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FABBRICHE DI IDEE: LA CULTURA IN LUOGHI INSOLITI A TORINO

  • Pubblicato il: 15/12/2017 - 00:00
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DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
da Open Magazine del 5 dicembre 2017

Torino, sabato 20 maggio 2017, ore 20.30. Sul tappeto di suoni generati da Francesco Bianconi, Alessandro Baricco inizia la lettura di alcune pagine di Furore, il romanzo scritto nel 1939 da John Steinbeck. A far da cornice al reading non è un teatro, una biblioteca, una libreria o qualsiasi altro luogo abitualmente consacrato ai libri e al loro racconto. Nemmeno uno di quei palchi – nei club e nei palazzetti dello sport – che Bianconi calca regolarmente come cantante dei Baustelle. No, i personaggi di Furore prendono vita su una piattaforma allestita al centro dello Spazio MRF, un immenso capannone vuoto di Corso Settembrini, nel quartiere torinese di Mirafiori, in un'altra epoca base logistica della Fiat. Organizzato come evento collaterale del trentesimo Salone del Libro di Torino, il reading è un successo. Al punto da andare in replica – con gli stessi protagonisti, la stessa materia letteraria, nella stessa location – appena pochi mesi dopo, il 2 ottobre, ripreso dalle telecamere di Raitre e trasmesso in diretta in prima serata.

 
L'utilizzo di luoghi insoliti a fini artistici e spettacolari sta diventando un elemento sempre più comune nelle politiche culturali del XXI secolo. Declinandosi attraverso due percorsi, in parte alternativi in parte complementari: da un lato, c'è il recupero permanente di strutture abbandonate che – esaurita la propria funzione originaria – vengono ristrutturate, riqualificate e riproposte alla comunità come sede di eventi sul medio e lungo termine; dall'altro lato, c'è l'organizzazione di iniziative temporanee (concerti, mostre, rappresentazioni, installazioni) che occupano per un breve periodo di tempo spazi pubblici o privati quotidianamente dedicati ad altre attività.
 
Il Furore multimediale di Alessandro Baricco e Francesco Bianconi appartiene a entrambi i percorsi. È un evento del tutto estemporaneo, allestito in un luogo che aspira però a entrare stabilmente nella mappa degli spazi culturali del quartiere Mirafiori. Nella conversione di vecchi edifici in moderni poli dell'arte e dell'intrattenimento, Torino rappresenta un caso emblematico, non solo a livello nazionale. Nell'ultimo ventennio, la città ha vissuto un drammatico e radicale passaggio da metropoli industriale a moderno hub di servizi, cultura e turismo. Una trasformazione che l'ha quasi “costretta” a inventarsi una nuova identità: interiore ed esteriore. Per dimensioni e per impatto architettonico, i cambiamenti più evidenti riguardano le vecchie fabbriche: dall'immensa tettoia dello strippaggio delle ex-Ferriere Fiat di Parco Dora, che ogni estate richiama migliaia di persone da tutta Europa per il Kappa FuturFestival, alla ex-Incet di Barriera di Milano, a settembre teatro degli eventi elettronici del ToDays Festival e da novembre sede del polo gastronomico EDIT, per arrivare fino alle OGR di Corso Castelfidardo, ieri officine di riparazione di locomotive e oggi centro polifunzionale tra arte, ricerca ed eventi dal vivo. Ma altri rami edilizi sono stati coinvolti da un simile destino: pensiamo alle strutture scolastiche trasformate in club musicali (Spazio 211, Hiroshima Mon Amour, El Barrio) o alle caserme che sfuggono al loro passato per diventare laboratori di riflessione, ricerca e creatività: dalla Cavalli di Borgo Dora (sede della Scuola Holden) alla La Marmora di via Asti (da luogo di detenzione e torture nel biennio 1943-45 a galleria delle provocazioni artistiche contemporanee di Paratissima), ai Quartieri Militari juvarriani in cui è stato aperto il centro culturale del Polo del '900.
 
