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La Triennale di Milano tra successi giuridici e grandi progetti espositivi

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 16:32
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Elena Lombardo

Incontriamo il Presidente della Triennale di Milano, Claudio De Albertis, per un confronto sul recente successo ottenuto davanti al Consiglio di Stato che ha confermato la sentenza del TAR: la Triennale è stata riconosciuta come istituzione culturale privata ancorché di proprietà pubblica. Una vittoria che arriva dopo un percorso di 9 anni mentre la Fondazione, forte di un bilancio 2014 positivo[1], si prepara al grande ritorno dell’esposizione internazionale Triennale, assente dal 1996, la cui XXI edizione: «21st Century. Design After Design» sarà inaugurata il 2 Aprile 2016
 
 

La sentenza: Privato VS Pubblico

Potrebbe ricostruire per noi le dinamiche salienti della vicenda giudiziaria conclusasi recentemente con la sentenza a vostro favore del Consiglio di Stato?
Il nodo è sostanzialmente questo: nel 1999 il Governo trasformò numerosi enti culturali pubblici in Fondazioni di diritto privato[2]. Per citarne alcuni tra i più famosi: La Scala, La Triennale di Milano, La Biennale di Venezia, Il Piccolo Teatro, il Maggio Musicale Fiorentino, la Quadriennale di Roma.  
Già allora si prefigurava una situazione di scarse risorse pubbliche per la cultura e tutti questi enti erano prevalentemente finanziati dal sistema pubblico. La Triennale di Milano nel 2001 aveva un finanziamento pubblico pari al 90% del suo bilancio.
L’obiettivo di questo intervento era favorire e consentire l’ingresso di privati nella gestione delle istituzioni culturali, un obiettivo che, fatta eccezione per i casi di fondazioni di origine bancaria, nella pratica non è stato raggiunto. Sono stati infatti pochissimi i privati entrati a far parte delle fondazioni culturali, La Scala è forse uno dei pochissimi esempi in Italia.
 
 
 
Come mai a suo avviso la manovra non ha raggiunto lo scopo desiderato?
I privati, per entrare nella gestione hanno bisogno di incentivi e garanzie ancora inesitenti.
Nel 2006, il governo Prodi decise che chi apparteneva al sistema pubblico allargato doveva praticare una logica di risparmio e restituire una parte dei contributi dati dallo Stato (per noi 300mila euro nel 2006 e 600mila euro nel 2007). Con il cambio del Governo la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata.
 
 
 
Perché la logica adottata era inadatta per la Triennale?
Il Governo aveva le proprie ragioni: se un soggetto riceve finanziamenti prevalentemente dal sistema pubblico perché deve muoversi come  un soggetto  privato? Risponda alle regole pubbliche. Ma se, come la Triennale di Milano, non appartiene al sistema pubblico allargato perché vive prevalentemente delle risorse che genera con il suo lavoro, allora questo ragionamento non tiene.
Una delle norme più insensate per noi impone a questi enti un risparmio dell’80% rispetto all’anno precedente per attività espositive e di comunicazione. Ai tempi era dovuto intervenire il Ministro dei Beni Culturali con un decreto che prevedeva l’eccezione per gli enti, come la Triennale di Milano, la cui missione principale è proprio quella di produrre mostre e attività culturali.
 
 
Come è potuta accadere una svista simile?
Perché essenzialmente lo Stato indicava che gli enti pubblici e gli enti locali non dovevano superare un certo tetto di investimenti per attività come le mostre che non erano primarie per la loro missione. È chiaro che nel calderone generale enti o istituzioni che hanno lo scopo di fare mostre non erano stati considerati per la loro esclusione.
Non vogliamo discutere sulle scelte legittime del Governo rispetto all’uso delle proprie risorse, ma evidenziare un errore di valutazione che ha ricondotto soggetti come la Triennale di Milano all’interno del sistema pubblico allargato.
Inoltre a questa questione si somma un paradosso: se un soggetto appartiene al sistema pubblico allargato, con il suo bilancio concorre al bilancio complessivo dello Stato e quindi al disavanzo che, come prescritto dal Patto di stabilità e crescita sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell'Unione europea, non deve essere superiore al 3% del PIL.
 
 
 
Un paradosso che suggerisce quale strategia?
Lo Stato dovrebbe incentivare questi soggetti ad uscire progressivamente dal sistema pubblico e rendersi autonomi, anche per facilitare la possibilità di restare sotto questo 3%, esattamente come sta facendo la Germania.
Ciò  non significa eliminare il contributo pubblico che rende l’istituzione culturale più indipendente dal mercato  e le fornisce un polmone di resistenza all’eventuale congiuntura economica negativa.
In questa prospettiva il sistema pubblico deve riconoscere le sue principali istituzioni culturali e sostenerle con una distribuzione di finanziamenti non basata su un sistema di automatismi ma con logiche di merito e premiali.
 
 

Rivendica un’autonomia?
L’autonomia della gestione che noi rivendichiamo non significa volersi discostare dalla logica del controllo pubblico: i soci della Triennale, che sono tutti pubblici, continuano a svolgere la loro attività di vigilanza attraverso in primis l’assemblea e poi la la Corte dei Conti. Ma è fondamentale introdurre logiche di merito che considerino il finanziamento pubblico come un moltiplicatore sul quale è necessario costruire circuiti virtuosi che contribuiscono all’economia del Paese.
 
