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Le fondazioni ne stanno facendo di tutti i colori. In bene. Grazie alla terzietà possono svolgere un ruolo di coordinamento, di infrastrutturazione sociale

  • Pubblicato il: 15/06/2012 - 13:38
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

Presidente, com’è arrivato all’incarico?
Provengo da una famiglia che si è sempre occupata del bene comune, della “cosa pubblica” ed è stato naturale per me scendere in campo. Sono laureato in agraria e ho  uno studio di pianificazione e progettazione territoriale. Nella mia prima esperienza istituzionale ho risanato il bilancio dell’Istituto di Case Popolari, in due mandati, uno come vicepresidente e uno come presidente. A seguire la Provincia mi ha nominato nel Cda della Fondazione CR Fossano  e nel 1994, dopo la direttiva Dini, gli altri consiglieri mi hanno chiesto di fare il presidente. Sono al secondo mandato, quindi lascerò al termine del periodo d’incarico. 
 
E’ stato recentemente confermato alla guida del comitato delle “Piccole e medie Fondazioni”. Piccolo e bello?
Le piccole fondazioni sono per i loro territori più importanti delle fondazioni grandi. Hanno  meno risorse, finanziarie ed umane, forse meno competenze, ma  hanno un impatto determinante per le loro comunità contenute dimensionalmente. Prenda ad esempio la Fondazione Cr Fossano che opera in un’area con 24mila abitanti: i due milioni di erogazione annui sono vitali.
Il ruolo delle fondazioni medio-piccole è più semplice: conoscono in modo diretto e approfondito il territorio,  i soggetti  che vi operano, non hanno  necessità di strutturarsi con  “progettifici” per i loro interventi e sono quindi più snelle.
Le grandi realtà hanno dovuto mettere in piedi un sistema di valutazioni oggettive, attraverso bandi e attribuzioni di punteggio ai progetti, che ha conseguenze organizzative e di costi.
Le piccole realtà stanno diventando dei luoghi in cui le intelligenze del territorio si ritrovano, sono piattaforme per l’innovazione. Mettono in rete le associazioni per creare sinergie. Grazie alla terzietà possono svolgere un ruolo di coordinamento, di infrastrutturazione sociale.
 
E’ in corso un’evoluzione di ruolo.
E’ frutto dell’esperienza. Da soggetto erogatore di risorse economiche stiamo diventando  catalizzatori.
 
Si è aperta una nuova fase.
Da quando  affrontiamo i problemi sociali, nei vari settori, con l’impiego del patrimonio e non solo del reddito. La norma ci consente da qualche anno di investire parte del patrimonio a rendimento inferiore al mercato e  sono nate esperienze di partecipazione in società per lo sviluppo socio- economico del territorio. Il primo intervento in questa direzione è stato comunque quello di mantenere una banca locale al servizio dell’economia del territorio.
Poi c’è stata l’esperienza della privatizzazione e ristrutturazione della Cassa Depositi e Prestiti, che prima era una Pubblica amministrazione “mascherata” ed ora è uno strumento rilevantissimo, che si ispira alle migliori pratiche internazionali e supporta progetti di sviluppo per l’economia complessiva.
 
Tra gli investimenti di patrimonio rientra il social housing.
E’ un modello innovativo in un settore che è sempre stato di prerogativa pubblica. La proposta delle fondazioni, sulla base di una sperimentazione della Fondazione Cariplo, è  stata quella creare un fondo nazionale che investisse in fondi regionali che debbono trovare risorse locali. Il contributo del fondo nazionale è attualmente nella misura del 40%, che presto dovrebbe essere elevata al 60%. Il fondo consente di acquistare o costruire alloggi da affittare a categorie sociali intermedie, vulnerabili, con  canoni d’affitto ridotti del 30-35% rispetto a quelli di mercato. Non nascondo che ci sono problemi di vario tipo. Il regime fiscale non agevola il social housing. Il problema è che, senza agevolazioni, queste case vengano a costare una cifra così alta che gli affitti in realtà possano essere abbattuti solo del 15-20%. Il costo del canone di un alloggio sociale non deve derivare solo dal costo  di costruzione degli alloggi, ma deve essere sostenibile in base al reddito di chi andrà a viverci, cioè delle famiglie monoreddito (1200 euro al mese di stipendio), che non possono permettersi di pagare oltre 350 euro mensili, più le spese condominiali. Se il canone degli alloggi sociali diventa più alto, cambia il target di riferimento, e si rischia di non rispondere alle esigenze di chi ha più bisogno.
 
