavorare sul tema della personalizzazione. Si produce meno in quantità ma si produce più in termini di valore.
In Italia questo fenomeno lo stiamo sperimentando nell’ambito agroalimentare, in particolare con  il vino. Produciamo meno ma più varietà, sviluppando più valore economico, più export e più valore aggiunto. Si abbandona l’idea di produzione industriale, per aprirsi alla varietà e al confronto, facendo sì che anche i piccoli operatori possano incrociare il grande mercato.
 
Questo Paese può rinascere attraverso il proprio genius loci: la contaminazione dei saper fare con l’innovazione tecnologica, creando un capitale sociale diversificato che sostenga la co-creazione e la dimensione umana per lo sviluppo del territorio.

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