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Follow the content: politiche, innovazione sociale e connettività

  • Pubblicato il: 01/09/2016 - 11:13
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Madel Crasta

SPECIALE MECENATE '90. Il Forum sull’Innovazione delle politiche culturali lanciato da Mecenate ’90 stimola riflessioni. Riceviamo e condividiamo il pensiero di Madel Crasta,  docente e coordinatrice  del modulo Sistema cultura  nel Master  in Economia della Cultura:politiche, governo e gestione. Università di Roma Tor Vergata “in Italia la prima politica innovativa è aprire con decisione canali di comunicazione e programmazione congiunta a ogni livello, snellire e togliere rigidità, realizzare reti e sistemi trasversali (…) spostare l’attenzione e gli investimenti, politici prima ancora che economici, sui contenuti, individuando per chi, per cosa, come spendere e che priorità condividere nel mobilitare l’intero sistema dell’offerta culturale, di saperi e ruoli connessi (…) con istituzioni storiche che intreccino un rapporto organico, fra loro e con la molteplicità di attori dell’offerta culturale, lavorando su ciò che le unisce: un’incommensurabile disponibilità di contenuti delle loro raccolte e del loro patrimonio conoscitivo”, pensando alle parole “valorizzazione” e “fruizione” come “l’insieme di condizioni che rendono dinamico l’incontro fra le persone, gli oggetti e i significati, oltre gli specialismi

Follow the content s’ispira al “follow the money” del film Tutti gli uomini del presidente). Significa seguire la traccia dei contenuti, favorirne la circolazione capillare, moltiplicare le occasioni e i luoghi d’incontro, facilitare quelle connessioni che nel Millennio rendono vitale il clima dell’intero paese. Mentre la connettività diventa l’impronta culturale ed economica che definisce sempre più il mondo in cui viviamo, la nostra pervicace verticalità (poco connessa) continua a essere il primo fattore di dispersione di energie creative. Idee e conoscenze davvero soffrono nell’essere “recintate” in settori e comparti, a loro volta ripartiti in altri fino all’ultima unità organizzativa. Le specificità/diversità invece che forze trainanti diventano inesorabilmente distanze, fortini assediati. Tutti ne sembriamo consapevoli, tuttavia neanche la diffusa formazione sulla gestione fatta in questi anni nel pubblico come nel privato, è riuscita a incidere sostanzialmente sui modelli organizzativi e decisionali.
Se l’innovazione è sempre un valore relativo al contesto, in Italia la prima politica innovativa è aprire con decisione canali di comunicazione e programmazione congiunta a ogni livello, snellire e togliere rigidità, realizzare reti e sistemi trasversali sul modello che ispira i distretti culturali, le città della cultura, le smart cities, il cui valore strategico sta, a mio parere, nel diffondere a sistema pratiche collaborative e mostrarne i risultati concreti. Oggi più che mai o il flusso d’idee e di conoscenze diventa la linfa vitale che scorre e anima il tessuto sociale, o nell’arco di una generazione si potranno misurare gli effetti negativi distribuiti appunto nel tessuto sociale, come del resto sta già accadendo.

Sul piano del fattibile. Meglio chiarire subito che non intendo sminuire le competenze né smontare l’intera organizzazione ordinaria, già messa a dura prova dall’introduzione massiccia dei progetti “straordinari” all’italiana. Mi guardo bene, inoltre, dall’auspicare altre riforme, dell’assetto istituzionale, né penso che si possano aspettare gli esiti di processi educativi, necessariamente lunghi che hanno comunque bisogno di visioni. Meno che mai mi aspetto di questi tempi un cambiamento decisivo nell’attribuzione delle risorse, anche se non esito a valutare positivamente l’inversione in atto da parte dell’attuale governo. Credo anzi pericoloso annegare qualsiasi conquista (seppure insufficiente) nel mare delle opposizioni permanenti.
Quando parlo di spostare l’attenzione e gli investimenti, politici prima ancora che economici, sui contenuti, penso al bisogno di individuare per chi, per cosa, come spendere e che priorità condividere nel mobilitare l’intero sistema dell’offerta culturale, di saperi e ruoli connessi. Penso ai caratteri della società, al modo di apprendere dei cittadini in questo secolo, ai loro bisogni cognitivi, e agli strumenti essenziali per comprendere la propria epoca, invece che venirne sopraffatti, come individui e come paese. Il cambiamento non è per niente di superfice, né prevalentemente tecnologico, è appunto culturale nel senso più ampio del termine. Occorre dunque partire da alcune scelte essenziali senza le quali riforme e processi andranno “spontaneamente” a ripetere logiche e soluzioni progressivamente fuori fase. Queste scelte sono la sfida in cui le istituzioni della cultura sono già immerse, ed è forse l’aspetto più avvincente di questa matassa indistricabile, perché su questo si gioca il loro spazio nella società.
È concretamente fattibile che, come da tempo si auspica, le istituzioni storiche intreccino un rapporto organico, fra loro e con la molteplicità di attori dell’offerta culturale, a patto che si lavori su ciò che le unisce: un’incommensurabile disponibilità di contenuti delle loro raccolte e del loro patrimonio conoscitivo; la rete di relazioni semantiche potenzialmente ricavabili; l’emersione delle trame narrative che attraversano la fisicità dei luoghi e delle tipologie di oggetti; la progettazione di prodotti/servizi per il territorio, le comunità, il turismo di conoscenza. Questo si già realizza per es. negli ambienti digitali (non solo banche dati) dedicati al digital heritage e alla memoria in rete.

