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L'incanto dell'affresco

  • Pubblicato il: 21/02/2014 - 15:44
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Stefano Luppi

Ravenna. Tre piani di mostra al Mar di Ravenna con opere ben distanziate su un tema, l’affresco staccato (si asporta la pellicola pittorica e una parte dell’intonaco), strappato (seguito per mezzo di tele e collante) o staccato «a massetto» (con asportazione di intonaco e muro), che tanto fa discutere gli storici dell’arte ma anche può interessare anche il largo pubblico. E’ questa la ricetta alla base della rassegna «L'incanto dell'affresco. Capolavori strappati da Pompei a Giotto da Correggio a Tiepolo», al Museo d'Arte della Città di Ravenna fino al 15 giugno (a cura di Claudio Spadoni e Luca Ciancabilla, sostegno della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna, due tomi per il catalogo edito da Silvana Editoriale). Fino a non troppi anni fa, alle soglie degli anni Ottanta e «grazie» a personalità ancora attive come Andrea Emiliani, si pensava che asportare gli affreschi da chiese e palazzi per ricoverarle nei musei fosse la soluzione migliore per salvaguardare l’arte murale. In realtà, come ricorda Giorgio Bonsanti in catalogo, non c’era «Alcun accertamento scientifico» di questa teoria. «Ovvero, continua lo studioso, che l’affresco usufruisse di per sé, in ragione della sua tecnica d’esecuzione, di una vita prevedibile calcolabile tra i cinquecento e mille anni; dopo di che la distruzione sarebbe progredita con tempistiche di accelerazione geometriche. Lo dice chiaramente Roberto Longhi nel 1957, in un’epoca di frequenti asportazioni in Italia: «La vita media di un affresco lasciato in sito si può computare (clima, guerre, e urbanistica permettendo) tra i cinquecento e mille anni ... il distacco dal supporto murario era l’unico mezzo di prolungare di un altro bel tratto, calcolabile a centinaia di anni, la vita degli affreschi, oltre ai vantaggi di recuperare i disegni sottostanti (sinopie)». Su queste basi «teoriche» a metà ‘900, supportate da quasi tutta la critica di maggior importanza, le operazioni di asportazione sono tantissime e la mostra ne ordina a Ravenna fulgidi esempi. Si è eseguita una accurata selezione di 110 opere divise in sei sezioni ordinate secondo un indirizzo storico-cronologico di estrazione, dai primi masselli cinque-seicenteschi, ai trasporti settecenteschi, compresi quelli provenienti da Pompei ed Ercolano, agli strappi ottocenteschi fino alle sinopie staccate negli anni Settanta del Novecento. Si estrasse, come ricorda Plinio il Vecchio, fin dai tempi antichi, si prosegue tra il XVI e il XVIII secolo quando vennero traslate la «Maddalena piangente» di Ercole de Roberti della Pinacoteca Nazionale di Bologna, Il gruppo di angioletti di Melozzo da Forlì dei Musei Vaticani, «La Madonna delle Mani» del Pinturicchio (tutto in mostra). Ma la prassi estrattista divenne «industriale» subito dopo la seconda guerra mondiale e incise non poco anche il peso psicologico di chi era uscito indenne da quella barbarie perpetrata supersone e opere d’arte anche a causa dei frequenti bombardamenti sulle città italiane. I danni provocati ad alcuni fra i principali monumenti pittorici italiani dai bombardamenti bellici e la convinzione che l’unica strada da percorrere per evitare che in futuro potessero reiterarsi danni irreparabili come quelli al Mantegna a Padova, Tiepolo a Vicenza, Buffalmacco e Benozzo Gozzoli a Pisa, fecero sì che dagli anni Cinquanta la campagna di strappi e stacchi divenne imponente. Al Mar si fa la storia di questa pratica con opere di Andrea del Castagno, Bramante, Bernardino Luini, Garofalo, Girolamo Romanino, Correggio, Moretto, Giulio Romano, Nicolò dell'Abate, Pellegrino Tibaldi, Veronese, Ludovico e Annibale Carracci, Guido Reni, Domenichino, Guercino. Per la prima volta inoltre il pubblico potrà fare la conoscenza di noti astrattisti della storia come Antonio Contri, Giacomo e Pellegrino Succi, Antonio Boccolari, Filippo Balbi, Stefano Barezzi, Giovanni Rizzoli, Giovanni Secco Suardo, Giuseppe Steffanoni.

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