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GENNAIO. QUALI SORPRESE CI RISERVA IL NUOVO ANNO?

  • Pubblicato il: 15/01/2018 - 00:00
Autore/i: 
Rubrica: 
SCENARI DI INVESTIMENTO
Articolo a cura di: 
Classis Capital

Per la  prima volta da molto tempo, il 2018 si apre con un sostanziale ottimismo per l’economia globale e per l’Europa. Il clima positivo non è rovinato nemmeno dalla “politica”: in calendario non ci sono eventi di rilievo, se non a fine anno le elezioni di mid-term negli USA. Se lo stallo in Germania e la situazione in Catalogna non hanno smosso i mercati, è lecito ipotizzare che l’ingovernabilità italiana non avrà impatti significativi. L’attenzione dei mercati è quindi tutta sulla normalizzazione delle politiche monetarie che non sarà un’operazione facile.
Il macroeconomista di Classis Marcello Esposito illustra il quadro e ne spiega le cause.
 
 
La crescita globale
La BCE in dicembre è stata solo l’ultima delle grandi istituzioni sovranazionali a confermare che la crescita economica è più forte del previsto ed estesa a tutte le regioni del mondo con una continua revisione al rialzo della crescita a livello mondiale e per singolo paese, con qualche eccezione relativa a paesi emergenti, come India o Brasile. Nel caso indiano la crescita rimane a livelli cinesi, mentre nel caso del Brasile è una limatura minima rispetto ad un dato di netta uscita dalla recessione gravissima che ancora nel 2016 faceva registrare al PIL un -3,6%. Il 2017 e il 2018, fatto salvo per qualche disastro sul fronte geopolitico, si potrebbero caratterizzare per un tasso di crescita del commercio e dell’economia mondiale molto vicino a quelli che si registrava prima della crisi Lehman, quando il livello del 4% era considerato lo spartiacque tra crescita ed espansione.
Rispetto al recente passato, la novità maggiore viene però dall’Europa. I dati storici e le previsioni della BCE hanno certificato che il 2017 e ancora di più  il 2018 dovrebbero registrare un’ottima performance, superiore anche a quella degli USA. E questo non solo nella solita Germania ma anche nei paesi periferici, Italia compresa.
 