Questa progettualità può essere estesa anche ad altri settori?
Iniziative precedenti o contemporanee al social housing, per esempio, sono quelle di gestione di fondi immobiliari a finalità etiche. In Piemonte, alcune fondazioni hanno acquisito una società di gestione del risparmio e hanno costituito un fondo principalmente finanziato da Fondazione CRT. Questo fondo ha vari comparti: edilizia sociale collettiva (come per gli interventi di recupero  della Certosa d’Avigliana per il Gruppo Abele di Don Ciotti, della Facoltà di scienze Motorie di Torino, di una  sede di associazioni e  cooperative sociali a Cuneo, un laboratorio sensoriale per le erbe officinali a Racconigi ). Nella sanità è stato realizzato un istituto di cure oncologiche. Un altro comparto si occupa di housing sociale, il Fondo Piemonte Case. Un terzo comparto specifico è nato per l’ampliamento della facoltà IULM, con un  auditorium, aule e alloggi per studenti, con un contributo delle Fondazioni Cariplo e CRT. Sono iniziative nelle quali le fondazioni, come enti istituzionali, hanno più credibilità rispetto ai privati nella risoluzione di problemi sociali di carattere generale.
Nel settore culturale vorrei citare un’esperienza della nostra Fondazione che, insieme al Comune di Fossano ha dato vita ad una Fondazione che gestisce una scuola di musica con oltre mille allievi.
 
Diminuiscono le risorse, cambia la modalità di erogazione
Le fondazioni ne stanno facendo di tutti i colori, in bene.
La Fondazione con il Sud è un esempio di organismo in cui fondazioni di origine bancaria  e terzo settore, sono intervenuti ciascuno al 50%. Dal 2006 a oggi, tutto è stato deliberato con il reciproco favore e senza alcun contrasto. Si sta compiendo un lavoro magnifico per sperimentazione, progettualità e qualità nell’erogazione, oltre alla crescita delle competenze. L’unico problema è che bisogna sviluppare i progetti in collaborazione con le associazioni a prescindere dal Pubblico, che spesso rappresenta un freno allo sviluppo dei progetti.
Le energie dal basso sono veramente importanti. I progetti finanziati a bando sono un volano che serve a far partire altri progetti.
 
Il modo con il quale lanciate un bando in termini di rigore e di indirizzo costringe gli operatori a fare rete.
Andiamo a verificare sul campo ciò che succede. Nel quartiere Sanità a Napoli sono nate delle attività spettacolari con la partecipazione di giovani motivati, che stanno facendo rinascere un quartiere con potenzialità inespresse. Sono stati messi in campo investimenti significativi, interventi sociali a base culturale. Hanno recuperato le antiche catacombe di San Gennaro,  una chiesa, realizzato una pinacoteca, dato vita a luoghi di aggregazione e ostelli per la gioventù, creato dei doposcuola per i bambini e una cooperativa di servizi gastronomici fatta da donne napoletane.
 
Le politiche sono ancora fragili, nonostante gli interventi di rigore dell’ultimo periodo. Le iniziative che lei mi ha elencato, in principio di sussidiarietà, hanno un grande sapore di supplenza ai buchi pubblici..
Non c’è dubbio, il confine tra supplenza e sussidiarietà è una lama di un rasoio. In questi tempi è più facile, oggettivamente, supplire. Una fondazione può fare  dichiarazioni programmatiche, ma nel momento in cui un consorzio socio assistenziale chiede un contributo per affrontare l’emergenza, l’intervento da mettere in atto non sempre si lega alla progettualità di lungo termine. Non si possono mettere le persone bisognose sotto i ponti. Le risorse si riducono,  i bisogni aumentano e la coperta diventa corta.
 
C’è stata un’evoluzione in termini di competenze delle fondazioni, ma la stampa non è stata amica. Le fondazioni sono molto attraenti e fanno gola...
Su Vita è stato pubblicato un manifesto a sostegno delle Fondazioni d’origine bancaria. La terzietà e l’autonomia delle fondazioni sono un valore, non sono una pretesa autoreferenziale, anche se sono principi che devono essere coniugati con la responsabilità. Questi elementi uniti fanno derivare la reputazione. Finora, nel mondo delle fondazioni – nate nel 1991 – non risulta un amministratore inquisito per vicende legate ad esso. E’ una cosa normale, ma in un paese come il nostro, diviene un fatto da sottolineare. Questo è un segnale, benché a volte si venga considerati una casta. Esiste un problema della comunicazione in Italia: le notizie positive non vengono messe in agenda, tranne che all’interno di alcune riviste di nicchia. Sin dal momento della loro nascita, le fondazioni sono state messe sotto l’attenzione dei giornalisti bancari. ne è risultata un’identificazione errata tra banche e fondazioni. Far passare i risultati dell’azione quotidiana è relativamente complicato.
 
Non crede che serva uno sforzo ulteriore per comunicare la grande rivoluzione in atto?
Siamo poco capaci a comunicare. Per divulgare occorre anche investire, in risorse umane e finanziarie. E’ necessario far conoscere quello che succede nell’arte, nella sanità,  nell’ambiente e nel welfare grazie al nostro intervento per comunicare la nostra reale attività, per riposizionare la nostra immagine in termini più rispondenti alla realtà.
 
 
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