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La cultura italiana ad un bivio: il ruolo (e il potenziale) delle fondazioni

  • Pubblicato il: 04/05/2011 - 19:57
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Pier Luigi Sacco
Pier Luigi Sacco

Il fenomeno delle fondazioni non è certamente un’esclusiva della realtà italiana, e men che meno della sfera culturale. Nel caso della cultura italiana, tuttavia, le fondazioni stanno assumendo, e ancora di più potranno farlo nel prossimo futuro, un ruolo assolutamente decisivo e per molti versi peculiare.

Parlando di fondazioni nel caso italiano, dobbiamo operare una importante distinzione tra quelle di origine bancaria (FOB) e quelle civili (FC), con le loro varianti come la fondazione di partecipazione e con le sue ulteriori forme derivate.
Le ragioni che danno conto dell’eccezionalità del peso delle fondazioni nello scenario italiano attuale sono molteplici: la crisi economico-finanziaria che ha ridotto drammaticamente i livelli di spesa pubblica in ambito culturale, non soltanto a livello centrale, ma anche, attraverso i meccanismi del patto di stabilità, a livello delle amministrazioni locali; la debolezza e l’arretratezza della politica culturale italiana, se confrontata con lo scenario europeo, con la parziale esclusione dei temi tradizionali della salvaguardia; l’equivoco tutto italiano attorno al tema della valorizzazione, che viene da noi percepito come un possibile fattore trainante dell’economia culturale quando non addirittura dell’economia nel suo complesso, e che invece in un modello realistico ed equilibrato di sviluppo a base culturale può svolgere al più un utile ruolo complementare di razionalizzazione e messa in efficienza delle condizioni di offerta.

Questo complesso di circostanze sta portando progressivamente ad una politica culturale che rinuncia ad operare strategicamente per mancanza non soltanto di risorse, ma di idee e di una conoscenza diretta delle buone prassi internazionali; ad una progressiva articolazione degli interventi culturali per eventi, e ad una valutazione di efficacia fondata su parametri di natura televisiva (il numero di spettatori, il ritorno mediatico, ecc.); ad una altrettanto progressiva quanto inesorabile riduzione del valore sociale ed economico della cultura al suo impatto immediato in termini di ricavi dalla bigliettazione e dalla vendita di beni e servizi nei settori dell’indotto.

Si fa ancora costantemente riferimento, e questo sì che è davvero paradossale, alla figura del mecenate, spesso interpretata in senso miracolistico-messianico, quale elemento centrale della sostenibilità dell’offerta culturale – ribadendo cioè l’arretratezza di una visione di politica culturale centrata su una logica pre-industriale dell’offerta nella quale la cultura è totalmente dipendente dalla generosità dei magnanimi, e che di fatto ignora l’eccezionale ruolo che la dimensione produttivo-imprenditoriale della cultura sta assumendo oggi a livello globale attraverso il rapido e impressionante sviluppo delle industrie culturali e creative.

Non a caso, l’Italia è uno dei pochissimi paesi europei che non manifesta oggi alcuna strategia né impegno costante su questi settori a livello ministeriale. In effetti, all’interno del dibattito sulla valorizzazione, di imprenditorialità si parla spesso, ma nel senso sbagliato: si insiste infatti sulla possibilità di fare cassa interpretando l’impresa come vendita al pubblico di beni e servizi, coerentemente con una visione turistico-ricreativa della cultura, mentre non si percepisce la vera dimensione imprenditoriale, quella legata ad un macro-settore complesso e fortemente interdipendente, che spazia dalle arti visive al patrimonio, dal design all’editoria multimediale, dalla comunicazione alla musica e che nel suo complesso costituisce il vero riferimento di un’azione di politica culturale, di promozione dell’imprenditorialità, di sostegno della competitività.

All’interno di questo quadro, le FOB giocano davvero un ruolo decisivo, in quanto, pur con tutte le difficoltà legate alla difficile congiuntura attuale, possiedono sia la consistenza patrimoniale che la struttura organizzativa per poter diventare una sorta di sistema nervoso centrale alternativo (ma non naturalmente in senso oppositivo, quanto piuttosto complementare) della politica culturale del sistema paese. L’azione e la progettualità delle FOB, come sappiamo, è legata al proprio territorio di riferimento, ma se guardiamo alla rete ci rendiamo conto che la loro diffusione è abbastanza capillare nell’Italia centro-settentrionale, mentre in quella centro-meridionale, decisamente più povera di risorse e di presenze, si riscontra ormai un’azione sistematica di intervento resa possibile da un intelligente lavoro di coordinamento e dall’assegnazione, su base progettuale, di territori meridionali di riferimento a gruppi specifici di FOB centro-settentrionali all’interno di specifiche iniziative (come ad esempio il pionieristico Progetto Sud promosso da Acri).