Innovazione sociale ed eredità culturale. Il contesto è quello dell’innovazione sociale e delle relazioni, in larga parte imprevedibili, dei singoli individui che compongono la folla (crowd); Individui e non più masse, ma individui connessi al di là del territorio in cui abitano, sulla base di interessi, valori, scopi, insieme a emozioni e sentimenti. La regola della pertinenza (relevance) è spinta fortemente dalla possibilità che, come mai prima, i contenuti entrino in relazione fra loro e con noi, ci raggiungano e interagiscano con il nostro ambiente cognitivo. Una situazione di continuo movimento che genera prodotti, attività, servizi, nuovi modelli organizzativi e occupazione. È con questo scenario che l’offerta culturale interagisce, se l’ interpreta, e ne fa parte con empatia, perché comprendere (prendere insieme) è la condizione, direi statutaria, di chi fa cultura e non equivale all’’accettazione acritica del nuovo. Sappiamo che il rapporto con l’eredità culturale è sempre stratificato nei processi di produzione culturale, anche quando si tratti di street art, installazioni digitali, graphic novel o forme avanzate di contaminazione nello spettacolo. Ecco perché nelle politiche innovative il rapporto fra la collettività e i significati del passato, è il nucleo portante di quel “sovrabbondante” patrimonio che per vivere nel presente ha bisogno dei contemporanei, così come sono e non come talvolta li vorremmo.

Un incontro fra partner. Non più solo spettatrice o pubblico, la base sociale in grado di godere dell’offerta culturale, è fatta da individui che la rete ha “educato“ all’interazione. Una base sfuggente e mutevole, così come sfuggente è la definizione di persona colta o in possesso di strumenti di pensiero critico, rispetto ai canoni definitori del secondo Novecento. Ed anche il prezioso (per noi!) ceto medio, una volta allargato e riflessivo, dovrà essere reinterpretato nelle sue domande e nella sua capacità di muoversi da attore nello slittamento continuo dei punti di riferimento. Come dicevo l’accesso dinamico ai contenuti, gli interessi, il riconoscersi nelle questioni e nelle esperienze, le appartenenze, le risposte ai problemi della dimensione metropolitana insieme alle ansie sullo scenario globale, creano le aspettative che, a certe condizioni, sostengono la partecipazione. Usiamo per intenderci le parole “valorizzazione” e “fruizione” dei beni culturali, ma pensiamole come l’insieme di condizioni che rendono dinamico l’incontro fra le persone, gli oggetti e i significati, oltre gli specialismi e il primato degli standard. Questa visione vede i luoghi e le occasioni d’incontro diffondersi un modo capillare e senza troppi costi organizzativi, utilizzando al meglio quello che è già diffuso sul territorio e proiettato verso l’esterno, come la grande infrastruttura delle biblioteche, dei musei e degli archivi storici, nelle loro diverse funzioni. Servirebbero perfino le sagre, onnipresenti nei comuni italiani (ne parla in questa sede Antonella Agnoli), se solo l’intrattenimento offrisse (e di rado lo fa) anche esperienze, curiosità e occasioni di apprendimento: i prodotti tipici sono tali perché hanno una storia. È un esempio di situazioni informali in cui l’incontro con passato e l’apprendimento s’inseriscono senza cesure nel vissuto quotidiano, si può fare anche rispettando criteri di qualità (ma questa in Italia è una vecchia storia!).

Gli specialisti. Politica innovativa è coinvolgere esperti e studiosi, curatori delle collezioni materiali e digitali, autori e redattori, nella conquista di spazi per la cultura. Sviluppare e diffondere le conoscenze è lo scopo comune scritto nei codici deontologici e negli statuti delle professioni del patrimonio e delle istituzioni, ma va riletto alla luce delle dei modi e luoghi della trasmissione delle conoscenze. Agli specialisti che mediano il rapporto con la collettività, si chiede l’acquisizione di maggiori capacità relazionali, metodi di progettazione e di comunicazione culturale verso la collettività, conoscenza del territorio e della sua articolazione. Proprio in quest’ottica anche il turismo, da cui prendiamo sempre le distanze, ci riguarda invece direttamente: noi tutti abbiamo il diritto e il piacere di cercare l’altrove. Garantire al tempo stesso l’ imprescindibile tutela dei nostri luoghi è impresa difficile, ma certo senza l’apporto congiunto e convinto dei professionisti del patrimonio e dell’interesse collettivo, non abbiamo dubbi su quali interessi prevarranno.

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Madel Crasta è Esperta di istituzioni e sistemi culturali, è  docente e coordinatrice  del modulo Sistema cultura  nel Master  in Economia della Cultura:politiche, governo e gestione. Università di Roma Tor Vergata; membro del Comitato di direzione della Rivista Economia della Cultura. Autrice di numerose pubblicazioni.