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La società benefit, un primato italiano

  • Pubblicato il: 18/06/2017 - 18:03
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Franco Broccardi

Una riflessione sulla società benefit come nuovo modello di business per la corporate social responsability
 


 
La questione delle società benefit in Italia è un po’ come una corsa sui duecento piani, una gara in tre fasi.
La partenza, questione di riflessi, di scatto, di impulso. Di reazione agli stimoli. E qui non andiamo male. Quando c’è da partire partiamo, sempre. L’Italia è il primo stato a dotarsi di una normativa nata e cresciuta sull’onda di quella presente in alcuni stati USA. È stato il primo paese che per caratteristiche culturali e responsabilità sociale e per il rapporto che lega le nostre PMI al territorio in cui sono nate e di cui sono figlie, ha saputo leggere con anticipo le mosse dello starter, i segnali di cambiamento, la sempre più sottile barriera che separa concetti come profit e no profit, destinati a perdere senso come destra e sinistra nei parlamenti di mezza Europa.
Le società commerciali, tradizionalmente, nascono e operano per un unico scopo il cui risultato ultimo è quello di remunerare il capitale. Gli utili sono un diritto dei soci, il fine definitivo è la massimizzazione del profitto, lo shareholder value, la soddisfazione dei soci. Un concetto ben riassunto già nel 1919 nella famosa causa tra i fratelli Dodge e la Ford Motor Company: a business corporation is organized and carried on primarily for the profit of the stockholders. Prima gli azionisti, parafrasando Trump.
 
Con le società benefit tutto questo si stempera: l’interesse si moltiplica a vantaggio di altri beneficiari, l’egoismo utilitaristico lascia il passo al beneficio comune e il fine vira verso lo stakeholder value. E ancora: quello che prima era relegato ad atto occasionale e soggetto al giudizio dell’assemblea diventa parte integrante del processo aziendale, ciò che era sporadico si ritrova sistemico, quello che spesso era casuale diventa una prassi non solo possibile ma addirittura obbligatoria. Quello che era soggettivo, quindi, è ora parte dell’oggetto sociale, attività sottoposta al controllo non più incentrato sul perché ma sul come.
Una volta partiti c’è da impostare la curva, mantenere il controllo e l’equilibrio mentre le gambe cominciano a prendere ritmo. È il momento di stabilizzare le leve, non perdere appoggio, sostenere la progressione. Di abituare il corpo a inclinarsi verso l’interno della pista, per contrastare l’azione della forza centrifuga, che tende a portare verso l’esterno, a perdere il centro del discorso, a deviare rispetto all’obiettivo finale.
 
Le società benefit hanno bisogno di cominciare a correre. Partire bene (e velocemente) ma avere certezza. Le norme sono poche e chiare. Nessun regime speciale ma semplicemente società che si danno un obiettivo più grande. E a fronte del proprio impegno tradizionale affiancano un intento responsabile. Un oggetto aggiuntivo, che può correlarsi con il core business, un’inclinazione che la società si concede e che ha il più delle volte declinazioni ambientali ma che possono, perché no, virare verso ambiti culturali. Non ultimo il caso di una società immobiliare che ha deciso di investire in giovani artisti contemporanei inserendo nei propri cantieri opere, assumendo così l’impegno di committente per la produzione di progetti architettonici nuovi o per il restauro e riuso dell’esistente, con attenzione, certamente, alla qualità̀ e sicurezza della costruzione e al recupero dei materiali, oltre che alla loro funzione di servizio e godimento per le persone che vi trascorrono parti della vita ma soprattutto alla loro bellezza, sostenendo un dialogo fluido e dinamico fra artisti, artigiani, designers, architetti, ingegneri, umanisti, animalisti, creativi, sociologi, filosofi, antropologi, futurologi, pubblicitari, ecologisti, collezionisti, ecc. in un interscambio di competenze e suggestioni che possano creare un vero e proprio cantiere di produzione culturale, dove possa emergere il ruolo dell’artista come interprete di contemporaneità̀ e conduttore di valori e bellezza di cui possano beneficiare gli investitori, i fruitori e la collettività̀ e la Società̀ stessa, che guadagnerà̀ di più.

Un simile meccanismo che combina ingranaggi economici con altri prettamente culturali così come per tutte le altre società benefit potrà avere una sua propulsione solo se la pista sarà liscia, priva di buche interpretative, libera da ostacoli burocratici. La novità della norma, l’assenza o quasi di prassi, la scarsità di informazioni rendono aleatorio il campo in cui si corre e non rendono ancora certo il suo percorso. Servono prese di posizione chiare da parte dell’Amministrazione Finanziaria, certezze che liberino il passo, permettano di affrontare le curve con decisione e sicurezza.
E infine il rettilineo finale dove allungare il passo, accelerare il ritmo, forzare in attesa del traguardo. Dove muovere le gambe ad una velocità superiore, certi del risultato che è lì a qualche metro. Fuor di metafora servirà osare ancora di più, immaginare nuovi limiti e nuove possibilità. Un lavoro sulla normativa fiscale applicabile alle società benefit potrebbe davvero segnare un cambio di passo. Per le società benefit non sono state introdotte deroghe né al diritto societario né, men che meno, a quello tributario. Non ci sono agevolazioni, scorciatoie, assimilazioni ad altre diverse e favorevolmente normate forme societarie come, ad esempio, l’impresa sociale. L’impresa benefit è impresa profit e nulla cambia rispetto al passato. Ma se davvero puntiamo a raggiungere il nostro vero traguardo, a percorrere i nostri ultimi metri più in fretta forse sarebbe il caso di pensarci.
 
La società benefit è un nuovo modello di business, risponde appieno alla corporate social responsability, è un’idea moderna che coniuga interesse privato e beneficio comune, guadagno e restituzione. Ipotizzare l’applicazione di una fiscalità favorevole, ad esempio, sugli utili prodotti e non distribuiti così come per l’IVA sugli acquisti legati alle attività ‘benefit’ fungerebbe da integratore allo sviluppo di uno strumento prezioso che, se declinato in ambito culturale si avvicinerebbe di molto al traguardo dell’impresa culturale da più parti reclamato senza ancora uno sviluppo certo e prevedibile.
 
Franco Broccardi, Studio Lombard dottori commercialisti associati
 
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