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Le archistar tornano sulla terra

  • Pubblicato il: 20/07/2012 - 09:23
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Articolo a cura di: 
Lidia Panzeri
«Buksoe Dong

Venezia. «Abbiamo iniziato chiedendo a un numero limitato di architetti di proporre un progetto insieme a un dialogo che rispondesse al tema e mostrasse l’architettura nel suo contesto di influssi e di affinità, di storia e di lingua, di città e cultura»: queste le linee programmatiche, condivise tanto dal direttore artistico David Chipperfield quanto dal presidente della Biennale, Paolo Baratta, della 13ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, in programma ai Giardini di Castello e all’Arsenale dal 29 agosto al 25 novembre. Il tema è quello del «Common Ground», del terreno comune, trasversale alle generazioni e ai diversi contesti storici e geografici. In mostra 58 progetti per un totale di 109 autori; 54, invece, la partecipazioni nazionali, compresa la prima volta di Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait e Perù. L’Argentina, dal canto suo, riesce finalmente ad avere un suo spazio permanente, grazie al restauro della Sala d’Armi, inserita nel percorso dell’Arsenale. 
Dalla filosofia del «Common Ground» deriva un ridimensionamento del ruolo dell’archistar, che deve rinunciare, a detta di Baratta, al suo narcisismo per far spazio alla creatività altrui. Non che manchino, beninteso, le grandi firme, da Peter Eisenman a Norman Foster; da Rem Koolhaas a Zaha Hadid
In questo contesto figurano gli artisti, attivi in campi molteplici, dalla fotografia all’architettura, ed è il caso, fra gli altri, di Ai Weiwei, incluso, per l’occasione, nel gruppo messicano Ruta del Peregrino, e del suo studio «Fake». Gabriele Basilico è invitato a esporre da Roger e Marcus Diener, mentre un altro artista fotografo, Andreas Gursky, è stato cooptato da Forster. In solitaria Thomas Struth e la coppia Peter Fischli e David Weiss, questi ultimi con una delle ultime creazioni a quattro mani, prima della scomparsa di Weiss, lo scorso 27 aprile. L’attenzione al mondo artistico è sottolineata anche dalla presenza dello studio Factum Artedi Madrid, autore del facsimile delle «Nozze di Cana» di Veronese alla Fondazione Cini, incluso dallo studio Fat di Londra. C’è anche un omaggio a un grande storico dell’arte, Wolfgang Wolters, che ha soprattutto studiato le facciate degli edifici storici veneziani, gli stessi di cui ha diretto i restauri l’architetto Mario Piana, che espone insieme a lui: che sia un’implicita risposta al tanto contestato progetto di restauro del Fondaco dei Tedeschi di Rem Koolhaas? In questo caso, più che un «terreno comune» parrebbe un terreno di scontro. A proposito di creatività, non poteva mancare, al Padiglione Italia, curato da Luca Zevi, un omaggio al «Made in Italy», a partire dal modello insuperato della fabbrica di Adriano Olivetti a Ivrea fino agli edifici che esaltano i grandi marchi della moda. Nel Padiglione Venezia, gestito da Louis Vuitton, che ne aveva finanziato il restauro in occasione della Biennale d’Arte l’anno scorso, sono di scena gli «Immaginari metodici» di Nicholas Hawksmoor, con i suoi edifici religiosi, fotografati in bianco e nero da Hélène Binet. Protagonista, inoltre, di questa biennale, è Aldo Rossi, presente nella casa madre della Biennale, a Ca’ Giustinian, dove sono esposti i manifesti realizzati per la III Mostra Internazionale di Architettura da lui diretta nel 1985, e ai Magazzini del Sale con i disegni relativi ai teatri da lui realizzati.

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da Il Giornale dell'Arte numero 322, luglio 2012