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Nuovi territori per la Fondazione Merz

  • Pubblicato il: 15/01/2017 - 23:40
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

La prima personale di Marisa Merz negli Stati Uniti, un progetto rizomatico nella città di Palermo, una prossima sede svizzera, un’intesa veneziana che ispira e rafforza un metodo di lavoro. Sono solo anticipazioni sulla programmazione 2017 dell’istituzione torinese, nuove geografie per radici comuni

Torino. Voltaire sosteneva che è difficile capire il mondo senza uscire di casa propria. Un aforisma che è strada maestra per il futuro della Fondazione Merz: dalle molte collaborazioni internazionali al radicamento in nuove realtà. Nata nel 2005 con l’intento di generare valore sul lascito di Marisa e Mario Merz e creare connessioni con le nuove forme di linguaggio artistico attraverso mostre e attività educative, dopo dieci anni rilancia la sfida alla complessità con un’apertura verso l’esterno. Incontriamo la presidente Beatrice Merz – figlia di Marisa e Mario Merz - in un innevato pomeriggio di gennaio, in via Limone 24, nel quartiere operaio di Borgo San Paolo. Ex centrale termica appartenuta alle Officine Lancia sin dagli anni Trenta, l’edificio di archeologia-industriale di proprietà della Città di Torino, ospita la sede torinese della Fondazione che sino al 5 febbraio accoglie Al Araba Al Madfuna, mostra personale di Wael Shawky, vincitore della prima edizione del Mario Merz Prize.

Tra pochi giorni verrà inaugurata, al Metropolitan Museum di New York, la prima personale di Marisa Merz negli States. A febbraio inaugurerete l’operazione palermitana con le proiezioni video di Wael Shawky. Quale idea ha generato lo sviluppo dei progetti che si realizzeranno nei prossimi mesi?
Il progetto di Palermo nasce da una necessità che già avvertivamo all’interno della Fondazione: volontà di allargare la nostra azione su altri territori, di allargare le geografie in modo spiralico. Abbiamo raggiunto il decimo anno di attività proprio l’anno scorso, ispirandoci ai significati simbolici e pratici del lavoro di Mario Merz. La sua modalità di lavoro era contraddistinta anche da tratti nomadici che lo portavano a vivere più città. Questo modo di “stare al mondo” ci ha permesso di maturare la decisione di allargare i nostri confini, aprendoci alla possibilità di avere uno spazio in Svizzera. Abbiamo scelto la città di Zurigo, che per noi rappresenta un legame importante anche da un punto di vista emotivo per dare vita ad uno spazio espositivo che sarà il gemello svizzero della fondazione italiana. Questa nuova consapevolezza ha generato, oltre all’esigenza di guardarci attorno, lo sviluppo della capacità di attrazione dell’attenzione da parte di altri soggetti.
Nello specifico la città di Palermo ci ha contattato per una collaborazione da realizzare nell’ambito del loro programma di avvicinamento a Manifesta 2018. Questo appuntamento, infatti, non è interpretato dai policy makers locali come un semplice momento espositivo, ma come una modalità di valorizzazione del territorio e dell’offerta culturale e turistica locale, che partirà già dai primi mesi di quest’anno. Nella loro concezione, Manifesta 2018 può stimolare un nuovo panorama culturale cittadino e diventare un driver per lo sviluppo economico e urbanistico della città. In questa direzione, hanno invitato lo studio OMA, dell’architetto Rem Koolhaas, a pensare strumenti di mediazione culturale, invece di affidare ad un curatore specifico un consueto evento espositivo. Partendo dal desiderio espresso dagli amministratori palermitani, è nato un dialogo tra noi e la Città, che si sta traducendo in una nuova forma di collaborazione. Non saremo gli unici ad essere coinvolti in questa esperienza, è naturale, ma siamo felici di essere tra i primi.

