Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Manifesta guarda a Est: per la decima edizione la Biennale itinerante si sposta a San Pietroburgo

  • Pubblicato il: 05/03/2013 - 10:23
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Anna Saba Didonato

Amsterdam. È di qualche giorno fa l’annuncio che la X edizione di Manifesta si terrà a San Pietroburgo presso il Museo dell'Ermitage, di cui nel 2014 si celebrano i 250 anni dalla fondazione. Un deciso spostamento verso l’Europa dell'Est, tutt’altro che casuale, per la manifestazione internazionale e itinerante, nata nel 1996 [la prima edizione della biennale si è svolta a Rotterdam, quindi a Città del Lussemburgo, 1998,  Lubiana, 2000, Francoforte, 2002, San Sebastián, 2004, Nicosia, 2006, poi annullata, Trentino-Alto Adige, 2008, Murcia in dialogo con l'Africa del Nord, 2010  e a Genk e nel Limburgo, 2012, Ndr].
Ne abbiamo parlato con Viktor Misiano, presidente dal 2010 della Fondazione Manifesta.

Quali sono le motivazioni che hanno portato il Consiglio della Fondazione a scegliere l'Ermitage come sede della prossima edizione?
Sarebbe sbagliato pensare a Manifesta come a un format, identificandola con una biennale regionale o come una mostra periodica realizzata da una curatela collettiva. Manifesta è andata sempre alla ricerca del nuovo, superando quella che poteva essere vista come una sua peculiarità o un dogma. Infatti non insiste più sulla curatela collettiva, così come non insiste nell’essere una biennale di giovani artisti e, per dirla tutta, vorrebbe anche lasciare l'Europa smettendo di essere la biennale paneuropea. L'Ermitage di San Pietroburgo ci ha affascinato proprio per questo: è una sfida, una prospettiva e un’esperienza assolutamente nuova. Una biennale di arte contemporanea in un grande museo non è stata mai realizzata. Però vorrei anche precisare che a San Pietroburgo non saremo ospiti soltanto del Museo nazionale. Una delle sedi è senz’altro il Palazzo dello Stato Maggiore, che fa parte del complesso architettonico dell'Ermitage e che ospita il Museo dell’Arte del XXI secolo, fondato dal direttore Mikhail Piotrovskij, e attualmente dotato di un dipartimento di pochi e giovani collaboratori. Speriamo che Manifesta possa rappresentare un’occasione di lancio e di crescita per questo nuovo museo. Le altre due sedi della biennale itinerante saranno probabilmente l’isola artificiale Nuova Olanda, risalente al XVIII secolo, e gli spazi dell'ex fabbrica tessile Krasnoe Znamja (bandiera rossa) di Erich Mendelsohn.

Punti di forza e di debolezza di San Pietroburgo?
I punti di forza sono molti. Si può dire che è la capitale accademica della Russia, ossia la città delle università e accademie, dei musei e delle case editrici, ma non va dimenticato che proprio a San Pietroburgo è nato il nuovo attivismo politico. Penso al gruppo «Chto delat?» (Che fare?) che è sicuramente uno dei fenomeni dell'arte russa contemporanea più conosciuti a livello internazionale. Altro punto di forza è il fatto che finalmente Manifesta, un progetto concepito come una piattaforma di dialogo tra Est e Ovest, sia ritornata a Est e, per la prima volta, all'estremo Est europeo. In una città, per di più,  che attraversa un periodo di delicato confronto interno, uno scontro sociale e politico. Questo già preannuncia che il nostro lavoro non sarà facile, per cui lo possiamo considerare un punto debole della nostra scelta, ma nello stesso tempo è anche un punto di forza. Manifesta non ha mai cercato posti comodi e tranquilli, piuttosto contraddizioni e agonismo, per dirla con le parole di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, ci sono sembrate sempre produttive per la progettazione artistica e curatoriale. E infatti spesso abbiamo ricevuto delle critiche, giuste, dal mio punto di vista,  a proposito del fatto che Manifesta non fosse abbastanza coerente col suo dichiarato interesse per i contesti problematici, dato che venivano selezionate location troppo confortevoli e «per bene». In difesa nostra potrei testimoniare che, in tutti questi anni, abbiamo cercato di essere presenti nei posti meno convenzionali, però, proprio per il fatto che si trattava di zone in crisi o di contesti con un’infrastruttura culturale debole, diventava problematico ottenere un invito e ospitalità.

Nel 2011 la Millhouse Capital di Roman Abramovic, insieme alla Fondazione Iris, diretta da sua moglie Daria Zhukova, e la londinese Architecture Foundation hanno presentato dei progetti per la ristrutturazione dell'isola Nuova Olanda [l'isola artificiale, nel centro della città,  risale al 1720,  quando vennero scavati i canali Krjukov e dell’Ammiragliato per collegare il fiume Mojka con la Neva, Ndr]. Siete riusciti ad avere l’appoggio di Abramovic e della Fondazione Iris?
Da quanto so, Abramovic era interessato a partecipare al restauro e alla ricostruzione della Nuova Olanda, mentre la Fondazione Iris voleva usare gli spazi per lanciare un programma artistico-culturale. Attualmente tutti questi progetti sono in fase iniziale. La Nuova Olanda appartiene alla città, per questo non c’è stato bisogno di avere il permesso della coppia oligarchica che non ha manifestato interesse per la Biennale.

Manifesta è alla sua decima edizione: com'è cambiata la sua fisionomia, a partire dai presupposti che ne hanno determinato la nascita fino agli ultimi esiti?
Manifesta è nata, agli inizi degli anni ‘90, dall'idea che si stava assistendo alla nascita di una nuova Europa. Di conseguenza l’attenzione si è focalizzata sulle giovani generazioni, sul dialogo tra Est e Ovest, su pratiche curatoriali improntate alla collaborazione e all’interazione. L'Europa di oggi è ormai unita ma perennemente spaccata, i giovani spesso sembrano essere molto più conformisti e tradizionalisti della gente di una certa età e per difendere una giusta posizione occorre uno spirito collettivista e collaborativo, ma ancor di più una certa ossessione personale. Penso che Manifesta abbia risentito di questa trasformazione.

Un bilancio di quanto è stato fatto finora e nuove prospettive all’orizzonte?
Per Manifesta, la prossima edizione rappresenta un momento per fare il punto sul suo percorso e prendere coscienza della sua maturità. Nuove prospettive si affacceranno all’orizzonte dopo il 2014, cioè dopo San Pietroburgo, e ormai senza di me, quando sarà scaduto il mandato per la mia presenza nel Consiglio della Fondazione.

Un’edizione a cui è particolarmente legato o che reputa straordinaria?
Per me, la prima edizione [a Rotterdam, nel 1996 Ndr] è stata straordinaria. Era la prima assoluta e io non ero soltanto uno dei curatori ma assistevo e partecipavo alla sua fondazione: un’esperienza eccezionale e stimolante! Penso che malgrado tutte le complicazioni che ci sono state, anche l’ultima può essere annoverata tra le migliori edizioni: ha convinto il mondo dell’arte che Manifesta è un progetto importante, con una mission valida e con un futuro davanti. Sono molto legato anche a Manifesta 7 che si è svolta in Trentino-Alto Adige nel 2008. Per me era la prima edizione da membro del Consiglio della Fondazione. Un’edizione molto importante da un punto di vista strategico dato che seguiva quella di Nicosia, che era stata annullata. Il nostro compito era far risorgere il progetto, convincendo tutti che Manifesta era ancora viva e doveva andare avanti. Penso che pure in questo caso si può dire: «Mission fulfilled!».

© Riproduzione riservata