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Il diritto dell’errore e della sperimentazione: un’altra via dell’innovazione culturale

  • Pubblicato il: 15/03/2015 - 22:30
Autore/i: 
Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Qualche settimana fa si è tenuto un interessante festival a Milano: un’apertura collettiva di 50 studi d’artista « Festival Studi », organizzato dall’associazione FreeUnDo.
Una mappa con numerosi itinerari suddivisi per i diversi distretti cittadini, molti eventi e appuntamenti. L’apertura dei luoghi « segreti » della produzione artistica, dove la creatività si sperimenta e trova forma, senza intermediazione, se non quella del proprio gusto e curiosità e senza evidenti scopi commerciali.  Un dialogo diretto fra artista e fruitore come uno “studio visit”, dove l’esperienza della conoscenza delle opere d’arte non rimane prerogativa solo di curatori e addetti ai lavori, né di collezionisti scelti e talent scout, ma dove il pubblico ampio e variegato accorcia le distanze dall’arte contemporanea in una dimensione informale e dove l’esercizio della critica è personale e spontaneo. L’operazione ha avuto anche il grande valore di proporsi come artist-run-space collettivo, dove gli artisti hanno progettato insieme, condiviso, si sono vicendevolmente ospitati, spogliandosi delle dinamiche della competizione del mercato e della visibilità individuale. Una forma curiosa di disintermediazione del sistema dell’arte locale, dove artista e fruitore si sono scoperti, non solo su una piattaforma digitale, ma in un vero fenomeno di aggregazione.
 
Ma non è l’unica per questo settore. Si sta sviluppando anche la Milano World Art Maps, la mappa in progress del network degli artisti internazionali che vivono e lavorano a Milano che, attraverso una piattaforma digitale, possono segnalare il proprio atelier e caricare qualche informazione sulla  propria ricerca. Il progetto porta con sé anche una serie di azioni, fra le quali il Contest Creativo MILANO CITTÁ MONDO (chiuso il 28 febbraio), rivolto sia ad artisti internazionali under 35 che operano in Italia, invitati a inviare un progetto sul tema dell’interculturalità, per realizzare una mostra fra marzo e aprile alla Fabbrica del Vapore. Sono state raccolte 166 application
 
Segnali di Futuro è una mappatura delle buone pratiche emergenti e innovative in provincia di Milano, che è andata in mostra alla Triennale di Milano una settimana fa: in forma di work in progress accoglie le esperienze virtuose di cambiamento, suddivise in 5 categorie. #Live indaga i nuovi stili abitativi per risolvere i problemi di mancato accesso al mercato degli immobili; #Know analizza i processi di produzione culturale e di pensiero dove il rapporto fra fruitore e produttore si confondono; #Move riunisce le pratiche di mobilità alternative e sostenibili; #Make valorizza i nuovi stili di produzione agricola e artigianale; #Exchange esplora i nuovi metodi di scambio di beni e servizi e le economie alternative.
 
A Milano è approdata anche Ashoka, il più grande network di imprenditori sociali al mondo, attivo dagli anni ottanta, che apre la sua esperienza italiana. Nella conferenza di presentazione, tanti testimoni internazionali e il lancio di una nuova mappa piuttosto discussa per le sue maglie larghe, nelle quali sono state trattenute le imprese sociali più rilevanti. Fra casi di Innovazione Culturale vengono citate le esperienze dell’ Ex Fadda di San Vito dei Normanni, Clac a Palermo e  Associazione Rena.
 
Il bando Culturability di Fondazione Unipolis ha chiuso la raccolta delle candidature con 999 progetti.
 
La piattaforma Italian Stories racconta tante storie disseminate sui territori italiani di artigianato e sapienza creativa,  permettendo agli artigiani di costruire una propria pagina, ma anche di essere geo-localizzati per intercettare qualche turista, curioso, appassionato di passaggio in quelle zone. Una grande forma di racconto collettivo delle eccellenze e tipicità italiane, dei mestieri nascosti e inusuali, delle forme di resistenza alla crisi di valori e paradigmi, di esperienze di condivisione.
 
