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Ovidio stampato su ceramica

  • Pubblicato il: 11/05/2012 - 11:06
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Laura Lombardi
Bottega di Nicola da Urbino

Firenze. Il Museo Nazionale del Bargello dal 16 maggio al 16 settembre dedica una mostra al proprio prezioso nucleo di maioliche di provenienza medicea che, per l’occasione, si affiancano ad altri esemplari provenienti da collezioni italiane e straniere. «Fabulae pictae», diretta da Beatrice Paolozzi Strozzi e curata da Marino Marini, intende soprattutto porre in risalto la diretta dipendenza di quelle maioliche istoriate del Rinascimento dalle fonti letterarie, storiche e figurative (la pittura in particolare, ma anche le incisioni, le medaglie e i bronzetti).
La prima sezione del percorso presenta una selezione di temi tratti dalla mitologia classica, mentre nell’altra troviamo raffigurati episodi di storia antica. Oltre a esemplari di Cafaggiolo e Deruta, spiccano soprattutto i due più prestigiosi poli produttivi ceramici del Rinascimento: Faenza e il ducato di Urbino. I pittori maiolicari assimilarono i temi pittorici trascrivendo nelle loro opere le xilografie che illustravano le edizioni a stampa di testi letterari, come il Vecchio e il Nuovo Testamento, le Metamorfosi di Ovidio e le Storie romane di Tito Livio; nelle botteghe dei ceramisti erano anche le stampe in fogli sciolti, soprattutto quelle di Marcantonio Raimondi e della sua cerchia, a divulgare le «bozze» raffaellesche e le composizioni dei massimi pittori italiani. Nel catalogo Giunti, con contributi scientifici di specialisti italiani e stranieri, Marino Marini ripercorre la genesi e la fortuna storica del nucleo di maioliche medicee, oggetto degli studi di Giovanni Conti e Marco Spallanzani; le prime attestazioni di manufatti ceramici appartenuti alla famiglia Medici sono rintracciabili nella documentazione d’archivio già al tempo di Piero di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo il Magnifico, e sono documentate le ordinazioni di Cosimo I a Venezia e Faenza. Francesco I predilige la produzione faentina caratterizzata da una candida smaltatura sulla quale risaltano le divise araldiche degli aristocratici committenti, ma colleziona anche i vasellami urbinati: Flaminio Fontana esegue per il principe Francesco I nel settembre del 1573 dieci maioliche di varie forme e grandezze, alcune decorate a «raffaellesche» (ossia la versione più aggiornata delle grottesche di primo Cinquecento), che nella seconda metà del secolo si caratterizzano per la dipendenza dalle decorazioni delle Logge Vaticane e per il fondo bianco su cui spiccano. Stesso entusiasmo rivela Ferdinando I de’ Medici, mentre dopo Cosimo II e per tutta l’età lorenese le raccolte ceramiche sono a poco a poco alienate e i pezzi destinati nel 1796 alla Guardaroba come «robe da scarto» fino alla vendita all’asta nel ’97 con l’acquisto da parte di un rigattiere fiorentino. La mostra (sostenuta dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze) propone anche esempi di arti applicate, nei quali ugualmente si diffusero i temi aulici della cultura del tempo e ai quali gli stessi maiolicari si ispirarono.

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da Il Giornale dell'Arte numero 320, maggio 2012