A Palermo quali sinergie sono state attivate sul territorio e come pensate di coinvolgere gli attori locali, in un’ottica di sostenibilità economica e integrazione di altri soggetti?
È una progettualità che si sta costruendo. Il primo appuntamento inaugurerà il 10 febbraio e vedrà il vincitore della prima edizione del Mario Merz Prize, Wael Shawky, esporre i suoi film in due luoghi di grande pregio architettonico e culturale: la chiesa seicentesca dei S.S. Euno e Giuliano, situata nel quartiere della Kalsa, spazio del tutto inedito, appena restaurato e restituito alla cittadinanza in questa occasione. L’altro luogo interessato dalla mostra è la sede della Fondazione Sicilia – con un film che verrà installato nel Monte di Pietà, spazio di enorme suggestione all’interno di Palazzo Branciforte. L’operazione, curata da me e Laura Barreca, si prolungherà sino al 12 marzo e rientra in un programma ricco di iniziative che avranno come tema il Mediterraneo e animeranno il capoluogo siciliano per tutto il mese di febbraio 2017.
Un dialogo, quello con la Città, che si sta rivelando fecondo. In un’ottica di rilettura di luoghi storici attraverso le arti visive contemporanee, abbiamo individuato grazie alla sensibilità della sua direttrice anche il Museo Archeologico Regionale A. Salinas, che ospiterà in primavera l’installazione del neon di Mario Merz, intitolata Pittore in Africa (1983). Questa operazione darà avvio ad un progetto su scala urbana che – temporaneamente – prende il nome di La Via di Merz, nell’ambito del quale realizzeremo un percorso di incontro tra antico e contemporaneo. Via Bara all’Olivella che connette idealmente quattro luoghi storici (Palazzo Tomasi di Lampedusa, Palazzo Branciforte, Museo Salinas e il Teatro Massimo) ospiterà un programma espositivo che verrà inaugurato nella prossima primavera e proseguirà con diverse iniziative fino a dicembre 2018.
Su Palermo interveniamo sia dal punto di vista scientifico sia da quello delle risorse investite. Il Comune, infatti, non è committente ma partner dell’operazione. Al momento non abbiamo la possibilità di dichiarare l’entità delle risorse investite perché – come dicevamo prima – il progetto è in crescita. Anche gli artisti coinvolti verranno svelati nel tempo perché – in un qualche modo – tutto è in divenire e deve essere calibrato rispetto agli abitanti di Palermo e le loro esigenze. È ovvio che quando si viene sollecitati ad intervenire si aprono dei mondi, ma stiamo imparando a conoscere la città in questi mesi e la scelta degli artisti si baserà anche sulle suggestioni che il luogo e le persone ci stanno offrendo. Un passo alla volta.

Avete già avuto modo di entrare in contatto con artisti e realtà culturali palermitane? Quali influenze e stimoli avete ricevuto dal milieu artistico e culturale?
Per scoprire il territorio stiamo visitando tanti studi d’artista perché pensiamo sia molto interessante instaurare collaborazioni e attivare progetti coinvolgendo gli artisti che risiedono in loco. Ciò che più mi ha colpita è il desiderio palpabile da parte del mondo culturale di contribuire ad un grande progetto collettivo in grado di attivare le energie migliori di Palermo. Il racconto stereotipato di una città in sofferenza è a fine binario. Noi l’abbiamo trovata entusiasta, energica, creativa e giovane. Abbiamo incontrato tanti professionisti che si sono formati su scala internazionale e sono tornati nella loro città per costruirci qualcosa di nuovo. L’atmosfera creativa è forte. Altri elementi positivi per noi sono l’attitudine naturale della maggior parte delle persone di aprirsi al dialogo e allo scambio, la volontà di raccontarsi e di ascoltare – elementi che spesso non si riscontrano in quelle che in Italia identifichiamo come “capitali dell’arte”.
Dal punto di vista degli operatori ci sono poche gallerie, alcune delle quali stanno facendo un lavoro di grandissima qualità come Francesco Pantaleone. Si sta creando una grande aspettativa sull’apertura dello spazio dei collezionisti Valsecchi, che hanno portato l’intera collezione nello storico Palazzo Butera, ristrutturato in tempo utile per diventarne la sede permanente.

