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Patrizia Asproni alla testa delle Industrie Culturali Creative

  • Pubblicato il: 16/03/2012 - 10:21
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni
Patrizia Asproni

Il «Manifesto per la Costituente della Cultura», lanciato qualche settimana fa dalle colonne del giornale il Sole 24ORE, house organ della Confindustria, sta generando un crescente e autorevole dibattito unidirezionale sul valore economico del comparto culturale, ponendo le Industrie Culturali e  Creative al centro di una nuova strategia di rilancio del sistema Paese.
Oltre al vasto consenso che il Manifesto sta raccogliendo con un coro di firme d'adesione eccellenti, tre Ministri (Ornaghi, Profumo, Passera) hanno siglato una lettera congiunta, invero ancora un po’ «alta», nella quale si impegnano a collaborare per rimettere nell'agenda strategica l'investimento sull'educazione, innovazione tecnologica.
Non mancano perplessità sull'immobilismo dello Stato, come politiche e come «macchina» ma il clima del cambiamento necessario si avverte, come la necessità di cooperazione,  sia in termini economici che gestionali, tra pubblico e privato per il Patrimonio Culturale del Paese.
Una risposta concreta proviene da Confcultura, in seno a Confindustria che, con la nascita della Fondazione Industria e Cultura,  vuole porsi come organo di riferimento per  il sistema delle imprese che vogliano sostenere il comparto con erogazioni, sponsorizzazioni e azioni di partnership su lungo periodo, ma anche come azioni di investimento.
Ce ne parla la Dott.ssa Patrizia Asproni, Presidente di Confcultura e ideatrice della Fondazione.
 
Prima di cominciare, qualche parola sul suo percorso.
A seguito dell’approvazione della Legge Ronchey, che ha introdotto la gestione dei servizi aggiuntivi dei musei italiani, il Gruppo Giunti, del quale faccio parte in qualità di Direttore dei Beni Culturali, ha vinto il bando di gara per il polo museale fiorentino.  Il Gruppo è diventato fra i primi concessionari e gestori dei servizi museali, ampliando le sue competenze in materia.  Nel 2001 la Giunti, insieme ad altri concessionari attivi sul territorio, ha fondato Confcultura, l’Associazione nazionale che raggruppa le imprese che operano nel settore della gestione culturale, del turismo culturale e dell’innovazione tecnologica per la cultura, di cui sono diventata Presidente.
Nel 2006 Confcultura è entrata in Confindustria, avviando un dialogo sempre più intenso fra imprese private e  Settore Pubblico.
 
Ritiene che il vostro arrivo in seno alla Confindustria sia stato il primo atto ufficiale di riconoscimento del comparto economico delle industrie creative?
Ritengo di sì. Il nostro ingresso in Confindustria ha attirato l’attenzione immediatamente: eravamo una presenza inaspettata in un momento in cui   la Cultura non era ancora considerata Industria perché non si aveva ancora la consapevolezza delle sue potenzialità per lo sviluppo. Sia Luca Cordero di Montezemolo che Emma Marcegaglia hanno però capito immediatamente il valore aggiunto che il nostro comparto portava a Confindustria e ci hanno facilitato nel dialogo e nella divulgazione sinergica con gli altri  settori più “industriali”. Con il loro aiuto e supporto abbiamo  pubblicato il  «Libro Bianco sulla Valorizzazione della Cultura fra Stato e Mercato», che per la prima volta ha evidenziato la situazione in cui si trovano i beni culturali  e la volontà delle imprese di inserirsi in questo settore dalla forte potenzialità.  
 
Come siete maturati?
Mi piace citare il nostro Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, che ha detto  : «Innovazione è preservazione».  E’ una affermazione carica di lungimiranza e visione: andare avanti, superarsi per proteggere quello che si è e il proprio passato. Mi ha ispirato sul futuro. La crisi in corso è pesante, ma è anche occasione di ripensamento, di opportunità di riflessione sui processi, sui territori, sull’immagine del Paese.
Innovare significa anche fare rete e lavorare insieme è la via vincente da percorrere. Per questo ho voluto coinvolgere Federturismo e la sezione Servizi Innovativi e Tecnologici di Confindustria per fondare la Fondazione Industria e Cultura, con la missione di creare una filiera virtuosa che possa essere di sostegno e opportunità ad una crescita potenzialmente stabile e duratura.
La Fondazione, istituzione no profit, si propone come organo di supporto e servizio per tutte quelle realtà d’impresa che vogliono investire nella cultura, sia come produzione, ma anche in forma di erogazioni e sponsorizzazioni. Noi vogliamo diventare punto di riferimento per fornire consulenze, assistenza, studi e ricerche, (ad esempio sulla normativa fiscale in materia) , ma soprattutto vogliamo diventare il meeting place per offrire incontri e spazi di dialogo fra Pubblico e Privato, lavorando sul terreno della convergenza, facilitando  la collaborazione.
 
Quali sono i modelli di riferimento sul tema Governance?
Il nostro riferimento è la Francia, con  la Délégation de service public, ovvero il processo per cui il sistema pubblico affida in assoluta trasparenza la gestione dei Beni Culturali ai privati attraverso Bandi  di gara sostenibili economicamente.
La parola chiave è appunto « delega », che, diversamente dalla « concessione »  italiana basa i propri fondamenti sulla fiducia reciproca. Lo Stato francese valuta il progetto globale di gestione, corredato da un  business plan di sviluppo pluriennale. Una volta scelto il progetto, la gestione viene completamente delegata e  allo Stato resta la funzione del controllo e monitoraggio.
Rispetto al modello italiano, si verifica un’ottimizzazione della gestione , poichè la missione è  condivisa e orientata al successo di entrambi. Non dimentichiamo infatti che l’impresa privata versa un canone o una royalty allo Stato, e inoltre crea occupazione.  Trovo questo modello sostenibile e virtuoso : quello che manca all’Italia è la regolamentazione nella gestione del Patrimonio, nella quale  il dialogo fra le parti si spegne per la diffidenza reciproca fra il pubblico e il privato.
 Col progetto della Fondazione vorremmo chiarire anche questi passaggi, nei quali  si scontano ancora la pesantezza delle normative e la burocrazia che scoraggiano le imprese nell’avvicinarsi alla Cultura.  Capire quali sgravi e quali fondi si possono ottenere è un lavoro impegnativo di analisi. E continuiamo anche a trascurare l’Europa e i suoi programmi con i quali è invece indispensabile lavorare perché i fondi e le opportunità offerte sono, e lo saranno sempre di più, la vera risorsa cui attingere per lo sviluppo del territorio.
Abbiamo anche noi delle best practice da utilizzare come « benchmark » come ad esempio la Fondazione Hangar Bicocca della Pirelli,  la Venice Foundation, Genus Bononiae della Fondazione Carisbo o il progetto museale di Banca Intesa :  il sistema delle Fondazioni italiane esprime un patrimonio e un know-how immenso.
 
Come procederà Fondazione Industria e Cultura nell’immediato ?
Stiamo organizzando incontri ristretti di ascolto e raccolta di input su tempi specifici ai quali invitiamo economisti, banchieri, operatori culturali, addetti ai lavori.
 L’idea è quella di attivare vere e proprie sessioni di studio, scambiando competenze e strumenti, per cercare soluzioni e prospettive comuni, utilizzando i nuovi media per dialogare anche con strutture analoghe in altri Paesi.

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