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Più Cultura e Formazione per salvare l’Italia

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 13:05
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
L. Maria Rita Delli Quadri
Rapporto Annuale Federculture 2012

Roma. Negli anni, Federculture ci ha abituati  a momenti pubblici di certo impatto emotivo per richiamare le coscienze di politici, amministratori, imprenditori, uomini di cultura, all’urgenza di individuare, una volta per tutte, le linee per una crescita sostenibile del Paese. Così, lo scorso 12 giugno, Roberto Grossi, Presidente della Federazione, non ha deluso il variegato e folto pubblico che si è riunito nell’Auditorium  del MAXXI di Roma per assistere alla presentazione del «Rapporto Annuale Federculture 2012, Cultura e Sviluppo. La scelta per salvare l’Italia», edito, per la prima volta, da 24Ore Cultura, a suggellare la corrispondenza di amorosi sensi che già passava per l’empatia delle convinzioni tra la stessa Federculture e il Gruppo Sole24Ore.
Nella sua articolata, oltre che appassionata introduzione,  Grossi, dati alla mano, ha argomentato la risposta alla domanda iniziale, che, per altro, in molti si fanno, e non da oggi: è possibile un nuovo modello di sviluppo che parta dalla Cultura? E, dal momento che, in un Paese in cui l’età media sale costantemente come nel nostro, siamo un po’ tutti affetti da pigrizia, sordità e indolenza, repetita juvant.
Se nel 2011 la spesa delle famiglie italiane per cultura e ricreazione ha raggiunto i 70,9 miliardi  di euro, aumentando del 2,6% dal 2010, non sembrando risentire del periodo di piena crisi economica; se anche il turismo vive un momento di ripresa, con un aumento del 5,4% di arrivi di turisti; se nel 2010 abbiamo esportato beni creativi per un valore che supera i 23 mld di dollari: si arriva alla conclusione, che in molti condividiamo,  che sì, in questo momento di crisi generale e complessiva, in cui aumenta giornalmente l’esercito degli ultimi, la Cultura può e deve essere gestita in modo produttivo.
A patto di impegnarsi, a tutti i livelli, in una rivoluzione culturale che prenda coraggio e liberi le energie che pure ancora esistono nel Paese. Parafrasando Dostoevskij, la speranza e la bellezza salveranno il mondo, questo mondo. Ma, perché questo accada, bisogna ripartire dalla base, dalla formazione, dalla scuola, dalla famiglia. Bisogna, cioè, fare quello che, in Italia (ahimè), non si fa seriamente da troppo tempo: occuparsi dell’infanzia e della prima giovinezza convintamente, in modo responsabile e serio, educando sin dalla tenera età il cittadino alla sua eredità culturale, insegnandogli ad amarla, riconoscersi in essa, rispettarla. Un segnale allarmante, in questo senso, stando ai dati prodotti nel Rapporto Federculture, è quello relativo al crollo delle immatricolazioni  negli atenei italiani, dove si iscrivono solo il 60% dei diplomati,  cioè il 10% in meno rispetto a quelli dell’anno scorso.  A livello internazionale, nessuno dei nostri atenei è tra i primi 100, e i ragazzi italiani che non raggiungono il diploma sono il 18,8%, circa il doppio che in Francia e Germania.
Il richiamo, di Grossi e di tutti gli intervenuti al dibattito successivo, è, quindi, al ricorso, urgente, alla buona politica, più che agli investimenti, problematica per affrontare la quale, allo stato attuale, uno strumento utile potrebbe “semplicemente” consistere in una maggiore consapevolezza rispetto alla dimensione delle risorse, e una loro migliore gestione. Una soluzione potrebbe risiedere nel tentare di coordinare le risorse centrali e locali, considerando che i tagli alle spese in cultura hanno riguardato sia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (in dieci anni, una diminuzione del 36,4%), sia gli enti locali (dati diretti Federculture pubblicati nel Rapporto, rilevano come , su un campione di 15 Comuni, tra il 2008 e il 2011 la spesa culturale , in particolare relativa agli investimenti, sia diminuita mediamente del 35%).
Diverso il tema della politica, nel senso proprio dei sistemi di governance che devono sovrintendere al settore culturale, per la quale i tempi sono maturi, e già da un po’.  Nel corso della mattinata si è più volte affermato il ruolo fondamentale e insostituibile della pubblica amministrazione, rappresentata, in quel contesto, dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali; alla quale, però, lo stesso Ornaghi sostiene essere sempre più necessario l’affiancamento dei privati, sempre più nella direzione della partnership, piuttosto che della sponsorship. Lo strumento delle Fondazioni, per quanto non scevro da limiti che producono insoddisfazione sia nel settore pubblico, sia in quello privato,  quando ben gestito produce risultati efficaci ed efficienti, e dunque rimane un modello valido da utilizzare con consapevolezza e senso di responsabilità.
Ancora il rapporto pubblico/privato, e poi:  l’emergenza formativa intesa anche come strumento per ridurre la criminalità e il degrado sociale ; il richiamo all’importanza di agire sulla produzione artistica contemporanea per continuare a costruire il passato in un processo continuo, che non abbia fratture con il futuro; l’importanza di una cultura condivisa; la crisi del teatro e della televisione, sono stati gli altri, stimolanti temi sollevati nel corso del dibattito moderato da Armando Massarenti, Direttore del Domenicale del Sole24Ore, e animato da Rocco Buttiglione, Gianluca Comin, Maria Carmela Lanzetta, Ivan Lo Bello, Edoardo Nesi e Franco Scaglia.
 
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