 
 
Come avete gestito le norme imposte dal decreto? In che modo hanno influenzato la vostra attività?
Abbiamo continuato ad organizzare la nostra attività come un’istituzione privata, facendo ricorso al Tar, che ci ha dato ragione nel Dicembre 2012 (sentenza pubblicata a Marzo 2013). Nonostante la crisi non abbiamo  ridotto le iniziative, ma abbiamo elevato l’attenzione ai conti e alle procedure adottando un modello aziendale di organizzazione, gestione e controllo (ex D. Lgs. 231/01), con il quale ci siamo dotati di un ulteriore organismo di controllo oltre ai revisori dei conti e al collegio sindacale. Abbiamo attivato procedure di trasparenza sia nella selezione dei fornitori che nella rendicontazione, utilizzato le procedure disposte dalla legge in caso di finanziamenti pubblici e mantenuto una logica di autonomia gestionale rispettosa degli indirizzi di concorrenzialità.
 
 
 
Il grande ritorno della Mostra Internazionale della Triennale
 
Ora che questa vicenda può dirsi finalmente conclusa, quali sono i progetti in cantiere?

Da qualche anno stiamo lavorando per riorganizzare l’esposizione internazionale della Triennale, la ventunesima edizione: “21st Century. Design After Design”, verrà inaugurata il 2 Aprile 2016.
 
 
 
L’esposizione Internazionale manca dal 1996, perché?
E’ stata una scelta contemporaneamente sbagliata e lungimirante.
Il consiglio di amministrazione e il Presidente di allora, Augusto Morello, hanno ragionato in questa direzione: le Triennali si facevano per presentare le innovazioni nel campo del design e dell’architettura, oggi, con internet ed i voli low cost, le innovazioni si possono conoscere in tempo reale (siamo nel 2000 quando la decisione è stata presa).
Si è pensato allora di cambiare la formula e dedicarsi ad un lavoro scientifico di profondità, per tre anni, attorno ad un tema da trattare in modo esaustivo con mostre, iniziative e convegni di varia natura. Passando da una Triennale ogni tre anni ad una Triennale di tre anni.
In questo modo, se da una parte abbiamo perso il treno perché da quel momento sono esplose Biennali e Triennali in tutto il mondo, dall’altra abbiamo trasformato un’istituzione che lavorava sostanzialmente per preparare un grande evento ogni tre anni in una struttura che opera nella continuità.
La Triennale che conosciamo oggi è il risultato di questa scelta ed il Museo del Design si inserisce in questa logica: una struttura permanente che si rinnova ogni anno, un museo mutante dove la ricerca e innovazione è continua.
 
 

Qual è il vostro obiettivo principale oggi?
L’obiettivo è mantenere questa continuità reintegrando il grande evento dell’Esposizione Internazionale. Abbiamo ripreso il cammino che, è importante sottolineare, è un cammino diverso dalle altre istituzioni nel mondo perché la nostra è la unica istituzione riconosciuta dal BIE - Bureau International des Expositions.  Un aspetto che ci inserisce all’interno di una logica istituzionale più forte: chi invita a partecipare all’esposizione non è il Presidente della Triennale ma il Governo Italiano, di cui noi siamo il braccio operativo per la creazione della XXI Triennale, evento del quale abbiamo responsabilità scientifica, organizzativa ed economica.
 
 
 
Quali le differenze  rispetto alle edizioni passate?
La formula sarà diversa. Le precedenti si svolgevano esclusivamente all’interno del Palazzo dell’Arte o si estendevano al massimo al Parco Sempione, lasciando però importanti eredità come il Teatro continuo di Alberto Burri, I Bagni Misteriosi di Giorgio de Chirico, il Bar Bianco, Accumulazione musicale di Arman, la Biblioteca del Parco.
Questa volta coinvolgeremo tutta la città fino ad arrivare a Monza, dove la Triennale è nata e dove dal 2014 abbiamo una nuova sede del Triennale Design Museum presso la Villa Reale del Belvedere.
Nella nuova edizione saranno coinvolte le Università, tra le quali il Politecnico, la IULM e la Statale di Milano e numerosi musei e spazi espositivi: l’Hangar Bicocca, il MUDEC, il Museo della Scienza e della tecnologia, La Fabbrica del Vapore, per dirne solo alcuni.
Ci aspettiamo dunque una grande partecipazione per la quale ci stiamo preparando ad accogliere non solo i Paesi, ma anche le scuole, università, design center, le imprese e i loro centri di ricerca. Tutti meritevoli di prender parte a questo grande evento ed esprimere il proprio punto di vista.
 
 
 
Si tratterà quindi un format aperto, un dialogo a più voci che attraverserà la città…
Esatto, il nostro ruolo è anche questo, chiamare il mondo del progetto a esprimersi, studiare, relazionarsi, dimostrare le proprie tesi in merito ai temi che la Triennale individua.
Temi che sono sempre stati molto pertinenti e in linea con lo “spirito del tempo”: pensi che la Triennale del ‘47 si occupava della ricostruzione e progettazione del QT8, quella del ‘54 della nascita dell’Industrial design in Italia, nel ‘64 investigava il tema del tempo libero, mentre nel ’68, la famosa Triennale che non si è mai vista, aveva come tema “il grande numero”, profetica.
L’ultima Triennale, quella del ’96, aveva come tema “identità e differenze”, ancora oggi di grande attualità. 
Questa nuova edizione parte dal presupposto che il XXI secolo è il secolo del design, il secolo del progetto nella sua accezione più vasta, e per questo il tema si rivolge alle suggestioni più diverse proponendo una riflessione sul “Design After Design”, senza la pretesa di avere una ricetta perfetta ma con la volontà di alimentare una discussione seria, concreta e anche divertente.
 
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[1] Nel 2014 la Triennale raggiunge un patrimonio netto di 3.854.284,00 (2.756.490,00 euro nel 2005) confermando la quota di finanziamento pubblico al 21% a fronte di un bilancio di 14.907.110,00 euro nel quale i progetti per EXPO Milano 2015 l’hanno fatta da padrone con entrate per 5.720.607, 00 euro.