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La doppia vita del Museo Marino Marini, tra storia e contemporaneità

  • Pubblicato il: 18/05/2012 - 15:29
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Articolo a cura di: 
Cecilia Conti

Firenze. «Una delle eredità più importanti che Marino Marini ci ha trasmesso è la sua apertura e il suo grande entusiasmo verso i giovani, che accoglieva nel suo atelier, nonostante fosse un artista che per tutta la vita ha seguito un percorso esclusivamente personale. Nei suoi diari ha lasciato scritto quello che oggi rappresenta il leitmotiv della Fondazione: aprire i luoghi a lui dedicati e le sue opere alle libere interpretazioni degli artisti italiani e internazionali, dando vita ad un’ideale comunione con lo scultore e ad un dialogo costante con il suo lavoro. Questo è per noi un vero e proprio precetto».
L’idea di lavorare sul contemporaneo, come racconta Alberto Salvadori, è nella stessa mission della Fondazione, che mantiene così il Museo attivo nel tempo, in una continua riconquista dello scultore e della sua poetica. E’ un duplice percorso fatto di scambi, stimoli e inedite letture: da un lato il lavoro sull’opera di Marino Marini, dall’altro la progettazione legata alla cultura contemporanea, che coinvolge ogni linguaggio, dalle arti visive alla musica, dalla danza e dal teatro alla letteratura.
La programmazione dedicata all’arte contemporanea ha caratteristiche specifiche: la Fondazione realizza e sostiene quattro progetti all’anno prodotti appositamente per il Museo Marino Marini, lasciando agli artisti le opere da essi realizzate.
Con la mostra ora in corso «La verità è figlia del tempo non dell'autorità», installazione formata da 4 sculture progettata dal duo LovettCodagnone per la cripta del Museo, Alberto Salvadori affronta il tema a lui caro della verità intesa come ricerca di identità e come messaggio di libertà, attraverso uno dei testi fondamentali del teatro novecentesco dedicato a un toscano importante per la città di Firenze, Galileo Galilei. Da qui nasce un progetto che ha visto coinvolti in maniera differente altri soggetti, come Michele Pauli, tra i fondatori di Casino Royale e collaboratore degli artisti per il sonoro, lo scrittore e performer Gary Indiana, che ha preso parte alla performance realizzata per l’inaugurazione, e gli attori Sandra Ceccarelli e Marco Mazzoni.
In una città come Firenze, dove fanno da padroni i grandi musei come gli Uffizi e l’Accademia, la Fondazione si inserisce in un sistema museale estremamente affascinante, ma complicato.
«La nostra ricerca è rivolta non tanto ai turisti, presenza effimera, ma ai fiorentini e questa vocazione si realizza con l’attività del dipartimento di didattica, che ogni giorno coinvolge una media di settanta giovani dalle scuole primarie fino alle superiori, e una programmazione che spazia dalla musica elettronica, jazz e classica, alla presentazione di libri, performance, rappresentazioni teatrali, trasformando di volta in volta il Museo in un palcoscenico. A questo si aggiunge la nostra programmazione di ricerca, la produzione di mostre e di nuovi progetti per artisti nazionali e internazionali. E poi c’è Marino Marini, che ha tuttora un grande appeal nei confronti di un turismo più contenuto e raccolto, che decide di uscire dal sentiero che dall’Accademia arriva a Palazzo Pitti senza prevedere alcuna divagazione».
Il Museo è un luogo con una progettazione autonoma, una forte propensione a collaborare con le altre istituzioni della città, ma con un’anomalia: «Nonostante la partecipazione del Comune, socio fondatore insieme alla Fondazione Marino Marini di Pistoia, non si è ancora capito dove si posiziona un soggetto così significativo come il Museo Marino Marini» afferma Carlo Sisi, presidente della Fondazione «Ci fu addirittura un periodo lunghissimo in cui il Comune si era dimenticato, pur erogando i denari, che il Museo poteva essere aggregato ai musei comunali fiorentini».
Punto in comune con tanti altri musei d’arte contemporanea italiani è, dunque, un complicato rapporto con la pubblica amministrazione, ma con una differenza: «Noi abbiamo alle spalle una fondazione privata con una mission ben precisa, che non può essere altro che quella. Questo ci distingue da quei musei e istituzioni culturali che si vedono cancellare in 6 mesi la loro storia decennale o ventennale e, di conseguenza, anche l’investimento di soldi pubblici».
Per Salvadori la strada da seguire per recuperare la credibilità, il rispetto e la forza delle istituzioni culturali, ridotta ai minimi termini da una classe dirigente politica e amministrativa spesso «sconveniente» e protagonista di una gestione non oculata, è una sola: lavorare tanto e tutti insieme in modo più serio e sentito, affinché esse siano libere dalla politica e affidate alla società civile, vera protagonista della loro gestione.
 
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