Ciò che impressiona di Torino è l'estensione spaziale e temporale del fenomeno. Quelli citati sopra sono solo gli esempi più recenti e circoscritti all'area cittadina. Sporgendosi anche solo di poco oltre i confini, si incontrano i musei ricavati nelle nobili mura del Castello di Rivoli e della Reggia di Venaria, i concerti organizzati nel vecchio mattatoio di Rivoli rinato come Maison Musique, la brulicante attività culturale e sociale nei bracci dell'ex-Ospedale Psichiatrico della Certosa Reale di Collegno. Mentre, riportando le lancette del tempo a un periodo in cui la città non aveva ancora perso del tutto la propria natura industriale ma stava già provando nuovi abiti, si possono citare i Docks Dora (da magazzini generali a tempio del nightclubbing negli anni '90), i padiglioni del Lingotto (primo grande pezzo della Fiat a rinascere in senso fieristico, culturale e commerciale), e la stessa Mole Antonelliana, la sinagoga diventata Museo Nazionale del Cinema, forse l'esempio più luminoso e spettacolare dei traguardi che può raggiungere una riqualificazione eseguita al massimo delle sue potenzialità.
 
Molti dei luoghi citati, tuttavia, ormai non possono più essere definiti “insoliti”. Se il livello della programmazione artistica rimane di primissimo livello, non si può più dire – nel 2017 – che assistere a una mostra al Castello di Rivoli, partecipare a una fiera al Lingotto o vedere un concerto a Hiroshima Mon Amour o Spazio 211 sia un'esperienza straniante. Nella maggior parte dei casi, le nuove location hanno assimilato e ripropongono codici e linguaggi tradizionali dello spettacolo e della cultura, potenziandoli con la particolarità della propria architettura e il giacimento emotivo di storie e suggestioni del proprio passato. Diverso è il discorso per quanto riguarda il secondo filone di iniziative a cui è dedicato questo articolo: gli appuntamenti organizzati in luoghi ancora vivi, parte del tessuto sociale e commerciale della città, che vengono contaminati – per un'ora, un giorno, una settimana – dall'arte e dalla cultura.
 
Come sottolinea lo studio Engage Audiences, condotto dalla Fondazione Fitzcarraldo sull'attività di trenta operatori culturali europei e presentato lo scorso 21 giugno al Teatro Regio di Torino durante l'incontro “Audience Development è Innovazione Sociale”, la contaminazione di luoghi inediti rappresenta una delle voci più frequenti in un approccio culturale orientato all'audience development audience engagement. E come hanno mostrato le prime due edizioni del bando OPEN, promosso dall'Area Innovazione Culturale della Compagnia di San Paolo, anche da questo punto di vista Torino (assieme al territorio del Piemonte e della Liguria) si rivela perfetto terreno d'analisi: un vulcanico laboratorio di idee, energie, scommesse.
 
 
Immaginate per esempio di incontrare Romeo e Giulietta nel bar del vostro quartiere. È lo spirito con cui nasce Tournée da Bar, un progetto che intende diffondere il teatro in circoli, club e altri luoghi in cui di solito non ci si aspetta di imbattersi in Shakespeare. “Immaginiamo un teatro che ritrovi le proprie radici e funzioni originarie in mezzo alla gente”, afferma Davide Lorenzo Palla, l'ideatore del progetto. “Un teatro che si sposta al bar per riportare l’attenzione della comunità all’amore per l’arte e la cultura”. Nel frattempo, le fantasie in re minore di Mozart hanno raggiunto le case dei quartieri di San Salvario, Mirafiori, Barriera di Milano, San Donato e Aurora. Sulla falsariga degli “house concert” anglosassoni, confinati però nei territori rock, pop e blues, il progetto Adotta un pianista – Musica da camera in camera tua prevede l'organizzazione di piccoli concerti di musica classica in ambito domestico, nelle case dei cittadini o anche in spazi pubblici abitualmente non adibiti a sala concerto.
 
