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Le sfide dello sviluppo e dell’innovazione

  • Pubblicato il: 31/05/2016 - 09:04
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Roberta Bolelli

La Fondazione sempre meno ente erogatore e sempre più protagonista delle scelte che coinvolgono la città e il suo territorio. A colloquio con Paolo Cavicchioli, nuovo Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
 
 
 
Paolo Cavicchioli, 46 anni, ingegnere informatico, è amministratore delegato dell’azienda Doxee, che ha contribuito a fondare nel 2001, multinazionale impegnata nel settore della comunicazione digitale e della dematerializzazione dei documenti. Fa parte del consiglio direttivo di Confindustria Modena ed è membro del consiglio di amministrazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia e del consiglio tecnico e scientifico dell’istituto Fermi di Modena. A circa sei mesi dal suo insediamento alla presidenza della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena abbiamo ritenuto interessante sentire le sue prime impressioni su questa esperienza.
 
 
Lei è un imprenditore: quali le novità del suo programma? Quali sono i nuovi indirizzi per la scelta degli interventi e per cogliere le grandi sfide che fanno i destini dei territori?
Gli indirizzi di fondo dell’ente non sono cambiati: grande attenzione ai bisogni del territorio; dialogo costante con le istituzioni e con le diverse espressioni della società civile; assoluto rigore nella gestione e nel rafforzamento del patrimonio che ha permesso alla Fondazione – in questi anni difficili caratterizzati da crisi economica e calamità naturali – di mantenere un buon livello di erogazioni e rispondere così alle richieste della comunità. Tutto questo ci consente ora di rilanciare, assieme ai nostri interlocutori istituzionali, i progetti ereditati dal mandato precedente aggiornandoli dove necessario.
 
 
 
Come si inserisce in questo scenario il progetto del “Polo dell’immagine contemporanea” che integrerà la Fondazione Fotografia, la Galleria Civica e il Museo della Figurina?
Il progetto del Polo dell’Immagine contemporanea si inserisce nel più vasto programma di riqualificazione del centro storico di Modena. L’accordo procedimentale firmato assieme a Comune e Ministero sancisce una fase nuova nel progetto di recupero dell’ex ospedale Sant’Agostino, spazio all’interno del quale il Polo dell’Immagine dovrebbe trovare posto. Ora c’è una visione più ampia, un piano che riguarda l’intero quadrante urbano comprendente, oltre all’ex ospedale, anche la piazza, il palazzo dei Musei, l’ex ospedale Estense e via Berengario. In tale contesto il Polo dell’Immagine rappresenta sicuramente un valore aggiunto rispetto al progetto originario.
 
 
 
Come si svilupperà la vostra interazione con il territorio, la collaborazione con le istituzioni locali e con le Fondazioni private?
Manterremo sicuramente i rapporti di stretta collaborazione che hanno caratterizzato sinora l’attività della Fondazione. Sarà nostro impegno fare in modo che la Fondazione venga percepita sempre meno come puro ente erogatore e sempre più come attore coprotagonista delle scelte che coinvolgono la città e il suo territorio. Modena è sempre stata capace, dal dopoguerra in poi, di affrontare unita le grandi sfide dello sviluppo, dell’innovazione e del progresso civile. Ora che la sfida è diventata globale, a maggior ragione si richiede un di più di coesione e di obiettivi da condividere.
 
 
 
Quale sarà il vostro approccio alle tematiche della “spending review”? In Gran Bretagna l’Art Council non darà fondi a istituzioni culturali che non crescono e non gestiscono in modo efficiente. Attiverete anche voi strumenti di monitoraggio, di valutazione dell’impatto sociale, in funzione della qualità degli interventi?
Il nostro Regolamento generale prevede che, per la valutazione dei progetti e delle iniziative di particolare complessità e rilevanza, si tenga conto del loro impatto sociale, in termini materiali e immateriali. Già dal 2007 la Fondazione ha avviato esperienze pilota sul tema della valutazione. Con il Piano Triennale 2013-2015 si è avviata un’attività costante di monitoraggio sui progetti finanziati, anche in relazione ai risultati attesi e conseguiti. Attività svolta, a partire dal 2013, da un nucleo interno sulla valutazione composto da quattro addetti del settore attività istituzionali.
 
 
 
Come Fondazione avete finanziato interventi strutturali? A suo parere come è possibile uscire dalla logica di singole esperienze pur significative per assumere il ruolo di un motore di sviluppo diffuso? Quali sono le politiche necessarie e le risorse utilizzabili per le nuove strategie?
Tra gli interventi più importanti degli ultimi anni segnalo il Centro di Medicina Rigenerativa (CMR), finanziato con 13 milioni di euro, e il restauro del l’ex convento San Paolo, finanziato con 17 milioni di euro. Due opere di grande importanza che, al di là del loro valore materiale, in termini di reddito prodotto, rappresentano uno straordinario motore di sviluppo a medio-lungo termine. Per il CMR il valore aggiunto è dato dalla conoscenza, oggi principale fattore di sviluppo economico; per quanto riguarda il San Paolo il valore aggiunto è dato dalla rigenerazione urbana e da quello che significa per la qualità della vita e l’attrattività di un territorio.   
 