La  conseguente politica monetaria da adottare per arginare le bolle speculative
In un contesto di crescita più che robusta, una politica monetaria ultra-espansiva come quella condotta dalla BCE non ha più molto senso. Solo uno scenario deflazionistico potrebbe controbilanciare il rischio di alimentare una colossale bolla speculativa sugli asset finanziari. Ma se è vero che l’inflazione non sta scappando di mano, è altrettanto vero che la possibilità di osservare una riduzione dell’indice dei prezzi è diventata alquanto remota. Tra l’altro, grazie al diffondersi della crescita economica e al rispetto dei tagli OPEC, il prezzo dell’energia non solo si è stabilizzato, ma sta risalendo verso quota 60 dollari al barile.
In un contesto di aumento sia del tasso di crescita reale sia del tasso di inflazione mantenere invariata la politica monetaria vuol dire renderla più espansiva. Se si volesse accomodare il ciclo economico, i tassi dovrebbero salire. E invece la BCE non solo tiene i tassi a breve termine sotto zero, ma con il QE controlla anche la parte lunga della curva impedendole di riflettere le migliorate prospettive economiche.
L’economia sta crescendo ad un ritmo superiore a quello americano e l’inflazione è vicina al cosiddetto target del 2%. In queste condizioni, mantenere artificialmente bassa tutta la curva dei rendimenti equivale ad aumentare più che proporzionalmente lo stimolo monetario, non a stabilizzarlo. Infatti, la liquidità immessa dalla BCE si accumula nei mercati finanziari prima di riversarsi nei mercati delle merci. Questo genera bolle speculative. In special modo nei mercati dei titoli di Stato e delle obbligazioni corporate, ma anche in mercati contigui, come quello delle criptovalute o delle commodities.
La bolla speculativa in sé non provoca danni, se non incentivando una errata allocazione delle risorse che nel tempo si tradurrà in una minore produttività del sistema economico. Molti osservatori si preoccupano del fatto che una mancata normalizzazione della politica monetaria in Europa possa trovare sguarnite le difese della BCE nell’evenienza di una nuova recessione. Il ragionamento si basa sulla convinzione che convenga approfittare della situazione favorevole per ricreare uno spazio di intervento per stimolare l’economia, qualora un imprevisto lo rendesse necessario. I veri danni la bolla speculativa li provoca quando scoppia. Soprattutto, se è alimentata proprio dalla banca centrale e il suo scoppio non può essere controbilanciato dall’azione espansiva della banca centrale stessa perché l’inflazione dagli asset finanziari si è nel frattempo propagata alle merci.
Al  momento questo pericolo sembra non esistere. Ma bisognerebbe riflettere su due fenomeni. Il primo è quello del prezzo del petrolio che continua inesorabilmente a crescere. 
Il secondo problema è che le dinamiche evolutive delle grandi variabili macroeconomiche sono raramente continue. Le aspettative di inflazione non si sono per ora disancorate. Ma quando lo faranno, non si muoveranno di qualche decimo di punto percentuale. Correre questo rischio in un contesto macro come l’attuale appare quindi poco accettabile.
Se la BCE adottasse nelle proprie strategie di politica monetaria i principi di risk management che impone alle banche commerciali dovrebbe quindi porsi la seguente domanda. Se la velocità di circolazione della moneta tornasse ai livelli pre-crisi, quali possibilità ci sono di ridurre rapidamente la dimensione del proprio bilancio per controllare le dinamiche inflattive e/o speculative?
 La risposta è facile da intuire. Sappiamo che l’impatto sui grandi debitori potrebbe essere devastante, soprattutto se il sistema bancario non fosse più in grado di assorbire per ragioni regolamentari l’eccesso di offerta di titoli pubblici in asta pertanto è plausibile un’interruzione del QE nel primo semestre del 2018. I tassi sui Bund a 10 anni dovrebbero posizionarsi verso un livello pari all’1% entro fine anno. La parte a brevissimo dovrebbe invece rimanere compressa dagli aggiustamenti di portafoglio volti a proteggere dal rischio duration. La curva pertanto si irripidirà e continuerà a farlo fino a quando la BCE non abbandonerà la politica dei tassi negativi.
 
I titoli di Stato Italiani
Sullo spread dei titoli di Stato italiani si teme un aumento, ma non per questioni politiche o per un arretramento del progetto europeista. E’ una questione tecnica legata all’evoluzione della regolamentazione macroprudenziale. Dall’inizio del 2018 le perdite latenti sui titoli di Stato detenuti dalle banche e dalle compagnie assicurative non potranno più essere “congelate” ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza. Questa misura fu ideata durante la crisi dello spread per evitare che le banche italiane fossero costrette a svendere i titoli italiani, alimentando la spirale speculativa. Ed è probabilmente ad essa che dobbiamo il fatto che l’Italia non abbia fatto default in quegli anni. Successivamente, è stata utilizzata dalle banche italiane per riempire il portafoglio di BTP, lucrando il differenziale d’interesse rispetto alle condizioni di rifinanziamento offerte dalla BCE. Anche in questo caso si è rivelata fondamentale per ridurre lo spread dei nostri titoli di Stato. Il risultato finale è però che le banche e le assicurazioni italiani hanno oggi la maggiore concentrazione di portafoglio in titoli di Stato domestici dell’intera eurozona. E questo è considerato dai “falchi” della BCE come un fattore di rischio inaccettabile che rende impossibile la prosecuzione lungo il cammino della banking union.
L’avere rimosso questo trattamento privilegiato dei titoli di Stato rappresenta un primo passo verso le richieste dei paesi nordeuropei, ma è comunque un rischio per il debito pubblico italiano se i tassi dovessero risalire. Le banche italiane dovrebbero infatti valutare se i BTP sono in grado di affrontare la fase di rialzo meglio dei titoli di Stato di altri paesi, non potendo più contare sulla possibilità di azzerarne per entrambi l’impatto delle perdite latenti sul capitale regolamentare.
Visto che si parte da posizioni di assoluto “sovrappeso” dei BTP, è plausibile ritenere che si assisterà ad un naturale riaggiustamento nei portafogli di proprietà di banche e assicurazioni. Con le banche che vendono e la BCE che con la fine del QE non compra più, è plausibile ritenere che questo determinerà un aumento dello spread.
 
