Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Il mondo del non profit cresce e si diversifica, la Pubblica amministrazione si snellisce, il settore delle imprese subisce trasformazioni nel contesto della crisi e della globalizzazione

  • Pubblicato il: 01/02/2014 - 00:13
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Stefania Crobe in collaborazione con Giuseppe Frangi, direttore del magazine VITA

Nel mare magnum che comprende società cooperative sociali, associazioni riconosciute e non, altre istituzioni, le fondazioni sono 7846 e, tra queste 1623 il 21% operano nel settore delle attività artistiche e culturali (FAC), ambito di intervento prediletto, insieme alle attività sportive e ricreative e all’istruzione e alla ricerca, seguite da assistenza sociale e protezione civile (dati dal warehouse del Censimento). Rispetto al 2005, (nel corso del biennio 2006-2007 l’Istat ha svolto la prima rilevazione sulle fondazioni attive in Italia al 31 dicembre 2005, Cfr. Il Giornale dell’Arte, N.279, settembre 2008) l’incremento delle FAC è del 144%, con una concentrazione di unità attive nel centro-nord.
I dati del nuovo censimento, mostrano la volontà e l’urgenza di mappare - tra l’altro - lo status quaestionis della cultura in Italia, ma la chiarezza è ancora lontana. Dati difficili da comprendere e comparare per la mancanza di perimetri, parametri e misuratori universali, o Europei quanto meno.
Evidenziano comunque una forte spinta alla partecipazione, alla volontà di supplire alla fragilità delle Istituzioni pubbliche messa a nudo dalla carenza dei fondi. Emerge un’ibridazione che varca i confini sinora troppo demarcati tra pubblico e privato, profit e non profit, per nuovi modelli di cooperazione che tengano conto di quegli indicatori equi e solidali di cui la cultura è catalizzatore. www.istat.it

* Alla chiusura del nostro Rapporto l’elaborazione dei dati era ancora in corso da parte di Istat. Oggi – a ricerca completata – sono presenti on line anche gli approfondimenti  sulle istituzioni non profit (risorse umane, entrate e uscite, servizi erogati, caratteristiche strutturali e tipologiche) e gli approfondimenti  sulle istituzioni pubbliche (caratteristiche demografiche e per tipologia di contratti del personale impiegato, amministrazione sostenibile, Ict, modalità e tipi di servizio erogati da ciascuna unità locale), oltreché le caratteristiche demografiche degli occupati nelle imprese.
Tutti i dati sono accessibili in diversi formati nel data warehouse del Censimento.

Grandi numeri, ma nel settore culturale diminuiscono gli addetti. Espressione di un settore che ha reagito alla crisi contraendosi. Grandi numeri che contano ancora poco in termini di politiche.
Quali prospettive? La parola agli esperti del Terzo Settore. In collaborazione con Giuseppe Frangi, direttore del magazine VITA (www.vita.it)

«La crescita del Terzo Settore è straordinaria e trasversale. Riguarda anche le zone geograficamente più fragili come il Sud e tutti i comparti» commenta l’economista civile Stefano Zamagni, il tutto «nell’assordante silenzio della politica, che non solo non fa nulla per dare un orientamento allo sviluppo del settore, ma sembra fare di tutto per impedirlo» Ne è esempio, uno dei tanti, la chiusura dell’Agenzia del Terzo settore, che era presieduta dallo stesso Zamagni. «Non c’è da sorprendersi, perché chi vive nel Terzo settore sa che dà fastidio. Alla Pubblica amministrazione che teme una perdita di potere (..) e alle imprese profit». Ma nonostante tutto resta ottimista «la pressione dei numeri lascia capire che qualcosa deve accadere, nella direzione di un nuovo modello di welfare society, (…) un passaggio alla sussidiarietà circolare (…) quella in cui i rappresentanti dei corpi intermedi non sono più chiamati a far da semplici operatori, ma partecipano anche ai processi progettuali e decisionali, insieme alla pubblica amministrazione e al privato profit»