 
 
Come intende sviluppare la collaborazione con i privati? Utilizzate anche voi la soluzione di enti strumentali per la gestione di specificità?
La collaborazione con i privati, accanto a quella con le istituzioni, è da sempre una componente essenziale dell’attività della Fondazione. La composizione del Consiglio d’Indirizzo della Fondazione testimonia una presenza ampia e qualificata della società civile nella governance della Fondazione e ne garantisce la pertinenza delle scelte. Da qualche anno abbiamo anche dato vita a un ente strumentale che gestisce, con grande autonomia d’indirizzo, l’attività di Fondazione Fotografia.
 
 
 
Che ruolo hanno l’arte e la cultura nelle vostre strategie di investimento? E che spazio attribuisce all’arte contemporanea?
Essenziale. Nel triennio 2013-2015 la Fondazione ha erogato risorse per complessivi 61 milioni 700 mila euro (che diventano circa 69 milioni se si considera l’accantonamento per il Sant’Agostino). Il 35 per cento di queste risorse, ovvero circa 22 milioni di euro, sono andate all’arte, ai beni e alle attività culturali. Questo dà il senso dell’impegno della Fondazione sul fronte della cultura, nelle sue varie forme, compresa quindi l’arte contemporanea che nel futuro Polo dell’Immagine occuperà un posto di assoluto rilievo.
 
 
 
C’è un dibattito aperto su un maggiore impegno delle Fondazioni nel sociale (rispetto ad esempio alle destinazioni culturali) soprattutto in rapporto agli effetti di una lunga crisi economica. Qual è il suo pensiero in proposito?
Circa metà delle risorse erogate dalla Fondazione nel triennio scorso è andata a sostegno delle attività di rilevante valore sociale. Non a caso l’ultimo bilancio di mandato porta il titolo A fianco della comunità negli anni della crisi, in virtù della risposta che la Fondazione ha saputo dare alla crescente domanda di sostegno al welfare locale, a favore delle categorie sociali più colpite dalla crisi. Ciò detto credo che la Fondazione abbia giustamente mantenuto un equilibrio tra settori d’intervento e distribuzione delle risorse. Con un’attenzione non solo ai beni artistici e culturali ma anche agli investimenti in sviluppo, ad esempio quelli che, attraverso l’alta formazione, favoriscono il sistema produttivo locale.
 
 
 
Qual è la sua personale lettura del ruolo attuale e futuro della Fondazione?
Rispondo con le parole del presidente Guzzetti: le Fondazioni devono essere aperte all’ascolto e verificare quali siano le priorità, i bisogni più urgenti delle comunità di riferimento. Ma devono anche rendere conto del loro operato, dei loro obiettivi, dei loro criteri di scelta. In una parola, devono essere trasparenti.  E la stessa partecipazione nelle banche deve avere come unico scopo quello di avere buoni dividendi da utilizzare per fare attività erogativa e dare sostegno alle organizzazioni no profit.
 
 
 
Quali sono oggi i rapporti con la banca di cui siete azionisti? E come vede il ruolo delle Fondazioni, e della sua in particolare, in tema di rafforzamento della capitalizzazione delle Banche Popolari e di diversificazione degli investimenti finanziari?
La Fondazione partecipa in UniCredit sia indirettamente attraverso Carimonte Holding (la quota riferibile alla Fondazione è pari a 1,168%) sia direttamente con una quota capitale posseduta dello 0,503%. La quota complessiva è pari a 1,671%. Per quanto riguarda le Banche Popolari e la loro trasformazione in SPA, è un fatto positivo che le popolari stanno cogliendo come opportunità di riposizionamento sul mercato anche attraverso una nuova ed opportuna fase di consolidamento.  Sul fronte degli investimenti, la Fondazione intende dar seguito all’esigenza di garantire un’adeguata diversificazione del portafoglio finalizzata a contenere la concentrazione del rischio.
 
 
 
Come valuta, da imprenditore, le politiche culturali in Italia? Che impatto ha sui vostri progetti l’Art bonus introdotto dal Governo? Cosa manca a suo avviso al quadro normativo e fiscale? Quali esperienze di successo a livello internazionale potrebbero essere un utile riferimento per noi in Italia?
Da una ricerca commissionata da Confindustria Cultura Italia risulta che, per il 2014, il valore economico dell'industria della cultura e creatività è pari a 47 miliardi di euro, il 2,9% del Pil nazionale. La fotografia è quella di un Paese con grandi potenzialità nel settore della creatività che però ha ancora margini di crescita. Vedo alcuni segnali positivi – la rinascita del sito archeologico di Pompei, l’uso crescente dell’Art Bonus, a Modena il restyling della Galleria Estense, diventato Museo nazionale – che dimostrano una nuova sensibilità delle istituzioni nei confronti del nostro patrimonio culturale.
www.fondazione-crmo.it