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Fiscalità non è una brutta parola, soprattutto se di vantaggio per la cultura e lo sviluppo

  • Pubblicato il: 16/05/2017 - 15:15
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Franco Milella

Il 4 maggio scorso, tra i numerosi eventi che hanno costellato l’appuntamento di Artlab tra Taranto e Matera, si è svolto un incontro di approfondimento tra esperti, nazionali ed internazionali, sulle “forme di fiscalità territoriale di vantaggio per le imprese culturali e creative” partendo dal caso delle cd. “Zone economiche Speciali”, in sigla ZES. “Perché non sperimentare Zone franche urbane culturali ?”
 


 
«Volare mi fa paura» stridette Fortunata alzandosi.
«Quando succederà, io sarò accanto a te»
miagolò Zorba leccandole la testa.”
 Luis Sepulveda Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare
 
 
Cosa sono le ZES?
 
In poche parole, sono politiche pubbliche di vantaggio fiscale (ma anche di semplificazione amministrativa, abbattimento dei dazi doganali, incentivazione per servizi ed infrastrutture), di durata variabile e in genere limitata (3-5 anni, salvo proroghe…),  per le Imprese che vengono così’ attratte ad investire in aree “fragili”, spesso concentrate su aree sub regionali e talvolta a dimensione sub provinciale o addirittura urbane, accelerandone così il percorso di sviluppo.
 
Molti Paesi dell’Unione Europea hanno adottato politiche di attrazione di investimenti di questo tipo, che costituiscono il reciproco degli “incentivi” finanziari agli investimenti delle imprese per lo sviluppo, mutuando l’esperienza consolidata delle zone franche urbane francesi. Piuttosto che stanziare fondi diretti, gli Stati intervengono con un sacrificio fiscale conseguente ai minori introiti da tassazioni.
Si pensi all’Irlanda o alla Polonia, dove sono attive  da tempo numerose ZES. Numerosi sono anche gli studi[1] sugli effetti di crescita economica delle imprese locali, di intensità dei fenomeni di attrazione d’investimenti esterni, internazionali e nazionali, di crescita dell’occupazione nei Paesi che hanno adottato le ZES come politica a sostegno dello sviluppo territoriale.
 
Dopo l’esperienza, di qualche anno fa, delle cd. “Zone Franche Urbane”, individuate attraverso caratterizzazioni legate al degrado sociale di aree urbane periferiche e più vocate al sostegno di processi di rigenerazione delle periferie disagiate del sud Italia, naufragate nel bizantinismo logico-sintattico delle nostre politiche pubbliche, il governo nazionale guarda ora con attenzione alle ZES.
Il Governo ritiene che  “la presenza di zone economiche speciali anche in Italia aumenterebbe l’attrattività del nostro Paese nei confronti degli investitori internazionali, soprattutto delle grandi multinazionali attualmente per lo più assenti……… condivide la strategicità di creare le ZES nelle aree logistiche ed industriali in connessione funzionale con i porti italiani di rilevanza internazionale[2]
 
Nel 2016 è stato avviato un Tavolo Interistituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per avviare la sistematizzazione dei quadri generali di riferimento e definire una legge Quadro nazionale sulle ZES, senza della quale l ‘Unione Europea non consentirebbe l’utilizzo di tali dispositivi, ed esaminare le proposte di legge nazionali e regionali, queste ultime finalizzate alla individuazione di ZES sui propri territori (ad oggi ci sono varie ipotesi. ma quelle più avanzate risultano essere la Campania per Bagnoli e la Calabria per Gioia Tauro). In verità la caratterizzazione della presenza di hub portuali è una declinazione significativa delle ZES ma non esclusiva nell’esperienza internazionale.
 
A questo punto molti tra voi che leggono  si chiedono “ capisco i contenuti ibridi e di frontiera della piattaforma Artlab, il Festival delle politiche cultyrali,  che c’entra  con tutto questo?”.
 
