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Non c’è tempo da perdere,  il 2030 é domani

  • Pubblicato il: 15/10/2018 - 00:05
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Maura Viezzoli

L’Agenda 2030 ci offre una “Teoria del cambiamento” globale, alla luce della quale verificare l’impatto dell’operato del terzo settore,  delle ONG, del mondo della filantropia, del settore privato, delle politiche e delle riforme del governo. Non è più pensabile proporre strategie di intervento sociale che non contribuiscano alla costruzione di un modello di sviluppo sostenibile a livello sociale, economico, ambientale e istituzionale all’interno del quale “nessuno sia lasciato indietro”.  La recente spinta che osserviamo in Italia verso la valutazione dell’impatto degli interventi sociali, che oggi vede coinvolti - a livello nazionale e internazionale enti pubblici, soggetti privati, soggetti della filantropia, può essere considerata come il prodotto di questo dibattito. La discussione è in pieno fermento e  non è il momento di definire quadri metodologici rigidi, ma piuttosto di attivare processi di ricerca e di sperimentazione e di sintonizzarsi sulla discussione al più alto livello. Ne parla Maura Viezzoli, vice presidente del CISP-Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli.


 
L’agenda 2030 ha modificato il nostro quadro di riferimento e deve influenzare anche il nostro modo di operare.
Raccolgo l’invito alla riflessione da parte di Carola Carazzone, Segretario Generale di Assifero. con il suo stimolante articolo su questo giornale. Concordo sul partire dal quadro generale: il mondo che abbiamo davanti è in forte cambiamento, pieno di complessità e incertezza. Cambiamenti climatici, globalizzazione, le nuove tecnologie che modificano in profondità il mondo del lavoro e la qualità delle relazioni, i movimenti migratori, tensioni e conflitti in molti paesi, sono tutti fenomeni che sfidano la nostra comprensione e chiedono la nostra azione. Si tratta di mutamenti riflessi nella Agenda 2030 che  è il risultato di uno sforzo di analisi collettiva a livello globale sugli scenari futuri, che non sono rosei, a meno di prendere sul serio e con urgenza i 17 Obiettivi,  e i 169 Target con relativi indicatori, che l’ Agenda propone a tutti i Paesi come sfide.
 
Innovare all’interno di una strategia globale comune
L’Agenda 2030 ci offre una “Teoria del cambiamento” globale, alla luce della quale verificare l’impatto dell’ operato del terzo settore [1], delle ONG, del mondo della filantropia, del settore privato, delle politiche e delle riforme del governo[2]. Non è più pensabile proporre strategie di intervento sociale che non contribuiscano alla costruzione di un modello di sviluppo sostenibile a livello sociale, economico, ambientale e istituzionale e dove “nessuno sia lasciato indietro” (“no one left behind”). A me sembra che molto di più e strutturalmente si dovrebbe tenere conto di questo quadro di riferimento globale che è fatto non solo di principi generali condivisibili, ma anche di piani di azione, strategie, metodi e indicatori. Quindi si tratta di innovare, ma all’interno di una strategia comune. Il messaggio che vorrei rilanciare, che proviene dal Forum di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile, è: non cè tempo da perdere [3], il 2030 é domani. Tutti ci dobbiamo sintonizzare su questa sfida: terzo settore, ONG, mondo della filantropia, imprese, enti locali, enti pubblici, università.
 
La valutazione di impatto: un processo condiviso
Questa premessa generale, diventa anche un presupposto metodologico, dal momento che l’Agenda 2030 è attraversata dalla esigenza di valutare l’efficacia dello sviluppo, riflette un approccio incentrato sui risultati misurabili (RBA), sul monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi a livello Paese, e offre obiettivi, target e indicatori utili allo scopo. La recente spinta che osserviamo in Italia verso la valutazione dell’impatto degli interventi sociali, che oggi vede coinvolti - a livello nazionale e internazionale enti pubblici, soggetti privati, soggetti della filantropia,  può essere considerata come il prodotto di questo dibattito.
Le ONG di cooperazione internazionale hanno dichiarato da subito che questo cambiamento è benvenuto. D’altra parte sono anni che il CISP e le altre ONG di Link 2007 valutano e fanno valutare i propri progetti e che, coerentemente con i principi di “accountability”,  ne rendono pubblici i risultati.
Anche OCSE-DAC (sta rivedendo, in un percorso aperto, i suoi tradizionali cinque criteri di valutazione  (the “Big 5”)[4] dell’aiuto allo sviluppo utilizzati da quindici anni a livello globale al fine di adattarli al nuovo scenario internazionale e all’Agenda 2030. Questo dal mio punto di vista mostra come la discussione sia in pieno fermento e come non sia il momento di definire quadri metodologici rigidi, ma piuttosto di attivare processi di ricerca e di sperimentazione e di sintonizzarsi sulla discussione al più alto livello. Prendendo sul serio questa sfida Link 2007, assieme a Social Value, ha prodotto il dossier “Valutare l’impatto della cooperazione internazionale, una proposta metodologica” (febbraio 2018) proprio per concorrere all’avanzamento della riflessione su questi temi e per contribuire alla costruzione di una cultura della valutazione. 
 
