Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Le immagini malgrado tutto

  • Pubblicato il: 09/08/2016 - 12:06
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Antonio Grulli
Paola Angelini, Deep Green, olio su lino, 30 x 40 cm, Collezione Privata, 2014

Una partnership tra Il Giornale delle Fondazioni e ArtVerona | Art Project Fair, per la​ 12° edizione della fiera veronese, vede la nostra rubrica LA PAROLA AGLI ARTISTI, curata da Stefania Crobe, affidata alla penna di Andrea Bruciati e del suo staff.
Contribuendo all'indagine sul ruolo dell'arte e degli artisti nell'attuale scenario geopolitico in trasformazione, ci traghetteranno verso la tre giorni di fiera con le voci di cinque artisti selezionati per le loro attitudini e la loro incidenza sulla realtà.
Prima tappa: Paola Angelini intervistata da Antonio Grulli


ArtVerona | Art Project Fair fino all’autunno, quando inaugurerà la sua 12° edizione, che si terrà dal 14 al 17 ottobre a Veronafiere, accoglie l’invito de Il Giornale delle Fondazioni a collaborare alla rubrica LA PAROLA AGLI ARTISTI, curata da Stefania Crobe. Un focus ambizioso, che pone l’arte e i suoi protagonisti al centro di un’approfondita indagine sul ruolo che entrambi stanno ricoprendo nell’attuale, quanto complicato, scenario geopolitico, in relazione anche e soprattutto ad un pubblico di non addetti ai lavori, che restituiremo in un dibattito pubblico all’apertura della fiera. E' proprio da questa prospettiva che abbiamo selezionato i cinque artisti – Paola Angelini, Matteo Fato, Cosimo Terlizzi, Andrea Galvani e Luigi Presicce – che come ArtVerona, con la loro arte, il loro impegno e pensiero, ci traghetteranno da qui a ottobre. Come dichiara Antonio Grulli, da poco entrato nel team di ArtVerona e che curerà le prime due interviste, con Paola Angelini e Matteo Fato si indagherà la capacità della pittura e dei pittori di avere un'incidenza sulla realtà di oggi; viviamo infatti tempi in cui si è tornati a sentir parlare di iconoclastia e in cui ci rendiamo nuovamente conto di come le immagini dell'uomo e prodotte dall'uomo abbiano molto più potere di quello che pensavamo. Sembra confermarlo la ricerca di Luigi Presicce, anello di congiunzione fra visione pittorica e un diverso modo di percepire la rappresentazione iconografica, intesa come tableaux vivant, modalità espressiva in dialogo con la Storia, che si apre a inediti modi di espressione. Con Cosimo Terlizzi e Andrea Galvani saranno i dispositivi linguistici messi in atto nella relazione fra opera d’arte e fruitore ad avere la parte da protagonisti: in entrambi gli autori sono infatti la pratica fotografica e la documentazione filmica a svolgere un ruolo preponderante nella registrazione/sublimazione della nostra quotidianità.
Andrea Bruciati, direttore della fiera

Antonio Grulli in dialogo con Paola Angelini

Cara Paola, Il Giornale delle Fondazioni ci chiede di indagare il ruolo dell’arte e dell’artista in tempi complessi come i nostri, in cui le opportunità convivono con buio, instabilità individuale e collettiva, trasformazioni socio-geopolitiche-ambientali. Ci tengo ad affrontare la questione con te, che principalmente dipingi, visto che negli ultimi decenni spesso la pittura è finita sotto accusa proprio perché sembra, rispetto agli altri linguaggi dell'arte, meno adatta a relazionarsi con la "realtà" e con finalità cosiddette più impegnate.
Antonio, una domanda per me molto complessa, mi ripropone interrogativi culturali profondi su cui mi sono interrogata e mi interrogo costantemente in diverse modalità. Tuttavia credo che proprio in questo momento storico la libertà di espressione, seppur rispettosa delle altre culture, sia molto importante. La cultura a cui mi sento di appartenere è profondamente radicata nella figurazione, con cui si confronta. E con questa io mi sento sempre di dovermi confrontare, o metterla in discussione.