Un censimento che ci annuncia il «non ancora». Da mesi ci confrontiamo continuamente con i dati di ciò che non è più o che presumibilmente non sarà più. Il sociologo Aldo Bonomi considera che «i dati Istat ci immettono in una prospettiva opposta: fanno emergere quello «non è ancora», ma che domani sarà. Un censimento che racconta una transizione, ciò che non è ancora stabilizzato, un attraversamento che stimola a fare ricerche ulteriori in profondità. Certamente nei dati assoluti racconta anche un consolidamento, confermando il peso sociale acquisito dal non profit, non solo più nella sua dimensione partecipativa, ma anche in quella economica e produttiva. Il non profit non è più semplicemente un generico esercito dei buoni, ma è un elemento importante della composizione sociale. (…) nell’ecosistema della contemporaneità (…). È una spinta che demolisce tutte le formalizzazioni precedenti (…) è frutto della voglia di autorganizzarsi. Dove porti questo fenomeno fa parte di quel ‘non ancora’».

Ridisegnare l’alleanza tra pubblico e privato. Gli anni della rilevazione Istat (tra il 2001 e il 2011) esprimono i cambiamenti nella definizione dei diversi ruoli all’interno dello stato sociale «con una sussidiarietà che sì è fatta avanti da sé, nonostante le istituzioni pubbliche» ci dice Alberto Fontana, presidente Fondazione Serena. Se il merito del Terzo settore è stato, a prescindere dalla reale cognizione dei processi, quello di aver risposto al cambiamento «Oggi abbiamo il dovere di ridisegnare e pianificare l’alleanza tra pubblico e privato, per dare risposte organizzate ed efficienti (…) Il non profit in partnership con la pubblica amministrazione, dovrebbe maggiormente rilanciare attività innovative sperimentali in un’ottica di co-progettazione, che saranno messe poi a filiera in caso di buon esito. (…) Oggi le organizzazioni non profit sono stimate come un bene comune della nostra società, lavoriamo quindi per stabilizzare e per ampliarne la solidità patrimoniale e la conseguente capacità di fare investimenti».

Ma come si può generare un bene più grande per il Paese, partendo dal patrimonio descritto dai numeri dell’Istat?Passando in rassegna i dati del censimento, Johnny Dotti, Presidente di Welfare Italia considera che «se si è sinceri, si deve ammettere che pur a fronte di un numero tanto significativo di organizzazioni e di persone, questo spaccato di realtà alla fine incide poco sulla realtà complessiva del Paese. I numeri presupporrebbero un mondo capace di dire cose forti e chiare su welfare, immigrazione, occupazione, giovani, cultura e invece non è così. (…) È un fenomeno che ricorda l’afasia delle piccole imprese, oppure la fatica del mondo cooperativo a contare di più». Come superare questo limite? «Immagino tre strade. La prima è la scommessa di lavorare ad alcune grandi progettualità comuni. Nel non profit è chiara la consapevolezza di operare per l’interesse generale, ma poi, nella sostanza delle scelte, viene sempre a galla il particolarismo (…) che impedisce di costruire percorsi comuni su grandi obiettivi. Non mancano temi forti su cui lavorare: l’educazione, la promozione sociale, i beni culturali, (…) Il non profit deve dimostrare di essere un soggetto adulto (…) deve tornare ad essere un’esperienza istituente, perché non può bastare gestire, magari anche bene, un patrimonio acquisito. La seconda porta ad essere un soggetto capace di convocare soggetti affini, consapevole di quanto grandi siano le sfide. Non per difendere propri interessi, ma per costruire pezzi di realtà buona, di cui è già nascente espressione. Si tratta di una dinamica di collaborazione interessante che in questi anni ha già prodotto esiti (…) La terza è l’impegno per mettere a segno qualche colpo di natura legislativa (…) ma c’è bisogno di un pensiero complessivo (…), pensieri che a volte il non profit dimostra di incarnare senza però trasformarli in visione diffusa e riducendosi a essere così un bellissimo angolino, nel grande orto della società. Non ci si può consolare del tanto di buono che è stato costruito. Bisogna saper provocare le scelte».