 
Dal chiuso all'aperto, dal flirt con la dimensione domestica alla reinvenzione degli esercizi commerciali: i progetti HoME e MefinMarket mettono in contatto diretto il mondo dell'arte e il tessuto economico e sociale del territorio. Curato dalla Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci, dal 27 ottobre al 12 novembre HoME (House of Memory and Engagement) ha promosso l'esposizione di 41 opere ispirate ai temi trattati da Antonio Gramsci nelle vetrine dei negozi torinesi, costruendo un percorso che ricongiunge due importanti poli gramsciani della città: l’area intorno a Casa Gramsci e la sede della Fondazione presso il Polo del ‘900. MefinMarket ha invece creato un ponte tra il mercato di Piazza Foroni e il Museo Ettore Fico (altro significativo esempio di riqualificazione culturale urbana: il museo è ospitato negli spazi della vecchia fabbrica SICME, dove lavorò anche Primo Levi), con l'esposizione di alcune opere in un'area collocata tra i banchi del mercato. A volte il luogo insolito permette di inventare qualcosa di nuovo, ma molto spesso può servire ad ampliare (e svecchiare) processi culturali ben conosciuti: come ha fatto l'iniziativa LegGO – Libraries on the Road, portando il prestito di libri (anche in versione ebook) al di fuori del consueto perimetro delle biblioteche, in contesti come la fermata Porta Nuova della metropolitana o l'atrio dell'ospedale Le Molinette.
 
Le iniziative di cui si è parlato presentano numerosi pregi. Nel caso del recupero/conversione permanente di luoghi abbandonati, i benefici per il territorio appaiono evidenti: si tratta di restituire una funzione ad aree a rischio, tutelando la memoria di spazi ed edifici storici ed effettuando – spesso grazie a notevoli investimenti pubblici e privati – i necessari interventi di ristrutturazione e ammodernamento. Ma a guadagnarci non è solo l'estetica del quartiere: in molti casi, la carta della riqualificazione permette di regalare luoghi culturali a territori che ne erano sprovvisti. Prima dell'apertura della Maison Musique, non erano molte le sale concerti nella zona tra Rivoli e Rosta; e probabilmente non sono molti i luoghi di Mirafiori dove avrebbe potuto essere allestito un reading multimediale come quello di Spazio MRF. Nel caso del coinvolgimento di strutture e realtà non abbandonate, l'effetto più virtuoso appare invece quello di generare nuove alchimie tra artisti, operatori culturali, cittadini e territorio. Illuminante è l'esempio citato da Philip Cave di Arts Council England, nella recente intervista concessa a OPEN Magazine: coinvolgendo una società di rugby nell'organizzazione di eventi culturali, si possono sprigionare nuove intelligenze ed energie, entrando in contatto diretto con fasce di pubblico che proprio nella squadra di rugby vedono il principale polo d'attrazione e aggregazione sociale del territorio.
 
A beneficiarne, spesso, è anche la creatività. Aggiungere ingredienti inediti alla ricetta permette – almeno in potenza – di rinfrescare il discorso artistico, favorendo la contaminazione di linguaggi espressivi, aprendo a un nuovo rapporto tra l'artista e il pubblico (altro elemento fondamentale nelle politiche culturali audience-oriented) e alimentando suggestioni che solo la location inedita può generare. Un conto è assistere a un reading su Furore in una libreria, un altro è viverlo in una ex-fabbrica – terra promessa che attirò persone da tutta Italia nel secondo Novecento – creando un immediato ponte emotivo con le migrazioni dei contadini dalla povera Oklahoma alla ricca California, raccontate da Steinbeck nel suo libro. La potenza di un luogo non convenzionale può rivelarsi straordinariamente iconica, come lo sono stati il carcere di Folsom in cui Johnny Cash ha registrato il suo disco più famoso o il tetto di Londra su cui i Beatles hanno suonato per l'ultima volta assieme. Ma l'effetto può essere anche una rivoluzione artistica: immaginando di portare la musica negli aeroporti, a metà anni Settanta, Brian Eno inventò un intero genere musicale, l'ambient. E ancora oggi la sua intuizione si propaga in iniziative come gli spettacoli organizzati all'aeroporto di Caselle dal Teatro Regio di Torino o, il 20 ottobre scorso, l'evento La Stampa Sound Journey realizzato nell'ambito del festival di musica elettronica Movement.
 
