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Dopo l’accademia: uno spazio da costruire. Riflessioni su una nuova spazialità, avanzi temporali e vita quotidiana

  • Pubblicato il: 14/10/2015 - 21:38
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Giangavino Pazzola

Il Forum dell’arte contemporanea di Prato ha rappresentato un importante momento di riflessione, sia in loco e – ancor più – ex post, sullo stato di cose nel panorama dell’arte italiana. I numerosi contributi pubblicati da artisti e operatori in meno di due settimane confermano quanto il Forum fosse un impegno non rimandabile, generato da una necessità diffusa di confronto e racconto tra generazioni e approcci diversi. Una spinta a riunire pensiero e persone raccolto con grande sensibilità dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, nella persona di Fabio Cavallucci, al quale va un ringraziamento collettivo. Perché attualmente, nel nostro paese, niente può esser dato per scontato. Riflessioni dal tavolo sulla formazione degli artisti
 
 
Prato. Parole e idee che evidenziano la necessità di aumentare la relazione tra (e nella) comunità artistica e pubblico, testimoniando un’esigenza di approfondimento sui contenuti, spesso “ammansiti” dal format adottato a Prato. Ogni tavolo, infatti, aveva a disposizione 150 minuti suddivisi in: (1) introduzione del coordinatore del tavolo (10 min), (2) individuazione delle criticità rispetto al tema indagato, (3) selezione degli obiettivi e (4) indicazione delle proposte finali (30 min + 15 minuti, compresi 2/3 interventi dal pubblico per ogni fase). Una sintesi del coordinatore poteva aver luogo durante le conclusioni nei 5 minuti rimanenti. In quest’articolo riferirò su uno dei tavoli dedicato alla formazione, nel quale venivamo invitati a confrontarci sulla creazione di un percorso post accademia per i giovani artisti.
Partire dalla formazione, dunque, con l’idea di ragionare sui vuoti che si trovano ad affrontare i giovani artisti e professionisti dell'arte al termine dei propri studi accademici. Muoversi da quì per affrontare il tema dal punto di vista di chi questi spazi cavi li pratica, auto-organizzandoli e riempiendoli con attività che incidono su (auto)formazione, promozione e valorizzazione dei giovani artisti.  Una questione, quella dello spazio post accademia, sulla quale incidono criticità collegate alla (mancata) connessione tra accademia e lavoro, alla famelica attitudine dei processi economici a consumare anche risorse intangibili come l’arte, alla scarsa capacità di immaginare nuovi modelli possibili.
Dopo l’accademia: uno spazio da costruire, restituisce riflessioni che tendono verso una definizione di tale ambito quasi più in senso ontologico, cercando di immaginarne spazialità, contenuti e metodi. Tale analisi ha suggerito una dimensione aperta di scambio sui temi della ricerca, che sia un’estensione didattica del percorso di istruzione appena concluso e un laboratorio multidisciplinare stimolato da un continuo percorso di apprendimento teorico e di sperimentazione della pratica artistica (attraverso un processo di learning by doing and thinking costante - LLL). Partire dal momento costitutivo dell’ideazione dell’opera d’arte, oltre a originare una de-strutturazione del metodo formativo attuale e la consapevolezza della contemporaneità dei fenomeni, potrebbe generare la disseminazione teorica e pratica delle ricerche portate avanti nelle varie esperienze territoriali, determinando una possibilità per la condivisione dei modelli concettuali, gestionali e di sostenibilità.
Uno spazio post accademia non  competitivo, ma una zona immateriale nella quale si agevoli la cooperazione tra soggetti, favorendone la capacità di determinare percorsi professionali (e professionalizzanti) attraverso la costruzione di una relazione diretta (o reale) tra artisti e mercato. In questo senso, dovrà essere uno spazio nel quale sussistano le condizioni per una sedimentazione di consapevolezza da parte dei giovani diplomati rispetto alla rilevanza della riflessione intellettuale, della ricerca e del panorama culturale in ambito lavorativo. Questa condizione basilare, ma non scontata, porterebbe all’esame di nuove e personali modi di autorganizzarsi e promuoversi, suggerendo alle istituzioni delle politiche di sostegno continuativo in relazione ai processi attivati – e non solo sul singolo progetto. Le Accademie formano – o dovrebbero formare - non solo artisti, ma persone dotate di senso critico e di tale aspetto è necessario aver cura. Al termine dei propri studi accademici, infatti, la maggior parte dei giovani diplomati si trova spesso a fronteggiare un vuoto che potrebbe essere parzialmente colmato con attivazioni di dottorati ad hoc, per esempio. Analizzare e problematizzare percorsi svincolati dalle dinamiche del mercato e dai suoi attori permetterebbe di affrontare l'argomento della formazione orientandolo verso una progettualità basata sull'auto-organizzazione e l'autoproduzione. Nello spazio della formazione post accademia si potrà valorizzare la formalizzazione di un pensiero alternativo, trasversale alle discipline e alle pratiche, dove l’arte (ri)trovi il suo ruolo sociale di agente dei processi di trasformazione del territorio, creando una relazione sempre più importante tra la dimensione locale dell’agire e la rete internazionale degli attori dell’arte. Immaginare uno spazio di sostegno da parte di istituzioni e premi potrebbe avere il suo senso se tale sostegno non risulterebbe mirato alla singola produzione delle opere, ma alla stimolazione dei processi della pratica artistica.
 