In questo scenario, quale ruolo per le Fondazioni di origine bancaria, grandi corazzate della filantropia del Paese? «Le fondazioni di origine bancaria dovrebbero avere funzioni importanti e fondamentali: fare ciò che altri non fanno. Dunque, non l'impossibile supplenza dello Stato nel welfare, ma la ricerca teorica per la riorganizzazione di alcuni aspetti strategici e la verifica empirica su casi esemplari affrontati con spirito di squadra fra le varie Fob», ci dice Sergio Ristuccia, che nel 1996 fece parte del Comitato di esperti chiamato a elaborare la proposta di legge delega che ha portato al conferimento della natura di fondazioni private agli enti proprietari delle azioni delle banche. «Possono essere le stesse Fob a dettare opportunità. Non è la richiesta di soccorso a crearle. Fare quel che gli altri non fanno, può anche significare aggregare risorse in una logica di impulso dell'anima filantropica dei territori. Ecco come dovrebbero essere intese le fondazioni; che riprendano, esse stesse a fondo, lo spirito delle fondazioni di comunità».

Gesti di profondo impegno civile. «C’è nel nostro Paese un divario tra la sensibilità- e persino una certa operosità- della società civile  e la totale sordità e autoreferenzialità della classe politica che dovrebbe rappresentarla, tranne alcune eccezioni come l’attuale Ministro MiBACT Massimo Bray. La classe politica non è consapevole per esempio, dell’esistenza di circa 30mila associazioni impegnate nella tutela dei beni culturali e di unamoltitudine  di volontari - 4 milioni nel Terzo settore- che con le proprie forze riesce a salvare segmenti importanti del nostro patrimonio artistico e paesaggistico» commentaSalvatore Settis a Valentina Ferrante per Senza Arte né parte di La Repubblica. «Aperti per Voi» è il progetto del Touring Club Italiano, nato nel 2005, che con un esercito di 1327 volontari, con 65mila ore donate,  tiene aperti 46 luoghi storici, con oltre 1,8 milioni di visitatori l’anno. Gesti di profondo impegno civile, ma soprattutto diFranco Iseppi, Presidente del Touring considera che «il volontariato non può essere l’unica soluzione. Vanno coinvolti i privati-il cui investimento dovrebbe trasformarsi in risorsa sociale- nel processo di progettazione e costruzione del senso di appartenenza alla comunità. Servono progetti innovativi e comuni , facendo convergere le istanze del mondo profit (aziende e privati) con quelle del mondo non profit (Res publica e Terzo settore)». Molte istituzioni culturali hanno sopperito alla carenza di risorse e personale con i volontari. Apprezzabile, se fa parte di una strategia di appropriazione della comunità, di partecipazione culturale attiva e non sottrae occupazione alla miriade di giovani precari della cultura. In attesa dell’evoluzione della proposta di  Enrico Letta di rendere il servizio civile obbligatorio, la Fondazione Musei Senesi ha avviato quattro progetti di servizio civile con “Museum Angels”, come  «investimento stabile che avvicini i luoghi della cultura alle nuove generazioni grazie a strumenti  pensati e realizzati da loro stessi, che rendano i musei più appetibili e comprensibili». Giuseppe Guzzetti, padre nobile delle Fondazioni di origine bancaria, Presidente di Acri, l’associazione che le rappresenta,  afferma che «le fondazioni e il volontariato insieme non possono surrogare le risorse pubbliche. Il sistema delle fondazioni non è un bancomat. Cerca di dare risposte innovative ai problemi sociali».