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Lo sguardo emotivo

  • Pubblicato il: 14/09/2016 - 11:19
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Andrea Bruciati

Proseguiamo insieme ad ArtVerona il nostro ascolto degli artisti, punto centrale del sistema culturale, chiedendo loro di rispondere alla linea di indagine aperta dal Giornale dell’Arte, a “Cosa serve l’Arte oggi?’. Incontriamo Cosimo Terlizzi, videomaker pugliese di stanza in Svizzera. Nell'afasia di una società omologata e omologante, il grido dell'arte che risonanza ha?


L’incontro con Cosimo Terlizzi, videomaker pugliese di stanza in Svizzera, evidenzia come attraverso una oculata regia l’immagine in movimento possa sopravvivere alle modalità omologanti del palinsesto mainstream.
Vista l’importanza di una sceneggiatura nel procedere narrativo dei filmati, partiamo da un passo di un libro per lui significativo, "Le serve" di Jean Genet*

“L’esistenza di Jean Genet è stata quanto mai travagliata. Lasciato dopo la nascita (1910) alla custodia della pubblica assistenza, fu messo a pensione presso una famiglia di coltivatori del Morvan, che lo trattò con indifferenza alternata a insofferenza. In giovane età Genet scoprì la sua predilezione per le compagnie omossessuali, un orientamento precoce che nel futuro lo condizionerà profondamente. Ribellatosi alle umiliazioni inflitte dai parenti adottivi, scappò da casa e visse di espedienti, finché non fu rinchiuso nell’istituto correzionale di Mettray. Più tardi s’ingaggiò nella Legione Straniera, dove la sua permanenza fu di breve durata: disertò dopo poco tempo, per sprofondarsi negli ambienti più bassi del porto di Marsiglia. […] Vagò per l’Europa, venne incarcerato a più riprese; durante gli anni della guerra si trovò coinvolto nei giri dello spionaggio e del controspionaggio. …”
Scoprire questo aspetto della vita di Genet mi ha colpito molto, l’imprinting di una personalità, l’abbandono da bambino e l’indifferenza subita. Questa “indifferenza” la vedo a grande scala nel mietere vittime o nel creare carnefici.

Come ritieni possa essere combattuta questa inedia dei paesi sviluppati, quella ‘indifferenza subita’.
È tutto nel percorso di una vita. Ma l’artista vince l’indifferenza, nel bene e nel male. Da piccolo quando ha capito di non poter assecondare le aspettative di un padre, ad esempio, ha cercato una figura sostitutiva fuori dal nucleo famigliare. E l’ha trovata più forte ed estrema. Una volta stordito il malessere di sentirsi non ascoltato o non amato, qualunque essere vivente trova soluzioni istintive. Giuda ha tradito la sua guida, dopo che per giorni ha tentato di farsi notare. Ci sono poeti che dopo lettere non ascoltate si lanciano dalle scale o si sparano in testa. La delusione di una società che pareva troppo effimera e insofferente da poter accogliere davvero una personalità come Rimbaud portò il poeta a fuggire nel deserto per dedicarsi a mestieri estremi.
L’artista può armarsi della stessa arma del carnefice? Chissà perché Caravaggio era facile col pugnale. Le sue opere non lasciano indifferenti. Lavorò molto per sopravvivere, sconfisse il torpore dello sguardo o l’abitudine ad un certo fare maniera. Ma dopo tutti questi tumulti interiori la miglior cosa è vivere l'indifferenza ascetica di Schopenhauer, probabilmente, ovvero quello stato del sentirsi in pace con se stessi, dove le passioni cessano di urlare. Ma come si fa poi a creare senza le passioni?

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Quindi ritieni che l'artista abbia nel suo suscitare 'emozioni' un ruolo attivo, da intellettuale impegnato, in una società anestetizzata.
In qualche modo sì. Ma quale arma oggi l’artista può usare per ridestare una società come la nostra, sottoposta a qualsiasi tipo di stimoli e quindi stordita? La provocazione nell’arte oggi ha un senso? Ora che la provocazione è quotidiana, spregiudicata, massmediatica, raccapricciante… La provocazione che smuove le politiche internazionali. La provocazione che cambia il volto, le cartografie.
La provocazione dell’orrore che ferma tutto.
E ora che la provocazione è maledettamente inflazionata, che senso assume nelle pratiche artistiche contemporanee?
Lo sguardo innocente dell’arte si è sporcato più volte; ora che le torture ai poeti, ai bambini, agli innocenti sono follower… il grido che risonanza ha?
È ciò su cui sto riflettendo in questi mesi. Il ruolo dell'artista oggi è più complicato di un tempo.