Il tuo caso oltretutto è ancora più particolare perché oltre ad essere una pittrice, sei anche una pittrice figurativa. E non siete rimaste in molte in Italia.
La figurazione rappresenta un termine di paragone fermo. L'aspetto che mi interessa è il ragionamento che si sviluppa nel processo: dalla scelta di un’immagine, all’ideazione, alla selezione, fino a scarnificare sempre di più le personali proiezioni e far in modo che con la pittura questo pensiero 'altro', perché fatto ad immagini, rimanga una valenza, un perché e un’attrazione viva. Arrivare a dipingere è il passaggio finale e il più semplice, se si riuscisse ad avere un ragionamento lineare e di esclusione precedente. Ma è questa la difficoltà, per me. Tutto questo ha una validità perché fissa dei punti su cui poter individuare una ricerca. Allo stesso tempo la fluidità di questo approccio porta a perdere nitidezza; con la pittura si mette a fuoco, passaggio dopo passaggio, un pensiero, una visione.
La difficoltà che oggi, proprio in questi giorni mi si propone, con quello che recepisco da quello che accade nel mondo, è la scelta del soggetto. Pesa sulla mia identità un’immagine reale che riesca a rimanere e a essere un soggetto che resiste a tanti interrogativi prima di arrivare all’atto del dipingere. Mano a mano il campo di azione di un processo di lavoro di questo genere, si apre a nuove considerazioni e le possibilità espressive e di linguaggio possono essere molteplici. Perché ora questa crisi la sento al punto di salvare molto poco e diventano sempre più rari i momenti di puro piacere nel fare il mio lavoro. Ma questo è un passaggio normale, nel momento in cui la pittura non ha bisogno di essere difesa o giustificata, ma deve essere fatta, e in questo lavorio quotidiano e costante tutto è già dentro. Arrivare ad un’iniziale sintesi ora per me è un passaggio necessario e decisivo. Ci saranno altri dipinti, altri oggetti, immagini, video, scritti, ma ciò che resta è quella domanda che fa 'salvare' o fa dimenticare, e quello che rimane è un’intenzione di confronto e reazione e dialogo a quello che sta succedendo nel mondo oggi.

02_-_veduta_dello_studio_nordisk_kunstnarsenter_dale_nkd_norway_2014.jpg

E’ incredibile percepire come gli sconvolgimenti mondiali di oggi ci abbiano in qualche modo spinto indietro, a vedere che le immagini hanno una potenza enorme. Viviamo degli scontri culturali in cui spesso la frizione massima è proprio sul controllo e la possibilità o meno di un’immagine. Delle vignette satiriche hanno scatenato una vera e propria azione di guerra nel centro di una metropoli come Parigi. A Palmira e Ninive alcune delle più antiche testimonianze della civiltà umana sono state spazzate via. Ci troviamo ad assistere ad una furia iconoclasta che non avremmo mai immaginato anche solo una decina d’anni fa. Alcuni dei più grandi intellettuali di oggi lo hanno capito, basti pensare all’ultimo film di Aleksander Sokurov, Francofonia.
La scelta della figurazione risale a quando frequentavo l’Accademia di Firenze, attraverso lo studio della pittura e del disegno. Dipingevo dal vero, cercavo un linguaggio, un vocabolario, e a mano a mano mi sembrava possibile arricchire questo intento solo attingendo dalla realtà. In un certo senso però la astraevo e la filtravo con delle scelte stilistiche. Questa è stata una fase in cui non mi ponevo il problema, il mio unico e possibile campo di azione era prestabilito da una forma, da un concetto di forma che stavo costruendo. Le scelte erano indotte da un ambiente culturale e di scambio che avevo intorno, e non da una vera e propria scelta cosciente. Continuando con la pratica pittorica sono emerse in superficie, come delle bottiglie di plastica dal fondale, i riferimenti, i maestri e gli interrogativi conflittuali che mettevano in crisi la base della mia ricerca. Le bottiglie di plastica dal fondo erano prive di contenuto, rappresentavano però tutti i miei riferimenti visivi quotidiani dai quali ho costruito un immaginario. Capire questo non è stato facile, perché l’interrogativo era complesso ed è lo stesso forse che ora tu mi poni. Credo di aver iniziato a capire questo durante dei semplici esercizi, mentre mi confrontavo con una pittura di Alberto Savinio, ridipingendo in maniera ciclica e costante la stessa immagine. Avevo perso il riferimento culturale, concettuale, e citazionistico, quello che rimaneva era una forma data, un contenitore di plastica appunto, che emerge in questa epoca in cui le immagini non si fissano oppure divengono prestabilite e scelte come simboli generazionali. La ripetizione del fare era un interrogativo, perso il momento dello studio, del piacere visivo, raccontata la storia, cosa rimaneva nella mia “astrazione”? Pensavo di trovare un ulteriore passaggio che mi portasse in direzioni nuove, a filtrare le aspettative e le motivazioni iniziali, per far rimanere dei segni. Ma non è stato così! Sono tornata alla realtà di nuovo, poi di nuovo ho scelto, questa volta in maniera cosciente, di studiare e capire da cosa derivavano le mie scelte e le mie attitudini.