Il rafforzamento dell’Euro
Dal mercato valutario con la forza dell’euro nei confronti del dollaro, arrivano segnali che la BCE ha intenzione di intervenire. Il differenziale a breve tra euro e dollaro ha raggiunto quasi il 2%, a favore ovviamente di quest’ultimo. La FED continuerà ad alzare i tassi nel corso del 2018, di 0,75%-1%, e ridurrà il proprio bilancio. La politica fiscale americana, dopo la manovra di riduzione delle tasse di Donald Trump, apre le porte ad un’ulteriore espansione economica e quindi ad una accelerazione nella normalizzazione dei tassi FED. Il regime di favore per il rimpatrio dei capitali, dovrebbe fornire una spinta formidabile al dollaro e farlo veleggiare verso la parità con l’euro e invece è a 1,20 contro euro, dopo aver tentato di raggiungere la parità all’indomani dell’elezione di Trump.
La politica monetaria europea, sia per quanto riguarda i tassi sia per quanto riguarda il cambio è squilibrata ed eccessivamente espansiva. Se vediamo la bilancia dei pagamenti, la Germania ha accumulato un surplus commerciale superiore a quello della Cina. Anche l’Italia registra crescite dell’export a doppia cifra in moltissimi settori. Un cambio a 1,3-1,4 appare più in linea con gli equilibri macroeconomici internazionali di quanto non lo sia un cambio a 1.
 
Le scelte di investimento
In un contesto di crescita economica e normalizzazione delle politiche monetarie, nelle scelte di portafoglio il consiglio è:

  • Estrema attenzione in area Euro alle obbligazioni governative e investment grade, drogate da anni di QE dove i tassi schiacciati sullo zero non remunerano invece alcun rischio, nemmeno quello di duration.
  • Massimo interesse sulla componente obbligazionaria dei paesi emergenti e degli high-yield, grazie appunto alla forza della ripresa economica mondiale che migliora le prospettive e il merito creditizio degli emittenti più rischiosi
  • Investimento preferibile come asset class tutto il mondo azionario senza distinzioni particolari di area valutaria
  • Copertura sul dollaro considerata la forza dell’euro sul segmento obbligazionario lasciando l’esposizione alla valuta solo sulle azioni

 
In uno scenario cosi definito permangono comunque alcune incognite di un quadro geopolitico reso più instabile dalla Presidenza Trump dove le tensioni con la Corea del Nord o la rivolta in corso in Iran ne sono una testimonianza, ma come è stato più volte sottolineato questo 2018 parte all’insegna della serenità.
 
Marcello Esposito è Macro Strategist in Classis Capital Sim Spa. Editorialista economico e finanziario per La Repubblica è Professore Incaricato di Mercati Finanziari internazionali all’ Università Cattaneo di Castellanza nonché CEO di Quantum Financial Analytics, società da lui fondata. Dal 1990 al 2000 è stato economista presso l'Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo), dove è stato responsabile della Financial Markets Research. Successivamente, ha svolto diversi incarichi nelle principali SGR italiane (Sanpaolo AM e Pioneer Investments), in Banca Patrimoni Sella e in UnipolSAI. E’ laureato in Università Bocconi (DES) e ha conseguito il MSc/MPhil in Economics presso la London School of Economics.
 
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