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Pay for results. Se c’è impatto, l’innovazione sociale si finanzia

  • Pubblicato il: 15/09/2016 - 16:23
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OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Fondi per il sociale sempre più vincolati al risultato con il meccanismo del pay for results. E’ uno dei segnali della crescente attenzione politica alla reingegnerizzazione del finanziamenti sociali che guarda ai risultati. Ne abbiamo parlato in occasione del convegno “Finanza e Filantropia” di ExpoElette con il prof. Mario Calderini, professore ordinario del Politecnico di Milano e Vice Direttore dell’Alta Scuola politecnica, membro italiano del Global Steering Group on Impact Investing. 'Nel nostro paese il dibattito si è radicalizzato tra chi considera la finanza ad impatto una meteora irrilevante e chi una panacea per tutti i problemi'

 
Cresce il dibattito in Italia sulla “Finanza ad impatto”, radicalizzato su posizioni dicotomiche: metora o soluzione per l’innovazione sociale. Può commentare?
Ci sono molte ragioni per affermare che l'opzione della finanza a impatto sociale, pur essendo tema di perimetro molto ampio, possa costituire un elemento centrale di un'agenda di sviluppo: l'emergere di nuove sfide sociali, la contrazione e l'arretramento delle politiche di welfare costringono chiunque si occupi di modelli sociali a ripensare alle modalità di approvvigionamento, sia dal settore pubblico che da quello privato.A mio parere, la social innovation sta diventando un’area molto diversa da quella che conosciamo. Non si tratta più di un impegno esclusivo del Terzo Settore, non si tratta solo di modelli cooperativi, non è profit, ma è un oggetto ibrido che deriva dal non profit e si struttura per cogliere occasioni di mercato, o dal profit, che si adatta al mercato. Stiamo assistendo alla nascita di molti soggetti ibridi che hanno politiche miste.

Un quarto settore in tempi ibridi?
Potrebbe. Non è solo un Terzo settore evoluto, ma anche profit che diventa altro.
Il Governo sta andando incontro, da alcune legislature, alla evidente tensione al cambiamento, con alcune azioni più felici, altre meno. Con il Governo Monti abbiamo avuto le start-up a vocazione sociale, con l’ultima Legge di Stabilità sono state introdotte le benefit corporation, la riforma del Terzo settore attende i decreti attuativi. Sono processi di ibridazione in corso. Soggetti che coniugano impatto sociale e profitto che potrebbero diventare protagonisti di modelli di sviluppo. Debbono crescere e necessitano di una finanza adatta alla loro crescita, che deve fornire risorse private compatibili con questo modello, attente ad elementi di profitto, di rendimento, ma nel contempo all’impatto sociale.
Il Terzo settore ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere labour intensive. Oggi moltissimi paradigmi di intervento sociale sono abilitati da tecnologie, da capitale, quindi il Terzo Settore sta diventando anche capital intensive.
Da un lato si pone un problema di trovare le risorse finanziarie adatte a questi strumenti, dall'altro è anche vero che il grande fenomeno che noi osserviamo è
Un tempo il pubblico dava finanziamenti a fondo perduto o semplicemente riallocava le risorse pubbliche su attori sociali che erano in grado di intervenire su temi di welfare
Oggi osserviamo che, con l'arretramento del welfare nella stragrande maggioranza dei paesi avanzati, questi soggetti, ricevendo meno risorse dal pubblico, debbono cercare risorse private per mantenere il servizio. Le stesse risorse che il pubblico mette a disposizione sono ormai sempre di più condizionate dalla logica pay for results, ovvero non un dollaro a migrante accolto, ma a risultato conseguito con operazioni di impatto vero, con inclusione in reti sociali ed economiche. Quindi pagamento a risultato. Questa è un'operazione molto delicata e molto importante per il sociale,perché vuol dire cambiare completamente il paradigma di intervento e soprattutto vuol dire accollarsi un rischio che prima era interamente in carico alla pubblica amministrazione.

