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A Napoli città e arte contemporanea dialogano sul bene e il male nell’uomo

  • Pubblicato il: 06/06/2014 - 09:24
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Micole Imperiali

Napoli. È giunto alla sua seconda fase il progetto site-specific dell’artista Gian Maria Tosatti «Sette Stagioni dello Spirito» a cura di Eugenio Viola del MADRE, Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina e promosso e sostenuto dalla Fondazione Morra di Napoli.
Si tratta della seconda opera del progetto biennale, dal titolo «2_Estate», visibile fino al 5 luglio presso l’ex Anagrafe Comunale sita in Piazza Dante 79 a Napoli, e precisamente dal martedì al sabato dalle 13 alle 19.

A sei mesi dalla prima fase, «1_La peste», realizzata presso la Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, Tosatti torna a scegliere come sede della sua opera un luogo che per la città partenopea rappresenta una ferita: un edificio che pur considerando la sua maestosità è divenuto negli anni trasparente agli sguardi, nonostante la ricca storia che lo ha visto nascere nel ‘600 come monastero, per trasformarsi successivamente in sede della prima anagrafe italiana, istituita proprio a Napoli nel 1809, e di cui, nonostante la chiusura e il conseguente degrado della struttura, conserva ancora, «nella sua pancia», i documenti, legati a oltre duecento anni di storie locali.

Quello che caratterizza questo secondo intervento di Tosatti è la ricerca intorno al concetto di inerzia nella sua essenza di condizione dell’anima, esaminando e mettendo a confronto elementi tra loro diversi  - quali l’approccio «archeologico» del filosofo Agamben e l’ultimo disilluso Pasolini di «Petrolio» o il principio ascensionale dantesco e quello introspettivo della religiosa e mistica spagnola Teresa D’Avila - nell’esemplificazione delle ferite del presente. Da qui nasce una riflessione pungente che, nel tentativo di riportare l’edificio alla sua originaria essenza e funzione, adotta come similitudine la mancanza di identità e progettualità dell’Italia repubblicana,  per immergersi quindi in quella «malattia dello spirito» tipica di coloro che si abbandonano a tutto ciò che è basso e oscuro, e quindi infernale, in una definizione del male presente in ogni uomo.

In occasione dell’apertura di «2_Estate», torna ad essere visibile anche «1_La Peste», il giorno 13 giugno e tutte le domeniche di questo mese, rendendo fruibile una chiesa chiusa ormai dalla Seconda Guerra Mondiale e riaperta appositamente per ospitare l’installazione di Tosatti, caratterizzata da elementi che esprimendo la precarietà dello spazio individuano una corrispondenza con la crisi della coscienza che ha colpito il presente, un male che torna ciclico – come la peste appunto – per prosciugare l’anima.

Il progetto «Sette Stagioni dello Spirito» è concepito in stretto riferimento all’opera di fine ‘500 di S. Teresa D’Avila «Il castello interiore», noto per le Sette Mansioni, particolari passaggi di elevazione necessari all’anima per raggiungere Dio. In maniera analoga vuole essere, infatti, un viaggio in sette tappe, un’ascensione, che partendo da quello che lo stesso artista definisce «il male più basso», cioè l’inconsapevolezza umana rispetto al male di cui si è artefici – rappresentata dalla peste – punta a risalire, sempre più in alto, in una metafora degli stati dell’anima.

L’inconsapevolezza della prima tappa, per cui l’artista individua una corrispondenza con le prime Stanze dello Spirito di cui parla S. Teresa e con gli Ignavi danteschi, e che trova tra l’altro espressione nel fatto che al momento dell’apertura dell’opera a luglio, il pubblico non era a conoscenza né di questa né del progetto da cui è scaturita, cede quindi il passo al secondo step, costituito da «2_Estate».
Qui Gian Maria Tosatti parte da un riferimento alla stagione estiva, e a quel senso di attesa e rallentamento del tran tran quotidiano tipici di questo periodo dell’anno e che risuona nelle note di «Mal d’Africa» di Battiato, per attivare un’interessante legame tra il concetto meteorologico e quello dell’anima umana. In questo caso, però, l’uomo non è più inconsapevole, ma cede al male, accetta di esserne artefice lasciandosi vivere senza reagire e si macchia appunto di inerzia. Qui trova senso l’analogia con l’Italia repubblicana:
«Negli ultimi settant’anni abbiamo assistito ad un impoverimento della situazione culturale così come  delle generazioni.  Ci siamo limitati ad un’ordinaria amministrazione dello Stato senza far riferimento ad un reale e preciso piano attuativo. Quello che non evolve regredisce e decade. Lo Stato rappresenta l’uomo e quindi la decadenza che ha caratterizzato il primo appartiene anche al secondo. L’inerzia è il risultato di un’attitudine dello spirito, del sopravvivere al di sotto delle proprie possibilità. Questo progetto è un lavoro sull’inferno, che è come un’influenza che gira e chiunque può prendere, degradando lo spirito: una malattia non zonale, ma diffusa ovunque».

L’iniziativa, che ha ottenuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, vede l’intervento di diverse realtà. È infatti patrocinato da Regione Campania, Comune di Napoli, Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia ed realizzato con la collaborazione della Seconda Municipalità del Comune di Napoli, del Vicariato della Cultura della Curia di Napoli, Fondazione Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli e dell’Autorità Portuale di Napoli a cui si devono gli sforzi per aver reso sicuri e fruibili i luoghi dal forte impatto culturale al centro del progetto di Tosatti.

La ricerca storica attivata attraverso tale iniziativa, che appare all’artista il modo per cercare di comprendere il presente e trovare una soluzione, una «salvezza» dell’identità che volge al futuro, rientra nel programma di patrocinio varato dalla Fondazione Donnaregina volto alla promozione di progetti culturali e artistici attivati nella Regione Campania o nelle altre regioni del Mezzogiorno italiano.

«Dopo pranzo si andava a riposare/ cullati dalle zanzariere e dai rumori di cucina/ dalle finestre un po' socchiuse spiragli contro il soffitto/ e qualche cosa di astratto si impossessava di me./ Sentivo parlare piano per non disturbare/ ed era come un mal d'Africa (…)» (F. Battiato, «Mal d’Africa»)

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