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Musei e cultura 3.0. Un modello da Gerusalemme

  • Pubblicato il: 15/06/2015 - 15:38
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di: 
Sendy Ghirardi
Photo© The Israel Museum, Jerusalem, by Ardon Bar-Hama

Come si comportano i musei d’arte nell’era odierna della cultura 3.0? Come possono diventare effettivi catalizzatori dei nuovi modelli di sviluppo sociale ed economico legati alla cultura? Perché la partecipazione culturale attiva è cosi importante? Il caso dell’ Israel Museum. Il museo come incubatore civico

Al suo 50° anniversario dall’apertura, l’Israel Museum può festeggiare oltre alla sua collezione che vanta circa 500.000 pezzi - grazie ad un lascito di opere e al generoso ausilio dei mecenati a livello internazionale che sostengono il museo in tutte le sue attività – anche il suo dipartimento educativo che rappresenta oggi un polo di eccellenza nel panorama internazionale.
Educare all’arte è l’obiettivo core del museo e il relativo dipartimento nasce come funzione primaria nelle fondamenta dell’istituzione stessa. All’Israel Museum la collezione rappresenta il motore di senso da cui si sviluppano percorsi di coinvolgimento attivo della comunità locale. La Youth Wing è infatti uno dei rami più estesi del complesso museale. Il settore della didattica attrae, grazie alle proprie attività, circa 200.000 persone l’anno, ossia il 20% dei visitatori che affluisce al museo. Tra i vari programmi che proponevanno ricordati iCommunity Projectsche trasformano il museo in un’area dinamica e sociale. L’Israel Museum si dimostra essere un’istituzione consapevole del territorio in cui vive, è una macchina dinamica laddove il visitatore è considerato portatore di significato della propria comunità interpretativa:assume in sé aspettative, conoscenze preesistenti, capacità e stili di apprendimento. I Community Projects coinvolgono attivamente tutte le realtà eterogenee presenti nella città di Gerusalemme: immigrati etiopi, studenti arabi ed ebrei, ragazzi di strada, soldati, organizzazioni locali. I progetti prevedono diverse tipologie di relazione. In alcuni casi la comunità viene chiamata ad esprimere i propri contenuti all’interno del museo, in altri viene coinvolta nelle sue attività, in altri ancora è il museo ad uscire negli spazi della comunità stessa. Per esempio, Open Window Dialogue:Community Outreach and Art Education in the Arab sector, finanziato dalla Fine Foundation di Pittsburgh,è un progetto che permette allo staff dell’Israel Museum di educare all’arte nei licei delle comunità arabee di sviluppare con loro un ambiente artistico all’interno della città. La prima sessione è iniziata nel 2008, finora si è svolto a Umm-el-Fahem, Nazareth e Sur Baher. Si articola in tre fasi. il primo passo è il professional-training day per gli insegnantidelle scuole, che vengono introdotti nel museo, nel progetto e diventano partners attivi dello staff della Youth Wing. In secondo luogo gli studenti visitano l’Israel Museum. Infine  gli alunni, seguiti dagli insegnanti e dallo staff, sviluppano progetti artistici all’interno della propria città, ispirati dalle opere d’arte e dalle tematiche a loro intrinseche studiate nelle visite al museo. Il progetto pioniere si è concluso nel 2009 sulla vetta del Monte Iskander a Umm al-Fahm: sono state installate enormi sculture in metallo che ricordano delle casecon grandi finestre, è stato creato un giardino dell’arte, un simbolo di cooperazione all’interno della città.
Bridging the gap, finanziato da Association of Friends of the Israel Museum in Germany, si svolge invece all’interno del museo e permette a giovani arabi ed ebrei di creare arte insieme, alternando attività creative a visite guidate.Vengono coinvolte quattro scuole elementari o medie, due arabe a est e due ebree a ovest di Gerusalemme. Il programma si svolge nell’arco di venti settimane, due giorni alla settimana con incontri di due ore ciascuno.L'istruzione è fornita da artisti-insegnanti ebrei e arabi dello staff del museo. Sessioni congiunte per i giovani di entrambi i popoli consentono ai bambini di creare legami personali reali e di integrare i valori umani universali.
O ancora Soldier Visit, un intervento nato spontaneamente per volontà dei cadetti dell’IDF che hanno scelto di passare settimanalmente una giornata al museo diventando a turno guide per i propri compagni, presentando la propria selezione di opere, il percorso e le tematiche su cui dibattere. L’Israel Museum fornisce gli strumenti e il supporto necessari alla comunità, risponde ai suoi bisogni. I visitatori partecipano di loro spontanea volontà, questo sottolinea come il museo sia entrato a far parte del tessuto della città.
L’Israel Museumè un museo partecipativo, secondo la definizione di Nina Simon(2010), «orientato ad un coinvolgimento attivo, ma soprattutto utile alla comunità dei visitatori, aperto a un gruppo di persone ampio e differenziato che agisce come creatore, distributore e consumatore di contenuti».
L’Israel Museum non vuole essere un tempio isolato. Al contrario, l’arte è un veicolo per creare connessione.Il museo in particolar modo ha saputo analizzare il contesto in cui si colloca e prenderne parte, entrare nella città e fare entrare la città al suo interno.
«Uno dei nostri obiettivi è quello di sfruttare l'educazione artistica per scopi sociali e comuni. Lo vediamo come la nostra missione: sostenere i giovani di diverse popolazioni ed esporli alle arti come mezzo di apprendimento e diespressione di sé. Nella Youth Wing, l'arte serve come linguaggio comune tra le comunità divise da gap culturali o religiosi», sostiene il Senior Curator dei corsi d’arte Eldad Shaaltiel.
I Community Projectstrasformano il museo in un incubatore civico e l’Israel Museum mostra la sua rilevanza nella vita contemporanea, proponendo  strumenti affinché i membri della comunità  possano connettersi con il mondo dell’arte e tra loro, sviluppando negli individui nuove categorie di pensiero, un immaginario socialmente condiviso, traslando le azioni individuali in benefici collettivi.
Il casooffre spunti di riflessione sul potenziale ruolo delle istituzioni culturali nelle politiche sociali in società sempre più multiculturali,  con strategie 3.0 che promuovano accessibilità e partecipazione, a condizione che si superi il grande equivoco che la lotta all’esclusione debba diventare il loro unico obiettivo.
I modelli partecipativi assumono un’importanza fondamentale per le politiche di sviluppo, soprattutto in un paese come l’Italia, in cui sembra che il  potenziale  non sia completamente espresso e permanga una visione della cultura quale patrimonio statico, utile per lo più a costruire contenuti ad uso turistico.
Il coinvolgimento in esperienze artistico-culturali contribuisce al benessere generale di una società, conciliando gli obiettivi della crescita con una dimensione di sostenibilità e di rispetto per i valori umani, genera effetti di ricaduta che garantiscono il progresso nell’era dell’economia post-industriale quali la coesione sociale, l’innovazione,l’identità sociale, ilsoft power, i nuovi modelli imprenditoriali, la sostenibilità, illifelong learning, come evidenzia lo studio di PierLuigi Sacco. Nell’era della cultura 3.0, dove la rivoluzione tecnologica ha portato ad una smaterializzazione del confine tra produttore e fruitore di contenuti, è attraverso le strategie partecipative che il museo può prendere spazi comeagente produttore di capitale umano, sociale e culturale.
 

 
Riferimenti Bibliografici
Simon, N.(2010), The participatory museum, Museum 2.0, Santa Cruz.
 
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