Superare la logica del sostegno ai singoli progetti alla luce di un nuovo partenariato
Sappiamo che lo sviluppo umano è un processo complesso, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile rappresentano un insieme interconnesso che lega tra loro diversi obiettivi, target e indicatori. La sfida è dunque quella di mettere in piedi valutazioni che tengano conto della complessità e della interconnessione dei fenomeni, mettendo in campo tutti i metodi e gli approcci a nostra disposizione. Come dice Nicoletta Stame “è necessario che la valutazione sia il più possibile aperta a una pluralità di metodi, tecniche e approcci. Significa quindi considerare questa pluralità di approcci in modo tale che ci possa essere sempre una scelta ragionata della migliore soluzione a seconda della situazione da valutare”. (cfr. “Valutazione pluralista” N. Stame 2016.)
Al fine di realizzare in concreto la valutazione di impatto dei progetti sociali è essenziale la presenza di un “ambiente favorevole” alla valutazione, di una cultura della valutazione e della trasparenza degli interventi. La cultura della valutazione è favorita laddove essa diventi un esercizio connaturato al rapporto di partenariato, esistente in premessa e non legato alla “performance” del singolo progetto da misurare. Un rapporto di partenariato, come ci dice l’Obiettivo 17degli SDGs, basato sulla fiducia, che condivida gli obiettivi di sviluppo, e si confronti sugli indicatori e le metodologie adatti a quel contesto e a quel progetto.
Questo potrà contribuire a portare anche al superamento della logica del finanziamento del singolo progetto e ad andare verso la condivisione di un percorso pluriennale in cui l’ente filantropico possa sostenere le strategie condivise con la organizzazione partner. In uno scenario siffatto, tra l’altro, sarebbe anche più naturale superare la diffidenza verso il sostegno alle spese di struttura necessarie alla realizzazione dei progetti e alla vita della organizzazione (Cfr. Carazzone).
 
Due condizioni minime per poter valutare: il rafforzamento delle competenze e risorse dedicate
Per poter arrivare a una situazione in cui sia possibile concretamente valutare l’impatto dei progetti, ritengo servano almeno due condizioni.
La prima condizione riguarda il rafforzamento delle competenze di tutti gli attori in campo, il rafforzamento delle OSC nel disegnare scenari e fare analisi, nel raccogliere dati e informazioni coerenti e funzionali al mostrare il grado di efficacia e di efficienza del progetto; ma anche degli enti filantropici  che devono essere in grado di ragionare di valutazione non solo in termini di controllo dei fondi spesi e delle attività realizzate (quantunque sia essenziale e premessa di qualunque valutazione più complessa), ma in termini di conoscenza dei fenomeni in atto, di valutazione come registrazione del cambiamento e di valutazione di impatto.
Una attenzione particolare voglio dedicare ai nostri partner locali. Dal nostro punto di vista di ONG di cooperazione internazionale, crediamo davvero all’importanza della “ownership” dello sviluppo da parte dei paesi partner e dei nostri partner locali. Per renderla concreta è essenziale essere lungimiranti e - come fatto dalla Fondation Assistance International per tre anni col progetto  del CISP  “CDN: Formare le classi dirigenti locali per lo sviluppo umano”[5] -  sostenere le iniziative di alta formazione in loco, per rafforzare le competenze complesse di  funzionari governativi, responsabili di organizzazioni della società civile, rappresentanti di imprese e enti locali per poter gestire strategicamente le dinamiche di sviluppo,  per impostare programmi valutabili e realizzare ricerche valutative. Senza uno sforzo in questa direzione, da realizzarsi tramite borse di studio in Europa o tramite il Capacity building delle istituzioni locali, e la creazione di partenariati in questo settore,  i governi locali, a livello centrale e decentrato, e la società civile non saranno in grado di monitorare il raggiungimento degli SDGs a livello paese; né di valutare l’impatto dei programmi di cooperazione internazionale finanziati dai paesi donatori, né tantomeno di impostare una stratega di sviluppo a livello locale di cui saper valutare l’impatto. Gli enti filantropici dovrebbero considerare l’importanza chiave che hanno i paesi di provenienza dei migranti e di passaggio e contribuire a rafforzare processi in cui le leadership locali siano in grado in prima persona di interloquire con l’Europa e di comprendere e gestire il fenomeno.
La seconda: la necessità di prevedere risorse dedicate, adeguate  - anche se  non sovradimensionate - al progetto: sia che si parli di “baseline survey”, che di sistematica raccolta dati nel corso delle attività, o delle valutazioni in itinere o finali relative ai risultati del progetto. Risorse dedicate che devono servire anche per la realizzazioni di valutazioni ex post e di impatto, che spesso vengo realizzate dopo la conclusione formale del progetto.
In assenza di risorse per la formazione e per la realizzazione delle valutazioni la spinta verso la valutazione di impatto sarà stata vana.
 
Maura Viezzoli è vice presidente del CISP (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli), esperta in cooperazione allo sviluppo, fondatrice del CDN- Cooperation and Development Network, coordinatrice didattica e membro del Comitato Tecnico Scientifico del Master in Cooperazione e Sviluppo all’Università di Pavia, insegna monitoraggio, valutazione e impatto dei progetti. Ha svolto vari incarichi nella cooperazione allo sviluppo e nel terzo settore, nel mondo del non profit e a livello governativo. 
 

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[1] Cfr. Il terzo settore e gli obiettivi di sviluppo sostenibile, Rapporto 2017, Forum Nazionale del Terzo Settore.
[2] Cfr. Rapporti ASVIS 2017 e 2018.
[3] Questo è il messaggio dell’ High-Level Political Forum (Hlpf) 2018 sullo sviluppo sostenibile, che si è tenuto a New York, tra il 9 e il 18 luglio, che quest’anno ha affrontato il tema della trasformazione verso società sostenibili e resilienti.
[5] Cfr. Valutazione finale del progetto “CDN: Formare le classi dirigenti locali per lo sviluppo umano”www.developmentofpeoples.org