05_-_matrice_olio_e_carboncino_su_tela_200_x_200_cm_2015.jpg

Per fare questo, se non sbaglio, oltre a Savinio ti sei confrontata anche con una figura come Tiziano?
Il ciclo di pitture sulla Pietà del Tiziano, è stato l’ultimo tassello di questa fase. Dipingevo tutti i giorni con una tela diversa all’Accademia di Venezia dinanzi all’opera. Guardavo il dipinto e continuavo a cercare. Sono poi tornata in studio e ho realizzato altri lavori. Dopo tanto dipingere la stessa immagine, la figurazione era un reticolato sottostante, veniva disegnato, distrutto e ricostituito tramite i tratti di una fusaggine, utilizzati come solchi su una lastra di incisione. Continuavo a muovermi in questo spazio, perdendo le connotazioni descrittive o di rappresentazione, cercavo appunto cosa potesse rimanere. Ero in una stanza chiusa, di cui conosco tutti gli angoli, gli spazi e gli spigoli; inserita in un’epoca e in una cultura precisa, cercavo tramite la materia. Ma stavo perdendo la realtà, e stavo arrivando ad un limite per cui non avevo ancora gli strumenti.
Per questo ora, paradossalmente, dal segno, dalla messa in discussione della figurazione e dalle domande culturali ho deciso di tornare alle storie, scegliere delle immagini che non si facciano carico di tutto questo ma che riescano a fluttuare in quell'interstizio di senso che la pittura può creare. Mi interessa l’immagine cinematografica, astrarmi da questi interrogativi e decidere di darli per assodati, sceglierli in maniera definitiva (per ora) e percorrere le potenzialità del fare pittura, che attinga da una realtà sì, ma fittizia.

© Riproduzione riservata


 

 

Paola Angelini
Diplomata nel 2008 in Pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze, ha partecipato a numerose mostre in gallerie private e musei pubblici in Italia e all'estero. Nel 2011 ha frequentato il Laboratorio di Arti Visive presso L'Università IUAV di Venezia con Bjarne Melgaard, e nello stesso anno ha esposto nel padiglione norvegese della 54° Biennale di Venezia, all'interno della mostra Baton Sinister. Ha ricevuto diversi premi, tra cui il Premio Celeste nel 2013 e nel 2014 il premio Level 0 durante ArtVerona, selezionata dal Museo Mart di Rovereto. Nel 2014 ha partecipato alla residenza artistica presso il Nordic Artists'Centre Dale (NKD), Norvegia, nello stesso anno è risultata assegnataria della residenza presso la Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia. Tra le sue mostre personali si ricordano: Regio, a cura di Arild H.Eriksen, Galleria Massimodeluca, Mestre – Venezia (2014); Landskapet, mostra di fine residenza Nordic Artists'Centre Dale (NKD), Norvegia (2014); Blue Memory, Rod Bianco Gallery, Oslo (2012). Attualmente in residenza  in Norvegia  presso il Nordic Artists'Centre Dale (NKD). 

ph cover | Paola Angelini, Deep Green, olio su lino, 30 x 40 cm, Collezione Privata, 2014
Paola Angelini, Veduta dello studio, Nordisk Kunstnarsenter Dale (NKD), Norway, 2014

Paola Angelini, Matrice, Olio e carboncino su tela, 200 x 200 cm, Collezione privata, 2015