Occorrono nuove competenze e organizzazioni strutturate.
Strutturazione della domanda, modelli manageriali. Elementi fondamentali per soggetti che debbono accollarsi un rischio di impresa e debbono rivolgersi ad investitori privati. Oggi abbiamo sofisticati strumenti finanziari, ma occorrono competenze per comprenderlo e utilizzarli.

Qual è una possibile via italiana?
Nel mondo si sono delineati chiaramente alcuni grandi fenomeni.attenzione. L’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’Australia e il Canada, ovvero i paesi di tradizione anglosassone sono gli apripista. E’ quindi ovvio che Hillary Clinton abbia inserito nel proprio programma i social impact bond e che il Senato americano individui la finanza di impatto con una delibera dedicata come grande strumento di sviluppo, che il governo inglese approvi la strategia per fare dell'Inghilterra il miglior paese al mondo per impatto sociale.
Anche la Francia, che non è certo un paese sfrenatamente liberista, ha approvato il cosiddetto “contratto di impatto sociale”, attraverso il quale vengono stanziate risorse pubbliche per rimborsare i privati che realizzano interventi sociali, anche spontanei, scalabili, che dimostrino un impatto sociale misurabile che fa risparmiare risorse al sistema pubblico.
Il Portogallo per primo ha creato un fondo di impatto sociale.
Il Vaticano stesso ha realizzato la seconda conferenza sull'impact investing, di livello planetario, promossa dal Cardinal Turkson, Presidente per il Consiglio Pontificio per la Giustizia e la Pace. Il Papa ha sdoganato completamente l'impact investing come grande strumento di intervento, per la Chiesa e i suoi enti strumentali. La Caritas, in Svizzera, con una grande banca, ha realizzato su queste basi un format di intervento di accoglienza dei rifugiati. Il Financial Times ha definito Blessed Returns questa scelta del Pontefice.
Il mondo si sta trasformando.
L’Italia deve trovare una propria via che in sede di G7 abbiamo definito compensativa rispetto a quella anglosassone. In Inghilterra il primo Ministro può convocare la grande finanza, presentare i dati di arretramento nel mondo del welfare entro il 2020, miliardi e miliardi e invitare a salire sul carro di una grande occasione.
La via italiana, che definirei “sentimentale”, tiene conto che quest'approccio taglia delle curve ideologiche, deve fare i conti con il Terzo Settore e il sistema cooperativo. Non possiamo immaginare di partire dagli strumenti finanziari rischiando di snaturare completamente i valori fondanti delle imprese del Terzo settore. C’è un gran lavoro da fare.

Come si colloca in questa visione la scelta del Governo di creare una Fondazione, Italia Sociale, inserita nella riforma del Terzo Settore? Un ente di intermediazione della filantropia.
“E’ significativa la costituzione della Fondazione Italia Sociale, che ha ricevuto molte critiche durante il lungo periodo di gestazione, anche per la scarsissima chiarezza con cui è stata presentata, ma che forse potremmo cominciare a guardare con spirito propositivo. Da quel che è dato intendere, la Fondazione è chiamata a raccogliere, in aggiunta al milione (che ci auguriamo non rappresenti una misura dell’interesse del Governo alla questione) di origine pubblica, risorse filantropiche private per distribuirle o investirle con diverse modalità. Benissimo quindi, a patto naturalmente che si tenga conto di alcune questioni, che derivano dall’osservazione delle migliori pratiche internazionali. Primo, che serve una governance robusta, chiara, trasparente e rappresentativa dell’interesse pubblico di cui la Fondazione è espressione. Secondo, il fondo di investimenti dovrebbe sperimentare con cautela, all’interno di un portafoglio ben bilanciato, strumenti innovativi basati su logiche di Payment for Results. Terzo, che parte delle risorse deve essere finalizzata al sostegno dell’imprenditorialità sociale per garantire la scalabilità, la robustezza manageriale, l’assetto patrimoniale e il posizionamento strategico che si richiedono a chi intenda proporsi credibilmente agli investitori sociali.”