Mi sono chiesta, durante la serata milanese di Meet the Media Guru FOCUS, se Derrick De Kerchkove, il maggiore studioso dell’intelligenza collettiva, considerato l’erede di Marshall McLuhan, sapesse di questa serie di esperienze su suolo italico.  E ne ho citate solo alcune, perché c’è molto altro. Quando  ha restituito all’uditorio i risultati della ricerca del Creativity Group Center che classifica l’Italia al 34° posto nella lista di 39 nazioni esaminate per la presenza di professionisti del mondo della creatività e della cultura, mi sono chiesta quale sia il livello di “pescaggio”, come  i fenomeni vengono intercettati e raccolti nella rete dei sondaggi.
Quando ci ha invitati ad “attizzare il fuoco della cultura ripartendo dall’educazione, dal sistema dell’Istruzione, mi sono risuonate alcune riflessioni di Bertram Niessen, che dalle colonne di CheFare sottolinea: « Nelle università, nell’editoria, nella pubblica amministrazione, nei mondi dell’arte; in tutti i luoghi di elaborazione della cultura in questi anni abbiamo assistito ad una moltiplicazione dei contratti precari. […] Il mondo della cultura oggi è composto da una piccola massa di lavoratori ultra-precari che hanno spesso fatto lunghi percorsi di formazione post-laurea, che parlano diverse lingue e conoscono il dibattito internazionale, che hanno familiarità con gli strumenti digitali e con la trasformazione continua dei sistemi di produzione.  […] È di questo che parliamo quando parliamo di innovazione culturale. Di riuscire a non mortificare completamente le nuove generazioni, trovando delle formule (organizzative, economiche, sociali, politiche) che permettano alle straordinaria capacità di critica e di produzione simbolica che caratterizzano la cultura italiana di trovare il proprio posto nel mondo. »
Da qualche anno parlo con Italiani che hanno lasciato la patria per trovare nuovi paesi dove praticano professioni culturali e creative. “Cervelli in fuga”.  Ho intervistato quasi trenta professionisti del mondo della cultura entro i quarant’anni, usciti in altrettanti Paesi, per vedere cosa succede a varie latitudini. Il minimo comune denominatore delle loro esperienze è che ciascuno di loro, che viva in un Paese main stream (a prevalenza occidentale), o che viva in zone più complesse, come il Kenia o l’Egitto, ha autonomia progettuale, un ruolo di responsabilità, margine di innovazione, di sperimentazione, di fallimento e di crescita.
 
In Italia non è permesso diventare grandi.
 
De Kerchove suggeriva che è sufficiente fare una buona e strutturata formazione e puntare sui giovani «nativi digitali» che hanno dimestichezza con la tecnologia per uscire da questo impasse. Strada che di fatto è impedita. Quello che manca è la legittimazione, il supporto, l’investimento, l’accesso alla responsabilità e lo spazio dell’errore. Maurizio Busacca nel chiarire cosa siano gli innovatori sociali, sottolinea la necessità dell’errore nella pratica: «La volontà di cessare di subire passivamente e acriticamente i cambiamenti è un tratto caratteristico a molti innovatori, soprattutto quando rifuggono dal cliché di incardinare il racconto su improvvisi e catartici momenti di cambiamento e accettano la sfida di vivere nella confusione  e nell’ambiguità spontanea dei cambiamenti continui. Gli artigiani dell’innovazione non si limitano a godere dell’ambiguità e della confusione ma crescono attraverso errori, che sanno accogliere e riconoscere come parte integrante di una pratica».
 
Per Luca Dal Pozzolo non  basta un’idea: «Occorre  un milieu urbano che consenta di farlo, mezzi ed ecologie urbane che consentano ai professionisti di produrre cultura, comunicazione, immagine, innovazione. Alcune città lo stanno facendo, altre trovano più difficoltà su questa strada. […]Il patrimonio va interpretato, non esiste di per sé e non produce valore di per se». Il nostro Paese ha risorse e potenzialità da esprimere e liberare.
Il prossimo futuro non può limitarsi solo a mappature e piattaforme, o processi di produzione/fruizione a kilometro zero. Qualche moto aggregante di massa critica deve salire di livello e forzare le stanze blindate delle “sale dei bottoni”, per l’avanzamento di nuove istanze di cambiamento. Come raggiungere quell’obbiettivo è una strada tutta da costruire.
 

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