E quali sono le modalità del tuo sguardo e secondo quali vettorialità operi nelle categorie del visibile?
Immagino di mettere tutto in un setaccio. Lì i pezzi più grossi non passano. Sono quelle scene eclatanti di una giornata tipica del nostro tempo. Non passano le immagini promozionali del terrore, le scene politiche. Osservo bene ciò che sto scartando. Noto che nella messa in scena del terrore e della politica vi sono scelte estetiche già viste nell’arte e nella letteratura. È come se l’arte della messa in scena abbia dato spunto a un certo fare cronaca oggi. E che le tracce visive e sonore del fare terrore massmediatico si sovrappongono con prepotenza al ricordo che ho delle mie opere d’arte preferite. E che per istinto cerco il riparo nelle cose che dell’arte mi emozionano. In questo setaccio, ciò che rimane è forse uno stato d’animo. Con questo stato d’animo mi presto a concretizzare un’idea. Mi fido poi dello sguardo sull’oggetto. In uno dei miei ultimi lavori “La trasfigurazione dell’ospite” ho raccolto quegli oggetti della toilette donati dall’albergo all’ospite. Sono cose della vanità, del consumo e della ricerca o esaltazione della bellezza. Ora bisogna superare l’effimero, trovare disperatamente lo spirituale e il sacro tra i rifiuti solidi.

Possiamo parlare di una ricerca centrata sull’essere umano da un punto di vista emozionale.
La mia è ancora una ricerca centrata sull’uomo, o meglio, sull’uomo come veicolo. La chiave emozionale ha lo scopo di mettere in movimento il segno. Certo, il segno non si muove da solo, ma serve lo sguardo e un’attenzione. Come un libro, le parole si muovono al movimento dell’occhio che traduce e sogna. Vorrei questo stesso tipo di relazione con chi guarda, ma bisogna sedurre. Ho uno scopo dichiarato, quello di raccontare il legame che abbiamo con il grande animale che è l’universo intero e in cui noi siamo una intelligenza tra le tante. La mia direzione è quella di spostare l’antropocentrismo utilizzando proprio l’uomo… Difficile e forse folle. Ne 'La benedizione degli animali' ho cominciato a spostare l’attenzione verso gli altri esseri che abitano il mondo, così come ne 'La bestia', dove il segno lasciato da un boscaiolo sul tronco sembra aprire ad un’altra dimensione emozionale.

Con quali modalità agisce la capacità di raccontare, la narratività della tua poetica, nei tuoi progetti?
È un aspetto naturale del mio processo di creazione, la fotografia è come il frame di un racconto. Se nella fotografia mi concentro su cosa può essere significativo nel fermo immagine, nel film è lo scorrimento del tempo che porta ad altri significati.
Come lo scorrere dei segni alla lettura di un libro, come pure su di una sola immagine, nel film è più evidente. Nel film i segni scorrono davvero e diventano leggibili nello scorrimento. Si aggiungono sensi, visivo-sonori, e la difficoltà sta nel calibrare il tutto. Nella realizzazione di un film, l’autore deve attendere mesi prima di immaginare tutti i particolari del mondo da mettere in scena…tutti.
Penso a chi dice che gli artisti sono profeti… ecco! qui è proprio il caso di dirlo, i registi sono profeti, almeno della loro stessa opera.

Quindi trovi che nella regia si possa intervenire metaforicamente sul reale.
Nel film in lavorazione, come dicevo prima, sto cercando ancora di spostare l’attenzione verso ciò che circonda l’uomo che non sia fatto dall’uomo. Sono in un periodo di assuefazione emozionale, come ho fatto intendere, sui disastri creati da noi esseri umani.

Cosimo Terlizzi nasce nel 1973 a Bitonto, in provincia di Bari, e persegue i suoi studi presso l’Università di Bologna. La sua poetica vede l’impiego di media quali la fotografia, la performance, il video e il film, sempre volti a soggetti che partono dal singolo per giungere al sociale nel tentativo di trasformare momenti intimi in icone di importanza universale. In questa direzione si può iscrivere il suo personale uso del ritratto come strumento d’indagine della nostra epoca, attraverso il quale Terlizzi si fa affascinare dal contrasto corpo umano – oggetti, binomio, che nel suo confronto con la natura, ci svela un mondo che l'umanità tende a trasformare a propria immagine e somiglianza. Da ricordare le recenti acquisizioni da parte del Musée des Beaux-Arts La Chaux-de-Fonds in Svizzera, da parte della Collezione UBI Banca Popolare di Bergamo, il premio ricevuto durante ArtVerona legato al format Level 0, selezionato da Anna Mattirolo per un progetto all’interno del MAXXI di Roma che avrà luogo tra il 14 e il 17 Ottobre 2016. Attualmente Terlizzi è impegnato con l’inizio delle riprese del suo primo film lungometraggio prodotto da Buena Onda (Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Viola Prestieri).

*Jean Genet "Le serve"
Titolo originale Les Bonnes © 1968 Editions Gallimard, Paris
ed Casa editrice Einaudi, presso Mondadori Painting S.p.a, anno 2013

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