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Politiche culturali e fondazioni in Turchia: un primo sguardo d’insieme

  • Pubblicato il: 15/09/2018 - 08:00
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DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Giuseppe Mancini
Cosa sta accadendo nella cerniera tra Occidente e Oriente? La Turchia, osservata con apprensione dalla nostra parte del mare per il futuro della democrazia targata Erdogan, nonostante la crisi politica innescata dal colpo di stato del 2016 e il crollo rovinoso della moneta nazionale, continua sorprendentemente a investire in cultura di qualità e a preservare spazi internazionali di visibilità; l’onda lunga di Istanbul capitale europea della cultura 2010 continua a generare dinamismo e fermento, anche nel resto del Paese. Nuovi musei archeologici di rilevanza mondiale, nuovi musei privati di arte contemporanea, il nuovo teatro d’opera a piazza Taksim a Istanbul, il nuovo museo civico dedicato alla storia plurimillenaria della capitale prima romana e poi ottomana, nuove edizioni di biennali e festival, nuove inclusioni annuali nella Lista del patrimonio dell’umanità dell’Unesco, nuovi progetti di avveniristico pregio architettonico. I grandi gruppi industriali sono scesi in campo rinnovando una forte tradizione filantropica. Ne parla Giuseppe Mancini, giornalista che vive a Istanbul, che in un viaggio ideale nei prossimi mesi ci restituirà una visione diretta di ciò che accade nel paese.

Da una parte, lo Stato e le municipalità – dappertutto, sul territorio nazionale – puntano sul rinnovamento dell’infrastruttura museale per promuovere lo sviluppo locale attraverso la leva del turismo: un turismo che si vorrebbe di sempre più alto profilo e con maggiore potenziale di spesa – culturale, religioso, naturalistico, gastronomico – rispetto a quello balneare di massa ancora dominante (di provenienza russa, soprattutto). Dall’altra, le fondazioni private perseverano nella loro storica missione che rispetto al pubblico è complementare e a volte quasi sostitutiva: fondazioni per la maggior parte create dai grandi gruppi industriali e dagli istituti bancari che si fanno operatori culturali, che praticano mecenatismo ad ampio raggio, che partecipano a progetti pilota di gestione mista.
 
La tradizione filantropica turca
L'attivismo delle fondazioni di oggi non è però una novità: perché le vakıf nate nella seconda metà del XX secolo riproducono la tradizione e le funzioni delle fondazioni religiose di epoca ottomana, musulmane e non musulmane (ancora esistono, amministrano patrimoni immobiliari e offrono assistenza). La tradizione, per l'appunto, è quella di investire nelle opere e nei servizi: i gruppi Koç, Sabancı, Eczacıbaşı, Borusan, Doğuş, le banche Garanti, Akbank, İş Bankası – solo per citare i maggiori – hanno istituito università e musei, hanno aperto auditorium e centri culturali, finanziano orchestre e rassegne di ogni tipo dalla musica classica al teatro. Progetti di livello eccellente, gestiti con professionalità manageriale.
 
Assumere questo ruolo prominente è stato – ed è sempre più – pressoché una scelta obbligata, nel contesto turco: lo Stato non è in grado di soddisfare la domanda di cultura in maniera adeguata, soprattutto in virtù di finanziamenti erogati con estrema parsimonia. Inoltre, c'è un sostanziale scollamento tra pubblico e mecenati: tranne rari casi, non esiste una strategia condivisa per incentivare le industrie creative, anche solo per trasformare la cultura in strumento incisivo di public diplomacy e soft power (l'immagine della Turchia all'estero ne risente pesantemente). L'istituzione di un ministero unificato di Cultura e turismo, nel 2003, ha poi determinato una preferenza strutturale per il marketing internazionale – in termini di scelte, in termini di fondi – rispetto ai progetti di lungo periodo rivolti ai cittadini; non a caso, il neo ministro Mehmet Ersoy è fondatore e proprietario di una catena di agenzie di viaggi.
 
Alcuni esempi virtuosi
Il settore pubblico è soprattutto interessato a grandi e accattivanti progetti infrastrutturali che possano fungere da attrattori turistici decentralizzati, così anche da decongestionare i monumenti famosi – soprattutto a Istanbul: il palazzo imperiale di Topkapı, Ayasofia; ma anche Efeso e Pamukkale/Hierapolis – che fagocitano l'interesse dei visitatori. Da una parte, sono stati restaurati e modernizzati musei statali esistenti – soprattutto archeologici – e aperti di nuovi: quelli spettacolari dedicati ai mosaici di Gaziantep/Zeugma, Antiochia, Urfa, il museo di imminente apertura a Troia che racconterà storia e mitologia della Troade e dell'Iliade; dall'altra, il ministero si è attrezzato con personale specializzato per curare con successo candidature all'Unesco ogni anno: Pergamo, Aphrodisias, i santuari neolitici di Göbeklitepe sono tra le più recenti inclusioni (queste ultime due, con l'apporto decisivo del settore privato).
 
Il mecenatismo è evidente soprattutto nella gestione – concentrata a Istanbul, però – di musei e centri culturali che per l'appunto sopperiscono alla mancanza di analoghi istituti statali (solo in parte recentemente colmata), producendo mostre molto valide e stagioni artistiche di successo: il museo di Pera e il Centro di ricerche di Istanbul con biblioteca e archivio fotografico, il museo Sakıp Sabancı, il Centro di ricerche sulle civiltà dell'Anatolia ANAMED con biblioteca specializzata e programma di borse di studio, il rinnovato centro culturale della Yapı Kredi di fronte al liceo Galatasaray, il SALT aperto dalla Garanti nella restaurata sede della Banca ottomana con biblioteca e archivio; a questi si aggiungeranno presto due musei che ospiteranno collezioni di arte moderna e contemporanea, delle famiglie Koç (in costruzione) e dei Sabancı.
 
Un caso speciale è poi quello della IKSV, la Fondazione per la cultura e le arti di Istanbul istituita già nel 1973 per iniziativa di un gruppo di industriali turchi tra cui spicca il colosso farmaceutico Eczacıbaşı, che è diventata il vero punto di riferimento e motore di tutto ciò che è cultura con una dimensione internazionale. La Iksv organizza festival annuali di musica classica, jazz, cinema, teatro, oltre alle biennali di arte contemporanea e del design: tra l'altro, in luoghi estremamente suggestivi e poco sfruttati della città; cura inoltre il padiglione turco alle biennali di Venezia, dispone di una sala propria che ospita artisti ed eventi all'avanguardia. Gli Eczacıbaşı sono anche gli ispiratori dell'Istanbul Modern, il grande museo di arte moderna e contemporanea in riva al Bosforo che avrà presto una sede rinnovata progettata da Renzo Piano.
 
Gli approfondimenti da fare
Quella delle fondazioni che fanno cultura e che sperimentano nuovi modelli di gestione è una realtà che si conosce molto poco, al di fuori della Turchia. Eppure, raccontarne da vicino le attività e le scelte strategiche, spiegarne i meccanismi di funzionamento e ascoltarne i finanziatori e i direttori artistici può essere molto utile per comprendere un Paese – oggi lacerato, minacciato da conflittualità interna ed esterna – che rimane decisivo negli equilibri geopolitici del Mediterraneo orientale e nei rapporti tra il mondo occidentale e il mondo islamico. Un Paese in cui nel corso dei secoli cultura e arti di provenienze disparate – etniche, religiose – hanno costantemente saputo trovare punti di incontro, un Paese che racchiude testimonianze archeologiche e storiche in cui affondano le radici fondative della nostra cultura e del nostro immaginario collettivo.
 
 
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