Rispondo subito, segnalando, anche, che il giorno dopo l’evento sulla “fiscalità di vantaggio”, Artlab ha organizzato  un incontro intitolato “ esperienze internazionali di rigenerazione urbana a base culturale”.
Più volte ho, e fortunatamente non da solo in questa prestigiosa rivista, affermato che la Cultura è fattore fondante di sviluppo territoriale. Sempre. Al contrario, il cambiamento indotto dalla crescita economica tout court non sempre è di natura  esclusivamente positiva e spesso ha infragilito le coesioni sociali delle comunità che ne hanno “beneficiato”, ha scardinato il potenziale equilibrio delle risorse endogene dei territorio, ha dissipato Ambiente  e Identità Culturali, ha cancellato speranze e visini di futuro condivise delle popolazioni.
Come è accaduto a Taranto con le vicende dell’ILVA.
Mi si dirà : “ragazzo, è la globalizzazione! ”. No, è solo cecità. E, talvolta, solo mettersi la mano davanti agli occhi.
Non ho nulla contro l’attrazione degli investimenti e non ho preclusioni ideologiche contro le multinazionali (anche se su queste qualcosa avrei da dire..).
Dico solo con semplicità: perché la legge Quadro Nazionale in preparazione sulle ZES italiane parla di imprese di tutti i  settori economici e non parla  “anche” di economia della Cultura? Perché non sperimentare Zone franche urbane culturali ? Perché non facilitare gli effetti di spillover culturali nelle produzioni artigianali di qualità e di design, con leve fiscali su base territoriale? Perché non derogare, almeno nelle ZES, al principio di “fruttuosità del patrimonio pubblico”, sancito da una legge del 1993, intoccabile per il Ministero dell’Economia e Finanza e che, certo, non facilita il riuso di immobili pubblici in stato di abbandono per finalità culturali e sociali ma solo la “ridondanza”, per non dir di peggio,  dei bilanci degli enti locali con il fenomeno della “cartolarizzazione” dei beni pubblici? Perché non dare vantaggi fiscali, sugli investimenti, sul reddito d’impresa, sul costo del lavoro, alle imprese culturali nelle ZES?
 
Vi è una ricca esperienza e storia internazionale di rigenerazione urbana e territoriale Culture Driven. E molte tra esse hanno storie legate alla grande portualità come Liverpool, Marsiglia, Helsinki. Sono  storie che raccontano, prima di tutto, la costruzione di nuove visioni di futuro, la rigenerazione dell’identità sociale delle comunità, l’attrazione di fenomeni, investimenti e produzioni culturali ed il consolidamento e l’innovazione della produzione culturale degli attori locali.
 
Ecco perché ad Artlab. si è parlato di ZES.
 
Perché bisogna stare sulle cose e sui processi della Cultura, talvolta prima che accadano, perché generino liberazione di risorse ed opportunità e non macerie.
 
 
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[1] Tra tutti, per la Polonia NBP Working Paper No. 208 “The effects of special economic zones on employment and investment:
spatial panel modelling perspective”; e ancora Aitken, B. and HARRISON, A. (1999)” Do Domestic Firms Benefit From Direct Foreign Investment? Evidence From Venezuela”, American Economic Review 89, 605-618; Balcerowicz L., Rzońca A., Kalina A L., Łaszek A. (2013) “Economic Growth in the European Union”, Lisbon Council, Brussels; Devereux, M., Griffith, R. and Simpson, H. (2007)” Firm Location Decisions, Regional Grants and Agglomeration Externalities”, Journal of Public Economics 91, 413-435; Eedge, R.M. and Rudd, J.B. (2010) “General-Equilibrium Effects of Investment Tax Incenvites”, CAMA Working Paper 3/2010, Centre for Applied Macroeconomic Analysis, Crawford School of Public Policy; Givord, P., Quantin, S. and Trevien, C. (2012) “A Long-term Evaluation of the First Generation of French Urban Enterprise Zones”, Working Paper No. G 2012/01, Institut National de la Statistique et des Études Économiques, France.
[2] Audizione MISE – Camera dei Deputati 3 Marzo 2017