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L'utilizzo delle fondazioni nel mondo della cultura

  • Pubblicato il: 31/01/2014 - 12:06
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Toti Musumeci

Le fondazioni possono costituire un utile strumento per la gestione dei beni culturali. Anzi, il loro utilizzo è sempre più frequente e molte sono le iniziative effettuate con tale strumento.
Recenti interventi normativi in materia di revisione della spesa pubblica, adottati per mettere mano ad emergenze finanziarie apparentemente distanti dalla disciplina di fondazioni ed associazioni, rischiano di modificare sensibilmente natura e funzioni degli enti non lucrativi di diritto privato descritti nel libro primo del codice civile. In particolare, l'impatto è forte nei rapporti con la pubblica amministrazione.
La legge n. 135 del 2012, che ha convertito il decreto-legge n. 95 del 2012, cosiddetto decreto Spending Review, infatti, comporta conseguenze anche nella disciplina del rapporto fra la pubblica amministrazione e le fondazioni, così come precedenti interventi hanno inciso sulla composizione degli organi di gestione e controllo (si ricorda la legge n. 122 del 2010).
In sostanza, anche nelle fondazioni con prevalente partecipazione pubblica vige il divieto di nominare più di cinque componenti negli organi di gestione e più di tre membri in quelli di controllo. Non solo, ma le fondazioni, venendo riconosciute quali organismi di diritto pubblico, devono sottostare alla disciplina in tema di gare, e dunque avvalersi delle procedure competitive. Gli stessi enti sarebbero poi sottoposti a tali procedure ad evidenza pubblica, se non venissero espressamente esclusi proprio dal decreto Spending Review, che individua “gli enti e le associazioni operanti nel campo (…) dei beni ed attività culturali”, ivi comprese, quindi, le fondazioni culturali, fra quelli con i quali la pubblica amministrazione può continuare a liberamente trattare.
Il principio contenuto nel decreto Spending Review, ancorché mitigato con riferimento alle fondazioni culturali, induce però a ribadire l’importanza della ricerca di attori diversi dalle pubbliche amministrazioni per la gestione dei beni culturali. Non può infatti essere considerata la sola pubblica amministrazione, dovendo entrare in gioco anche altri soggetti, in particolare i privati.
Si deve allora valutare con attenzione se l’istituto della fondazione possa costituire un valido strumento per i privati, al fine di intervenire nel mondo della cultura.
La risposta sembra essere affermativa, pur con tutte le cautele della sostanziale novità.
La prima considerazione attiene alla rilevata flessibilità dell’ente, che si può adattare in modo più efficace rispetto ad altri istituti giuridici alle esigenze di volta in volta concretamente espresse.
In proposito, la governance potrà essere ritagliata secondo le necessità particolari. Si potrà dare più o meno spazio ai soci fondatori, prevedendo nel primo caso una loro specifica assemblea quale organo della fondazione, alla quale riconoscere particolari poteri, quali la nomina e revoca dei componenti degli organi di gestione e di controllo, l’approvazione del bilancio e del budget preventivo, l’individuazione dei soggetti cui devolvere il patrimonio in caso di liquidazione, e così via.
Anche il patrimonio potrà essere disciplinato secondo le necessità, individuando quello indisponibile e quello disponibile. Non solo, ma i soggetti che, sia all’atto della costituzione, sia successivamente andranno a conferire beni a favore della fondazione, ben potranno indicarne la destinazione finale in caso di scioglimento della fondazione stessa, obbligando così ad eseguire la loro disposizione modale.
Gli stessi soggetti che partecipano alle attività della fondazione potranno assumere dei ruoli differenziati, sia sotto il profilo della qualità assunta, sia dei poteri riconosciuti. Si potrà così disciplinare la possibilità che in futuro entrino altri soggetti qualificati come fondatori, e dunque con i poteri meglio descritti per i fondatori originari. Ma anche altre categorie di soci potranno essere consentite, e l’esperienza suggerisce una molteplicità di differenti definizioni, dai soci ordinari ai soci partecipanti ai soci sostenitori, ai soci d’onore, e così via. Per ciascuna categoria dovranno esser descritti sia i poteri, sia le forme di esercizio, sia gli eventuali organi che potranno essere organizzati all’interno della fondazione.
Allo stesso modo, gli organismi di gestione ed amministrazione potranno vedersi riconoscere poteri più o meno ampi alla luce del concorso di eventuali altri organi. In mancanza di un’assemblea dei soci fondatori, infatti, il consiglio direttivo della fondazione dovrà godere di più estese prerogative anche di natura strategica e generale.
Minore flessibilità pare invece consentita nei confronti dell’organo di controllo, e cioè il collegio dei revisori. Ben si potrà, però, introdurre un altro organo di vigilanza, il collegio dei probiviri, che potrà controllare l’esistenza ed il mantenimento dei requisiti in capo ai soci, anche alla luce del loro comportamento.
In sostanza, l’istituto della fondazione pare strumento efficace e sicuramente da tenere presente anche nel settore dei beni culturali. Allo stato, non sembra necessario un intervento specifico del legislatore per adattarlo al settore della cultura, essendo anzi preziosa la flessibilità e snellezza operativa che deve sempre svilupparsi nell’àmbito della rigorosa osservanza delle norme generali.
Sembra invece opportuno ed auspicabile che la pubblica amministrazione assuma comportamenti omogenei e trasparenti fin dall’inizio, in modo da consentire una maggiore programmazione ed un totale affidamento a favore dei privati che intendano investire nel mondo della cultura.
Le regole dovranno ben essere specificate all’inizio del rapporto, ma questa è attività che troverà attuazione nella redazione dello statuto che sarà la norma di disciplina del rapporto e che potrà di volta in volta adattarsi alle specifiche necessità.