Come cogliere l’opportunità delle risorse comunitarie stanziate?
Ci sono buoni segnali dalle Regioni. La Regione Sardegna sta per lanciare un Social Impact Bond con i FeS, quindi con i fondi strutturali. Anche il Piemonte ha ragionamenti in stadio avanzato.
Ritengo che i fondi comunitari possano essere usati per fare sperimentazioni di partenariato pubblico-privato, basate su logiche pay for result.
Una strada è il finanziamento ad imprese di qualunque genere che dimostrino e misurino in modo credibile l'impatto sociale che realizzano. Questi fondi comunitari potrebbero unirsi a risorse private, a mio avviso la soluzione migliore e costituire la garanzia del rischio per i soggetti privati che in questo modo possono far pagare meno il denaro. Un mix di risorse a tasso zero e a tasso di mercato che può rendere appetibile, per le imprese sociali, accedere a questi capitali.

In Italia abbiamo fondi comuni privati ad impatto.
Sul lato equity abbiamo Oltre Venture e Opes, che investono sul capitale di rischio, ovvero entrano nell'equity delle imprese, chiedendo un impatto sociale misurabile e un rendimento molto contenuto. Ci sono operazioni in gestazione. Fondazione Cariplo sta lavorando con Fondazione Dell'Amore e il nuovo presidente di Compagnia di San Paolo, Francesco Profumo, ha dichiarato di voler reingegnerizzare le attività filantropiche in questa direzione.
Poi naturalmente c'è molta attività sul lato del debito, dei prestiti impact. Banca Prossima è forse la realtà più attiva e sperimentale, ma anche banche tradizionali (UBI Banca ormai si sta abbastanza specializzando in bond sociali ai quali BNP Paribas guarda con grande attenzione) stanno cominciando a pensare di sviluppare strumenti impact.

Per quanto riguarda i social bond?
Occorre distinguere tra Social Bond e Social Impact Bond. I Social Bond, intesi come titoli di debito e quindi strumenti di raccolta massiva verso i privati, a rendimenti inferiori rispetto al mercato, rivolti a progetti etici
I Social Impact Bond in senso proprio stretto, sono basati sulla misurazione del risultato e quindi su un rendimento proporzionale. In Italia c'è stato un tentativo di Banca Prossima varato a Scampia che per regole di contabilità standardizzate dell'amministrazione italiana è stato troppo complesso da gestire in una logica impact. Ci sono però progetti in corso che penso diventeranno noti a breve, di social impact bond legati in particolare all'educazione, all'affido dei bambini, alla cura.

I social impact bonds attivi nel mondo sono 61, di cui 32 nel Regno Unito, 2 in Canada, 2 in Israele e 10 negli Usa. Un anno fa erano 38. Una crescita rilevante. Hanno avuto tutti successo. Sono stati orientati anche al grande mondo della sanità?
In Italia ancora no, ma tra poco sapremo se sarà andato bene come raccolta il primo vero social impact bond legato al mondo della sanità a livello internazionale, di Israle, sul diabete.
Sono circa 40 nel mondo e lo strumento è in crescita. Come tutti gli strumenti fortemente innovativi attirano critiche.
Non tutti hanno funzionato, ma ciò fa parte delle sperimentazioni. In Australia funziona quello sull'affidamento dei bambini. Negli USA quello sulle carceri è fallito, non dal punto di vista finanziario, ma sociale perché non è diminuito il tasso di recidiva.

La task force G7 alla quale appartiene come si sta muovendo?
La task force ha concluso il suo percorso e ora è diventata un Global Steering Group on Impact Investing che si è recentemente riunito a Lisbona. Stiamo raccogliendo le migliori pratiche a livello internazionale, allargandoci piano piano al G20. Terminata la fase di advocacy con i Governi, -chi voleva capire l'ho ha fatto. Proviamo ad essere “luogo di incubazione di dimostratori”. E’ ciò che serve.

Dalla task force era emersa l'agenda impact per l'Italia, con le quaranta raccomandazioni. Quale il seguito?
Il Comitato della Social Impact Agenda per l'Italia ha appena iniziato il proprio lavoro per trasformare le raccomandazioni in sperimentazioni.

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