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Il patriottismo di Poldi Pezzoli

  • Pubblicato il: 14/11/2011 - 08:45
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NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Ada Masoero
Francesco Hayez (Venezia

Milano. Si pensa a Gian Giacomo Poldi Pezzoli e la mente va, inevitabilmente, alla casa museo, al gusto infallibile di collezionista, alla raffinata passione per le arti decorative, al ruolo di committente di ambientazioni e di arredi aggiornatissimi. Spesso si finisce però col dimenticare che fu un acceso patriota, che pagò con il carcere, l’esilio e la confisca dei beni il coinvolgimento nelle Cinque Giornate e il sostegno economico al Governo Provvisorio. La mostra «Gian Giacomo Poldi Pezzoli. L’uomo e il collezionista del Risorgimento», curata da Lavinia GalliFernando Mazzocca e aperta nelMuseo Poldi Pezzoli dal 12 novembre al 13 febbraio (catalogoAllemandi) per i 150 anni dell’Unità, mette in luce proprio questo suo volto e lo fa attraverso una rilettura del suo collezionismo e della committenza, interpretati alla luce dello spirito intensamente patriottico che li animò. Perché nel raccogliere i suoi tesori pittorici (in soli 25 anni, tra il 1853 e il 1879, anno della morte, creò la più prestigiosa pinacoteca di Milano, presto famosa in tutt’Europa) Gian Giacomo fu sempre guidato dalla volontà di creare una collezione di «arte patria», capace di documentare ai più alti livelli il primato dell’Italia nell’arte. Lo stesso accadde con le arti decorative, che lo videro acquistare vetri di Venezia, intagli e ferri lombardi, armi e armature antiche milanesi e bresciane, mobili in pietre dure fiorentini e romani, in una sorta di ideale Grand Tour delle nostre arti. Era questa del resto la cultura diffusa fra i fautori dell’Unità nel «decennio di preparazione», quando tutto, dall’arte alla musica, dalla letteratura al teatro, adombrava valenze patriottiche.
Il percorso, allestito da Luca Rolla e Alberto Bertini, coinvolge più spazi del museo e si apre con la sezione biografica, dominata dal suo famoso ritratto di Francesco Hayez e ricca di documenti,alcuni ritrovati in quest’occasione, come il libro dei conti, intestato «Mia Cassa Particolare», tenuto dal 1861 alla morte. La seconda sezione guarda alla sua passione collezionistica forse più intensa, quella che lo portò a formare la più importante raccolta privata di armi e armature antiche del tempo, allestita dallo scenografo scaligero Filippo Peroni in una Sala d’Armi (distrutta dalle bombe) del più puro gusto troubadour: un altro simbolo, attraverso la rievocazione dell’Italia comunale e medievale, di una nazione libera dallo straniero. La terza sezione si appunta sul mito di Dante, padre della lingua e quindi anche della nazione italiana, che suggerì a Gian Giacomo il décor dello Studiolo Dantesco (1853-56) con la vetrata del «Trionfo di Dante» di Giuseppe Bertini e i preziosi dipinti murali restaurati di recente.
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da Il Giornale dell'Arte numero 314, novembre 2011