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I percorsi multipli di Romaeuropa, prima delle normative

  • Pubblicato il: 16/11/2015 - 22:40
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Francesca Sereno

Una conversazione con Fabrizio Grifasi, direttore generale e artistico della Fondazione Romaeuropa, offre interessanti riflessioni sui nuovi criteri di accesso al FUS

I parametri di riferimento introdotti dal decreto ministeriale sui nuovi criteri di accesso al FUS, in linea con le trasformazioni socio-culturali in atto, tendono a favorire quei progetti e processi a carattere innovativo e il ricambio generazionale, a valorizzare creatività e nuovi talenti, ad incentivare  multidisciplinarietà, riequilibrio territoriale dell’offerta e della domanda, internazionalizzazione. Sono tutti aspetti che Fondazione Romaeuropa ha adottato da tempo, molto prima dell'attuazione del decreto. La conversazione con Fabrizio Grifasi, direttore generale e artistico della fondazione, offre interessanti riflessioni su cosa significa per un'organizzazione che opera nell'ambito dello spettacolo dal vivo agire secondo i criteri del nuovo D.M.
 
Come è nata al vostro interno l'esigenza di assumere i paradigmi contemplati dai criteri per l'accesso al FUS nello svolgimento della attività?
Partiamo dal criterio della multidisciplinarietà. La missione di Romaeuropa è quella di raccontare il nostro tempo attraverso lo sguardo degli artisti. Ci è sembrato chiaro fin dall'inizio della nostra attività che una delle condizioni essenziali per fare ciò fosse tenere conto che il nostro è un «tempo multiplo» e che quindi necessita di una lettura complessa e articolata. L'unico modo coerente è quello di «attraversare le arti» e lavorare con artisti il cui percorso abbia caratteristiche di trasversalità.
Dunque c'è una ragione fondante nell'operare con un approccio multidisciplinare che è il rapporto con la contemporaneità. Su questo abbiamo basato la nostra progettualità in questi trent'anni spingendoci anche al di fuori di ciò che era l'ottica dei regolamenti in vigore.
A proposito dei progetti a caratteri innovativo, sei anni fa abbiamo avviato Digital Life, la rassegna dedicata alle connessioni fra le nuove tecnologie e i linguaggi artistici contemporanei, che si svolge negli spazi della Pelanda al Macro Testaccio. Per potere realizzare questo progetto abbiamo trovato risorse specifiche, senza aspettare il finanziamento pubblico diretto, perché pensavamo che fosse un esperienza importante anche in assenza di normative che ci permettessero di inserire questa attività all'interno del nostro percorso.
Anche riguardo all'internazionalizzazione, da anni riteniamo fondamentale la nostra presenza all'interno di reti europee che rappresenta non solo un'opportunità per trovare partner progettuali, ma anche per imparare dalle buone pratiche.
 
 
Dunque l'introduzione dei nuovi criteri per la fondazione non ha comportato una cambiamento di visione e di modelli operativi
L'introduzione dei nuovi criteri ha costituito per Romaeuropa l'opportunità di poter strutturare i propri progetti e valorizzare alcuni elementi che da sempre riteniamo importanti: multidisciplinarietà, appunto, ma anche presenza nelle reti, rapporto col pubblico, sostenibilità.
Il nuovo regolamento ha permesso di «formalizzare» un lavoro che è fondante non solo per noi, ma per tutte quelle organizzazioni dello spettacolo dal vivo, che esistono,  particolarmente sensibili all'innovazione e alla contemporaneità.
 
 
L'audience development rappresenta una priorità del Sottoprogramma Cultura di Europa Creativa, quali sono le vostre linee guida strategiche in merito?
Il rapporto col pubblico è stato fin dall'inizio una delle pietre miliari di Romaeuropa: abbiamo sempre pensato che un progetto dedicato alla creazione contemporanea dovesse essere ampiamente condiviso da diverse fasce di pubblico e non destinato soltanto agli addetti ai lavori. E' una questione legata  alla progettazione artistica: se i principi guida, l'aspetto fondante del lavoro sono contemporaneità e trasversalità ne deriva, gioco forza, il coinvolgimento di diverse tipologie di spettatori. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un cambiamento generazionale che ci ha indotto ad un rinnovamento costante di strategie per raggiungere nuove fasce di pubblico, senza perdere quelle già consolidate. Ciò comporta una profonda attenzione alle pratiche di formazione e coinvolgimento del pubblico.
La creazione contemporanea ha una sua specificità, ossia la  necessità di chiavi di accesso. Per poter fornire queste chiavi di accesso bisogna utilizzare i mezzi a disposizione che in trent'anni sono profondamente cambiati. Oggi utilizziamo i nuovi media e le opportunità offerte dalle piattaforme digitali:  Romaeuropa attualmente ha più di 20.000 followers su Facebook, oltre 6000 su Twitter, ha attivato canali YouTube, ha realizzato archivi digitali. Abbiamo una partnership consolidata con la RAI che si articola con una presenza sui diversi canali, da quelli tematici come RAI 5 a Radio 2, Radio 3 e Rainews. Riteniamo che il rapporto costante con la stampa permetta di fare conoscere e comprendere la nostra attività, così come il rapporto con le comunità specifiche. Da tempo abbiamo un legame stretto con le realtà cittadine della danza, un legame che non è solo «vendita», ma presentazione, inclusione, partecipazione, accompagnamento, in altre parole, un coinvolgimento che comincia molto prima dell'evento.
L'esperienza  del Palladium con la partnership con Romatre ci ha permesso di consolidare il rapporto con parte della città in misura più continuativa.
Siamo all'interno del network Theatron, una rete di organizzazioni europee dello spettacolo che mirano ad esplorare modi creativi e innovativi di coinvolgere nuove fasce di pubblico. Il progetto «engaging new audiences» è in sintonia con il nostro lavoro e con le linee dell'Unione Europea per tenere uniti progettazione artistica, necessità economiche e sviluppo del pubblico.
Il nostro pubblico è costituito per larga parte da persone tra i 30 e 45 anni, ma registriamo anche la presenza dei più giovani e delle persone di fascia di età più elevata che ci seguono da anni. Abbiamo un ottimo tasso di riempimento delle sale che in alcuni casi sfiora l'80%. Certamente ancora possiamo crescere.
 