Il vostro lavoro si sviluppa sugli assi di valorizzazione e innovazione. Quali altri appuntamenti tra Torino, Palermo, New York, Los Angeles e altre geografie?
Oltreoceano non siamo noi gli artefici principali della grossa mostra The Sky is a great space, prima grande retrospettiva americana del lavoro di Marisa Merz, che si apre tra qualche giorno al Metropolitan Museum di New York. È un progetto al quale collaboriamo per la parte scientifica e per il supporto alla raccolta delle opere e loro allestimento. È un appuntamento importante che verrà affiancato dalla pubblicazione di un imponente catalogo edito da Hammer Museum Los Angeles, istituzione che ospiterà la mostra nei prossimi mesi. Queste modalità di collaborazione sono già state adottate in esperienze precedenti, quali la mostra Mario Merz. Città irreale alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Mario Merz: I numeri sono preistorici, realizzata al Museo di Arte Cicladica di Atene, o Marisa e Mario Merz al MACRO di Roma.
Una delle prossime azioni della Fondazione concerne l’ideazione e realizzazione di un progetto espositivo di Marzia Migliora, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, con un intervento site specific a Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano. Questa operazione verrà aperta durante l’inaugurazione della Biennale di Venezia e si protrarrà tutto il periodo della manifestazione. In questa occasione agiremo nuovamente come attore strategico, investendo nei costi di progettazione, produzione e comunicazione. Con Marzia Migliora abbiamo già lavorato in diverse occasioni tra cui un’importante mostra personale; è un esempio di come la Fondazione intende individuare e sostenere gli artisti, non limitando questa relazione a una singola mostra, ma cercando di rafforzare il legame nel tempo, sviluppando altri lavori.
Nella sede di Torino, una volta disallestita la mostra di Wael Shawky, sarà la volta di quella dei finalisti della seconda edizione del Mario Merz Prize, insieme al concerto dei finalisti per la parte musicale del premio. In estate abbiamo in programma una mostra di Henrik Håkansson, progetto nel quale metteremo in dialogo la produzione dell’autore con opere della collezione. Concluderemo un anno molto intenso con la mostra di Carlos Garaicoa.
Il Mario Merz Prize costruisce una rete che si sviluppa sia con l’evolversi delle edizioni, sia con il coinvolgimento dei professionisti che ci segnalano le candidature al premio. Oltre ad entrare in pieno nella programmazione della fondazione, il premio è un bacino di ricerca dal quale è possibile attingere per realizzare numerosi ulteriori progetti; è una mappatura che consente alla Fondazione una lettura più approfondita ed ampia della creatività contemporanea. Il premio ci pare la soluzione giusta per sostenere una programmazione di qualità senza penalizzare ricerca e scouting dei nuovi trend sul panorama mondiale della cultura.

Mercato e ricerca. Come la fondazione coniuga i due aspetti?
La Fondazione tutela da un punto di vista scientifico la propria collezione, cercando di generare valore istituzionale sugli artisti che ospitiamo in mostra. È evidente che la reputazione della nostra fondazione influisce sulle variabili di mercato e nella progressione della carriera di un artista. Per quanto riguarda la sostenibilità possiamo contare su un grosso investimento privato da parte della famiglia Merz, che ha l’obiettivo di far crescere la fondazione. Attualmente possiamo contare su un contributo della Regione Piemonte, che è ridotta in termini economici, ma importante dal punto di vista simbolico perché riconosce l’utilità sociale dell’arte e del nostro lavoro. Veniamo sostenuti anche da un gruppo di donors, dalle fondazioni bancarie locali su specifici progetti e da Lavazza che – dall’anno scorso – sostiene soprattutto le collaborazioni scientifiche internazionali.

Una riflessione sul fare della Fondazione. Come interpretate il vostro ruolo da un punto di vista “politico”?
Il rapporto con i temi sociali e l’attualità. L’arte è stato sempre un mezzo per comprendere il mondo, o anche per mettere in discussione le regole che il mondo stesso si era dato fino a quel momento. A mio avviso gli artisti sono delle antenne che captano dei segnali interessanti ai quale noi non siamo abituati, e spesso sono lo specchio di quello che noi andiamo a cercare. L’attenzione sul mondo è necessaria, declinata sull’attualità sociale è fondamentale. Una mostra può essere un modo per dire una cosa, di lanciare un messaggio e, contemporaneamente, attivare un dibattito e sollecitare il pubblico sui temi trattati. Per gli artisti penso sia necessario ritornare all’esercizio del pensiero critico. Un eccesso di autoreferenzialità può togliere la linfa vitale al sistema dell’arte.

Può darci qualche anticipazione sulla fiera del libro d’arte – FLAT – che vedrà la sua prima edizione durante la prossima Torino Art Week di novembre?
FLAT non è un progetto della Fondazione, anche se quest’ultima sarà un partner culturale. FLAT è un progetto di Chiara Caroppo, Mario Petriccione e mio. La prima edizione si svolgerà dal 3 al 5 novembre durante la Settimana dell’arte Contemporanea torinese e si terrà all’interno del nuovo Headquarter Lavazza. Sarà così articolato: una fiera per l’editoria d’arte contemporanea e un programma culturale espositivo e di talk.

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ph | Renato Ghiazza