Le Accademie sono da ripensare, questo è un dato, ma stimolare una riforma può esser sufficiente? Considerate le ultime al sistema dell’istruzione italiano, come possono essere recepite le istanze del tavolo? Dal reclutamento insegnanti alla definizione delle discipline e dei programmi, dallo sviluppo dei rapporti con l’esterno (ampliando l’archivio di realtà con cui dialogare, aumentando i crediti per le attività esterne), all’ideazione di strumenti all’interno dell’accademia per il percorso post-diploma (sportelli di orientamento, network online, ecc.), passando per l’istituzione di un momento ulteriore e cadenzato di confronto (ancora più aperto e allargato) sul tema della separazione tra cultura e politica. Una prospettiva storica, in questo senso, sarebbe capace di articolare forme spaziali delle relazioni sociali a vari livelli, nella nostra nuova realtà quotidianamente globale attraversata da movimenti culturali urbani e rurali interconnessi.
 
Brevi riflessioni sulle conclusioni generali del FORUMARTECONTEMPORANEA
Alcune delle linee guida che indirizzeranno, nei prossimi mesi, l'attività della comunità pratese sono collegate alla necessità di autodeterminazione del mondo dell’arte italiano (al momento rappresentabile in una concentrazione di realtà significative da un punto di vista culturale e economico in un pugno di grandi città, al fianco di una costellazione di innumerevoli esperienze e pratiche diffuse su scala nazionale che sperimentano modelli e pratiche culturali) e alla divulgazione del principio dell'arm's length (potrebbe significare interrogarsi sugli indicatori di valutazione dell’eccellenza, punto debole di questo metodo, che considerino la natura metamorfica dei processi artistici in un periodo in cui la dinamica del consenso è una discriminante per la distribuzione delle risorse). Altri punti sollevati dal team di coordinatori dei tavoli sono stati l’urgenza dell'implementazione del sistema formativo e dell'educazione all'arte e la costituzione di reti che potrebbero dar vita a un organismo che va dalla misura minima del Forum permanente a quella massima di un Arts Council italiano. In un certo senso, è possibile mutuare la concezione di biopotere[1] quando si afferma che la vita e il vivente sono le poste in gioco delle nuove lotte politiche e delle nuove strategie economiche. Rifacendoci a tale idea è possibile considerare il Forum d’arte contemporanea come la rivendicazione di un diritto di cittadinanza culturale, espresso (anche) in termini generazionali (non anagrafici), extra-territoriali, economici e di pratiche non sempre incomprensibili ed ermetiche ma – contrariamente - aperte e orientate alle comunità delle stesse città che la classe dirigente non riesce più a governare. Un’istanza espressa verso quello stesso (bio)potere che ha lasciato nell’ombra (o ha incupito) il mondo del contemporaneo italiano, generando la necessità di reazione e determinazione di ciò che nella vita di ogni giorno resiste al sistema (perché non ci si riconosce, viene espulso o non preso in considerazione) e, opponendosi, crea delle forme di soggettivazione dell’arte che sfuggono al controllo delle istituzioni italiane. In questo senso le discussioni all’interno dei tavoli sono state capaci di svincolarsi dal principio ordinatore dell’obbedienza – imposto dal format e dai rapporti di forza espressi dai diversi ruoli –, dando la possibilità di dialogare alla pari, ricercando la capacità trasformativa che nei gioco di ruolo è ben racchiusa.
Se è vero che il principio di autodeterminazione di una comunità sottende una qualche sottomissione o vessazione da parte del potere e stabilisce l'impegno a determinare il proprio destino, era necessario affrontare una fase introspettiva che fosse fondamento per una nuova concezione sistemica. L’atto del pensare come trasfigurazione formale di pulsioni e desideri prodotti dalla riflessione stessa, ma anche come senso dell'identità di un nuovo soggetto. Quale sarà la direzione di tale autodeterminazione: ottenere l'indipendenza dal sistema economico, associarsi o integrarsi a un altro stato già in essere (le nuove pratiche e ricerche), o scegliere autonomamente il proprio regime politico? Un ripensamento che viene suggerito anche da Emilio Fantin, in un intervento illuminato, quando suggerisce di interrogarsi sul sistema formativo odierno, tentando di decostruirne una metodologia orientata e che «vuol dire informazione, educazione al ruolo, conformità alle disposizioni, strumento economico, sviluppo di facoltà tecniche e tecnologiche, […] per essere in grado di mettere in pratica quelle […] linee di condotta che sono state nostre per un periodo di tempo e che ci hanno portato ad ottenere degli ottimi risultati in passato»[2].

 
 
Dopo l’accademia: uno spazio da costruire.
Coordinatrice: Alessandra Casadei - Cherimus
Partecipanti: Sara Alberani, Paola Capata, Claudio Musso, Paolo Parisi, Giangavino Pazzola, Alessandra Pomarico / Free Home University, Ludovico Pratesi, Margherita Raso
 
 
 

[1] M. Foucault, La volonté de savoir. Paris: Gallimard, 1976.

[2] E. Fantin, Flettere l’unidirezionale, contributo pubblicato su Undo.net, ultimo accesso 08/10/2015 http://www.undo.net/it/argomenti/1443976731?fb_action_ids=10153635540938...