Esistono anche possibili criticità di cui tener conto quando si attivano politiche determinate a produrre eventi culturali in luoghi inediti. La prima riguarda gli effetti concreti esercitati sul territorio e in particolare la discussione contemporanea converge attorno alla gentrificazione. Da considerare sono poi le problematiche logistiche e organizzative che emergono quando si organizzano spettacoli collettivi in luoghi non abituati ad ospitarli: dalla sicurezza alla semplice convivenza sociale. Mantenendo l'obiettivo su Torino, la cronaca recente ci propone esempi su differente scala. Per esempio, le polemiche che a fine estate hanno coinvolto i concertini del balconcino, la serie di spettacoli musicali proposta dagli artisti Maksim Cristan e Daria Spada nel cortile di un palazzo in via Mercanti, nel pieno centro di Torino. Un appuntamento che è ormai punto di riferimento per parte della comunità artistica torinese, ma che ha anche innescato controversie di carattere condominiale. A una dimensione e su un livello di drammaticità superiori, non si possono trascurare gli incidenti avvenuti la sera di sabato 3 giugno in Piazza San Carlo, in occasione della trasmissione su maxischermo della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Pur trattandosi di una partita di calcio, gli effetti della tragica serata si sono riverberati nelle settimane successive anche su altre iniziative (festival, concerti, spettacoli, fiere) che – proprio perché organizzate in modo estemporaneo in luoghi particolari – richiedono un'attenta definizione delle misure di sicurezza da adottare (il che non significa cancellare le piazze dalle mappe culturali delle città: pensiamo alla suggestione di esempi virtuosi come le proiezioni in Piazza Maggiore a Bologna per il Cinema Ritrovato o nella Piazza Grande di Locarno per il festival cittadino).
 
Altre insidie riguardano il valore artistico, culturale e storico dell'evento. In un articolo pubblicato giovedì 9 novembre sul quotidiano La Stampa, simbolicamente intitolato La cultura usa & getta, prendendo spunto dall'ingresso della cultura in vecchie fabbriche riconvertite, lo storico Giovanni De Luna ha lanciato un grido d'allarme: “Questa è la logica degli eventi culturali che caratterizzano la nostra contemporaneità. Quello che viene dopo cannibalizza e fagocita tutto quanto che c'è stato prima. Lo spazio pubblico della cultura è monopolizzato dagli eventi. Ne deriva un profilo complessivo privo di un disegno unitario, segmentato, che vive di accensioni istantanee e poi si spegne, proponendo un consumo culturale «usa e getta» che gli toglie ogni spessore, consegnandolo a un tempo effimero, destinato a essere archiviato in fretta”. De Luna fa diretto riferimento anche all'influenza del mercato (e delle sue dinamiche) nella produzione culturale, ma il dubbio potrebbe essere tranquillamente esteso anche alle iniziative più piccole e meno appariscenti, distribuite sul territorio. Stiamo forse assistendo a una mutazione della cultura, da consumare ormai solo in pillole, per essere subito dimenticata e sostituita da altre pillole? E quanto incide in questo processo la contaminazione di nuovi spazi pubblici? L'impressione è che la mutazione sia effettivamente in corso, ma che l'eventizzazione della cultura vada ben oltre ai confini della materia trattata in questo articolo e che coinvolga una più generale trasformazione della società contemporanea (e delle sue infrastrutture: sociali, culturali, tecnologiche, di comunicazione). Anche su questi temi, in un'ottica di trasformazione delle politiche di progettazione e diffusione culturale, la riflessione appare comunque inevitabile.