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Elio Bracco salva l’amico pittore Angiolo D’Andrea

  • Pubblicato il: 13/04/2014 - 17:11
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Stefano Luppi

Pordenone. «Tutti i quadri del povero Angelo D’Andrea sono stati salvati e sono sempre in mio possesso. Mi riprometto il prossimo anno di fare una mostra postuma a Milano, dopo che avrò preparato un catalogo generale di tutte le sue opere. E’ mio desiderio che rifulga l’opera di questo grande maestro». Queste le parole, e i desideri, di Elio Bracco, datate 12 settembre 1947. Bracco e i suoi eredi, fino a Diana Bracco che oggi è anche a capo dell’Expo 2015 e della Fondazione culturale di famiglia, sono molto legati alle vicende del pittore Angiolo D’Andrea (San Giorgio della Richinvelda, 24 agosto 1880 – San Giorgio della Richinvelda, 10 novembre 1942) oggi protagonista, dopo esserlo stato due anni fa a Milano, della importante mostra «Angiolo D’Andrea 1880-1942. La riscoperta di un maestro tra Simbolismo e Novecento», a cura di Luciano Caramel, visibile fino al 21 settembre 2014 presso la Galleria d’arte moderna e contemporanea Pizzinato. Basti pensare che Elio conobbe di persona il pittore e, alla sua morte, «salvò» tutte le opere, circa 150, che rischiavano di andare perdute. Elio Bracco e D’Andrea condivisero decenni di compresenza milanese: Elio si trasferisce a Milano nel 1927 e fonda la società Bracco, la multinazionale farmaceutica oggi amministrata dalla nipote Diana dopo i decenni di gestione del padre di questa, e figlio di Elio, Fulvio nato nel 1909 e laureatosi in chimica e farmacia a Pavia nel 1933. «Milano è la mia casa, la città ha accolto la mia famiglia nel 1927 con quella sua disponibilità e capacità di aprirsi a chi ha volontà di fare, di crescere, di affermarsi», così spiegava alcuni anni fa Fulvio Bracco. La sua Bracco, di origini istriano-dalmate, ebbe un ruolo importante anche nelle lotte irridentiste di inizio ‘900, visto che la moglie di Elio, Nina Salata, era sorella del senatore Francesco Salata, figura di spicco nel difendere l’appartenenza all’Italia della Venezia Giulia. Lo stesso Elio condivideva gli stessi ideali e si fece due anni di carcere per questo motivo. Oggi la Fondazione di famiglia ha l’obiettivo di promuovere la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e artistico, nonché sociale, a livello nazionale e internazionale. Si occupa assiduamente anche dello sviluppo di attività formative in particolare rivolte alle giovani generazioni (info www.fondazionebracco.com). L’ultima operazione riguarda proprio il sostegno dato per la mostra del pittore «di famiglia», esposizione che presenta importati aggiornamenti e dodici nuove opere rispetto all’esposizione milanese, nuovo anche il catalogo Skira – Fondazione Bracco. D’Andrea era un artista schivo e introverso, ma è un grande protagonista della stagione artistica di inizio XX secolo. Attivo soprattutto in Lombardia e a Milano, dove dimorò dal 1906 al 1941, e sensibile alla integrazione tra le arti, fu forse proprio questa sua indifferenza alle luci della ribalta, insieme alla lunga malattia che nell’ultimo decennio lo costrinse a ritirasi dalla scena, a farlo scordare a gran parte della critica dopo la sua morte. A evitare la dispersione dell’opera di Angiolo intervenne appunto Elio Bracco. Seguendo il vecchio desiderio di Elio, riportato in apertura, Diana Bracco ha ora deciso di riportare l’attenzione sulla produzione e sull’avventura artistica del pittore friulano. Sono esposte 120 opere tra dipinti e disegni (una novantina di proprietà della famiglia e della Fondazione Bracco, altre rivenute presso gli eredi D’Andrea o in collezioni pubbliche e private) di cui appunto dodici nuove rispetto alla mostra milanese. La rassegna segue il percorso compiuto dall’artista con un incedere cronologico, a partire dalla sua collaborazione con la rivista «Arte italiana decorativa e industriale» diretta da Camillo Boito, lasciando spazio ad approfondimenti sulle tematiche che più hanno interessato e impegnato Angiolo D’Andrea, portandolo a una pittura evocativa, ricca di poesia e di simbolismi. Tante le commissioni che l’artista ebbe in vita: decorazioni d’importanti architetture milanesi a partire da quella più nota  presso lo storico caffè «Camparino» in galleria Vittorio Emanuele a Milano, insieme alla Esposizione di Primavera della Permanente del 1907, che segna il suo esordio, alle Esposizioni Nazionali di Brera fino alla Biennale di Venezia del 1922, dove espone la grande tela «Gratia plena», opera notissima.

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