Questa dimensione di rete può rivelarsi decisiva oggi per impostare un’azione di sistema di cui il nostro Paese ha disperatamente bisogno – e non soltanto nella sfera culturale, ma in quelle economiche che dalla cultura, contrariamente a quel che siamo portati a pensare, tanto dipendono in termini di identità, spinta innovativa, posizionamento globale, e così via.
Il dilemma delle FOB oggi è, appunto, quello di riuscire a diventare una rete efficace di politica culturale rinunciando ad una logica di azione frammentaria ma funzionale al mantenimento di un consenso locale e lavorando per grandi obbiettivi, formulati sulla base di una puntuale e aggiornata conoscenza degli indirizzi a livello europeo e dello scenario globale in rapida evoluzione, per mettere il nostro Paese in condizione di riappropriarsi di una leadership in ambito culturale al momento pressoché incenerita.

Sono stati già fatti alcuni passi incoraggianti in questa direzione, ma allo stato attuale l’azione delle FOB, con poche eccezioni, tende ancora a non aggredire efficacemente i temi all’ordine del giorno: le nuove forme di imprenditorialità creativa, lo sviluppo delle industrie dei contenuti culturali, il potenziale di coesione sociale della formazione e della pratica culturale, il rapporto tra cultura e benessere: temi, questi ultimi, che porterebbero ad una sinergia molto forte tra alcuni dei principali ambiti di intervento delle FOB, la cultura appunto, e il sociale.
C’è da augurarsi che su questi temi ci sia presto una forte presa di posizione, preceduta magari da una opportuna indagine conoscitiva che dia alle FOB le informazioni e gli strumenti di cui necessitano per poter intervenire con efficacia.

Interpretare in modo maturo il nostro sano individualismo
Sul versante delle fondazioni civili, in Italia si riscontra un notevole attivismo ed una certa creatività: lungi dall’interpretare ruoli para-istituzionali ingessati o da agire come meri soggetti erogatori, le FC italiane si distinguono spesso per visione, capacità di iniziativa e anche buona capacità di costruzione di sistemi di relazioni internazionali. Ciò che spesso manca sono però i requisiti patrimoniali adeguati, che a volte costringono a canalizzare molte importanti energie sul versante della sostenibilità e della raccolta fondi piuttosto che su quello della progettualità.

Vi sono naturalmente anche realtà finanziariamente molto solide, che riescono a ritagliarsi ruoli di primo piano e ad agire interpretando in modo intelligente e rilevante il principio, tanto spesso invocato quanto nei fatti disatteso o travisato, della sussidiarietà orizzontale. Nel panorama le fondazioni di impresa si stanno spesso distinguendo positivamente, interpretando un modello abbastanza peculiare della realtà italiana che porta le aziende ad intervenire in campo culturale con una valenza di attori sensibili e appassionati e non soltanto di finanziatori. Quando questa progettualità si sviluppa facendo ricorso a competenze di livello, i risultati sono spesso innovativi e in qualche caso addirittura sorprendenti.

All’interno di questo quadro, che porta le FC ad assumere un ruolo di dinamizzatore del sistema, anche qui si rende tuttavia necessario elaborare forme di coordinamento che, pur non ledendo in alcun modo l’autonomia decisionale e di iniziativa dei singoli soggetti, produca una maggiore coerenza degli interventi e favorisca dove possibile la creazione di sinergie.

L’eterogeneità dimensionale, economica e culturale delle FC (che, a differenza delle FOB, non condividono una matrice socio-organizzativa comune) rende il compito molto difficile, e secondo molti di fatto improponibile. Ma sarebbe importante provare a superare questa barriera mentale, comprendendo che, in un momento come questo, occorre ricostruire dal basso una progettualità culturale che, a livello centrale, si trova oggi nel punto di crisi più grave e profondo dell’intero secondo dopoguerra.
In circostanze eccezionali, bisogna poter fare cose eccezionali, e nel caso dell’Italia questo vuol dire soprattutto imparare ad interpretare in modo più sano e maturo il nostro tanto amato individualismo.
Perché la cultura torni ad essere presa sul serio ed amata dalla nostra opinione pubblica, deve riconquistare la sua valenza di bene comune e non di proiezione, per quanto splendida e affascinante, di tante realtà autoreferenziali. E’ la riconquista di questo spazio comunitario la vera priorità di questo difficile momento. Il mondo delle fondazioni ne può essere un protagonista e fronteggia quindi oggi un’occasione senza precedenti di segnare il percorso futuro del nostro Paese.
Spero che ci sia voglia di cogliere la sfida con coraggio e intelligenza.

Pier Luigi Sacco è Professore ordinario di Economia della Cultura all’Università IULM di Milano e ideatore e direttore scientifico del Festival dell’arte contemporanea di Faenza
 

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