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Fondazioni, se l’Unione Europea è disinformata

  • Pubblicato il: 16/05/2015 - 09:52
Autore/i: 
Rubrica: 
EDITORIALI
Articolo a cura di: 
Giuliano Segre

L’Europa, le Fondazioni e quel fastidioso rumore di fondo che non fa comprendere la vera natura degli interventi per la società e per lo sviluppo che le fondazioni compiono
 
 
Qualche giorno fa l’Unione Europea ha diffuso il testo della «Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma dell’Italia 2015», nel quale indica i settori che a giudizio della Commissione necessitano ancora di interventi importanti. Il documenti si conclude con la raccomandazione di adottare nei prossimi diciotto mesi almeno sei importanti provvedimenti. Alcuni riguardano scelte istituzionali su politica finanziaria e soprattutto economica: equilibrio di bilancio, modernizzazione della PA e della giustizia civile, caratterizzazione del mercato del lavoro; crescita della concorrenza in tutti i settori inclusi quelli pubblici. Due interventi sono invece caratterizzati proprio da «istruzioni» specifiche: piano strategico sulla portualità e interventi di rafforzamento del capitale bancario a ridurre il peso dei crediti deteriorati. Su quest’ultimo punto il documento è chiaro: va rivisto «il ruolo delle fondazioni (e delle banche di credito cooperativo) definito mediante accordi di autoregolamentazione di natura non vincolante». Una indicazione che dell’incredibile, soprattutto se viene da un governo sovranazionale che fa della tutela della concorrenza la propria matrice ideale! Qui però vi è una vera e propria illegittimità: per ridurre i crediti deteriorati vi è necessità di ristrutturazione del capitale bancario e perciò bisogna che in esso il ruolo delle fondazioni venga riformato, magari per legge: ma non dovevano uscirne? Insomma, a livello europeo le Fondazioni creano proprio un fastidioso rumore di fondo e divengono parametro di frequenti analisi e interventi. Il lavoro avviato dalle Fondazioni, reso evidente dalla firma di un protocollo con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non sembra sufficiente all’opinione politica e non è entrato nelle opportunità create da questo governo. Forse addirittura il Protocollo non è giunto fino a Bruxelles: bisognerà quindi che parli la realizzazione dei provvedimenti annunciati e su quella strada, semmai, vanno accettate quella differenziazioni nel gruppo che mostrino a controllori disinformati la vera natura degli interventi per la società e per lo sviluppo che compiono in continuazione le Fondazioni più dinamiche.
 
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