 
Dopo avere parlato di «pubblico», inteso come spettatori, parliamo ora di «privati», intesi come soggetti erogatori di risorse
Abbiamo sempre avuto molto chiaro che il finanziamento pubblico non potesse essere l'unica forma di sostegno del contemporaneo. Le nostre entrate sono costituite per il 60% da fonti di finanziamento pubblico e per il 40% da autofinanziamento, in alcuni anni siamo riusciti anche a raggiungere la ripartizione 50%-50%. Per autofinanziamento si intende vendita da biglietteria e connessi, proventi europei, risorse private, coproduzioni, vendita di diritti.
La ragione della diversificazione delle fonti di entrata non è soltanto di natura economica. C'è soprattutto una riflessione di ordine di pensiero: è sano che un'organizzazione culturale si attrezzi per avere una quota sempre più ampia di autonomia economica. Un progetto artistico deve sapersi confrontare con un pubblico e quindi anche con un risultato di biglietteria, con dei partner privati, con dei progetti europei, con la capacità di riuscire ad attrarre risorse con le proprie produzione piuttosto che con i propri diritti.
In questi anni si è assistito ad una contrazione molto forte dei contributi degli enti locali. Romaeuropa ha mantenuto il finanziamento del FUS costante nel tempo, con un piccolo incremento anno per anno, ma non è mai stata destinataria di leggi specifiche o di finanziamenti «extra Fus».
Il rapporto con i privati è storicamente molto forte: il primo presidente di Romaeuropa, Giovanni Piearaccini, era il presidente di Assitalia, la prima grande azienda ad attuare una grande politica di sponsorizzazioni non solo nello sport (sponsorizzò la nazionale di calcio che vinse i mondiali) ma anche nell'arte.
Abbiamo collaborato con ENI e con Telecom, con la quale abbiamo costruito una parte del programma tra 2007 e 2012 che ci ha permesso il traghettamento verso il Digital Life; quest'anno con Acea abbiamo individuato il tema della luce col progetto «Fatti illuminare».
 
 
Perché i privati vi sostengono?
Prima di tutto non si sentono meri soggetti economici, ma partner con cui condividere obiettivi e azioni. Poi percepiscono che nei progetti di Romaeuropa c'è una coerenza con i loro valori e con quello che vogliono comunicare.
Detto ciò, non è molto semplice in Italia attrarre le aziende su progetti di creazione contemporanea perché c'è una forte predominanza del patrimonio storico e archeologico, che assorbe la maggior parte delle risorse pubbliche e private. Senza dubbio è importante tutelare e valorizzare i nostri beni culturali, ma ciò non deve fare dimenticare la contemporaneità e l'innovazione. Occorre un cambio di mentalità da parte delle istituzioni culturali, delle aziende, del pubblico e dei media se vogliamo che il nostro Paese abbia un futuro.
Il passato è importante e va salvaguardato, ma bisogna porre attenzione anche a quei soggetti che hanno avviato un processo di rinnovamento creativo nel tempo presente. I processi di innovazione non contemplano solo cambiamenti tecnologici, la creazione artistica contemporanea è una parte fondamentale di ciò che noi chiamiamo «innovazione».
 
 
In conclusione, cosa potrebbe fare il Mibact per favorire l'innovazione artistica?
Per dare impulso all'innovazione, dovrebbe innanzitutto istituire un fondo per la creazione contemporanea e prevedere all'interno del FUS  un sostegno maggiore alla multidisciplinarietà. In secondo luogo estendere i meccanismi di sgravio fiscale a chi sostiene i progetti di spettacolo dal vivo e a chi è capace di creare dei sistemi di servizi avanzati per l'innovazione del Paese.
Insomma, la creatività contemporanea genera un effetto moltiplicatore su tutti i fronti: dalla multidisciplinarietà alla diversificazione del pubblico, dalla differenziazione dei partner a quella delle risorse. Ma necessita anche maggiore attenzione nelle politiche culturali pubbliche perché, come afferma Fabrizio Grifasi, «non c'è futuro per un Paese che non investe in innovazione».
 
 
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