Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Dono «sicuro», le infrastrutture esistono. Da conoscere, diffondere e sviluppare

  • Pubblicato il: 29/07/2016 - 11:07
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia

"Sparirà con me ciò che trattengo,
ma ciò che avrò donato
 resterà per sempre nelle mani di tutti"
R. Tagore
 

Le Fondazioni di Comunità sono ancora poco conosciute rispetto ad altre forme di organizzazioni”, dice Virgina Burton, Presidente della giovane Fondazione di Comunità del Canavese, commentando la sua esperienza. Lo strumento di “collazione” e intermediazione filantropia , intrecciata con i bisogni delle comunità, nato nel 1914 negli Usa, è stato portato in Italia nel 1998 da Fondazione Cariplo che ne ha create 15 nei Distretti Culturali delle province lombarde, a Novara e Verbania. Oggi sono 35 in Italia. La fondazione di comunità, è espressione del suo territorio, cosa di tutti, Res Publica, nel senso più alto del termine, con l’obiettivo di favorire una crescita collettiva anche metodologica nella cultura del dono.
 
 
Le Fondazioni di Comunità sono ancora poco conosciute rispetto ad altre forme di organizzazioni. La responsabilità è soprattutto nostra: non abbiamo le forze o gli strumenti più adatti a farci conoscere maggiormente. Inoltre, le differenze tra le fondazioni di comunità stesse sono molto profonde, ed è anche questo un problema da risolvere nello strutturare una efficace comunicazione.”, ci racconta Vittoria Burton, Presidente della Fondazione Comunitaria del Canavese, incontrata in occasione del primo Forum internazionale Expolette, delle donne ai vertici della politica, delle imprese, della filantropia.
 
Il modello, nato nel 1914 negli Usa, è stato portato in Italia nel 1998 da Fondazione Cariplo che ne ha create 15 nei Distretti Culturali delle province lombarde, a Novara e Verbania.
Questi “intermediari filantropici” nascono per attivare donatori privati e collettivi, supportarli nei loro progetti, incrociando la loro visione con i bisogni e le energie della comunità. Il loro patrimonio si struttura progressivamente con liberalità, donazioni testamentarie ed erogazioni legate a specific i progetti.
 
La Fondazione di Comunità del Canavese è giovane. E’ stata costituita aprile 2015, sull’impulso di un Comitato Promotore composto da soggetti eterogenei (enti pubblici, terzo settore e aziende del territorio), in “un momento in cui le risorse pubbliche andavano scemando e il nostro territorio veniva fortemente colpito dalla crisi economica, sia del 2008 che del 2012. C'era la necessità di interventi emergenziali crescenti nel soddisfacimento dei bisogni sociali primari, quali l'alimentazione e la cura dei soggetti fragili e vulnerabili.” Contestualmente vi era da parte di tutti i fondatori la consapevolezza che il Canavese, pur essendo devastato dalla crisi fosse un’area di patrimoni economico finanziari ingenti, alcuni in cerca di futuro, di grande impegno della collettività nell'associazionismo, nella cooperazione sociale e nei progetti di welfare integrativo. “Ho sentito stime diverse, però tutte molto ragguardevoli, di patrimoni immobilizzati, non investiti e non restituiti al territorio in nessun modo anche se ci sono due fondazioni d’impresa nel Canavese, fortemente impegnate su tematiche sociali e anche imprenditoriali per il rilancio strategico del territorio: la Fondazione 7 novembre legata alla azienda RGI e la Fondazione Fondo Risorsa Canavese, legata a Manital.
 
La Fondazione di Comunità, nella visione del comitato promotore e dei soci fondatori, è stata un veicolo giuridico per “dare uno sbocco, una possibilità di impegno a tanti individui che dal Canavese hanno avuto molto e che probabilmente potevano trovarsi nella condizione, con uno strumento super partes, di restituire e di attrarre anche contributi esterni. Ci sono realtà del terzo settore sul territorio che hanno un impatto sociale importante, ma che non hanno la capacità di intercettare contributi che non siano la donazione una tantum della singola famiglia o persona legata territorialmente o per storie personali a quella associazione.
 Ai primi, piccoli, progetti della Fondazione di Comunità del Canavese (3 per 74.000 mila euro) ha creduto la Compagnia di San Paolo che in un “collettore” può trovare un referente istituzionale nella progettazione degli investimenti sociali e ha investito, facendo da moltiplicatore sulle prime erogazioni dell’ente. “Siamo comunque ancora una piccola e giovane realtà e non abbiamo ancora né una grande influenza né un grande patrimonio”.
 
La fondazione di comunità, è espressione del suo territorio, cosa di tutti, Res Publica, nel senso più alto del termine, per favorire una crescita collettiva anche metodologica nella cultura del dono.
La governance allargata determina la sua metodologia di lavoro. Questo complica infinitamente le cose, perché nella Fondazione di Comunità tutti gli stakeholders hanno pari diritto di far sentire la propria voce e dare un indirizzo all'operato della fondazione: dal piccolo comune montano in situazione di difficoltà economica all'azienda privata che invece da un punto di vista di importanza strategica, economica e finanziaria, rappresenta una risorsa unica sul territorio. Entrambe queste realtà hanno la stessa possibilità di orientare la governance e gli obiettivi della Fondazione di Comunità e quindi bisogna adoperarsi in un gioco di equilibri molto delicato. Noi, attualmente, come Fondazione di Comunità del Canavese, abbiamo interesse ad aprire un dialogo costruttivo con tutti i nostri potenziali sostenitori, indipendentemente da quanto possono investire nella Fondazione.”
 
Per sua natura, il governo della fondazione di comunità tende ad essere affidato ad esponenti del territorio, il più possibile rappresentativi della eterogeneità degli stakeholder “Persone con competenze molto varie, ma quasi mai specifiche in ambito filantropico o di gestione patrimoniale o finanziaria degli asset di una fondazione, ma che di contro hanno una conoscenza estremamente approfondita del territorio in cui operano.
 
Un ulteriore elemento che suscita perplessità è che, di norma, nelle fondazioni di comunità, soprattutto quelle di più recente costituzione e di dimensioni più ridotte ─ spesso le cose vanno di pari passo, perché il capitale cresce nel tempo con processi di partecipazione ─ il personale che le gestisce opera a titolo di volontariato. “Se da un lato questo da un lato è un punto di debolezza delle fondazioni di comunità perché manca quella professionalità che caratterizza altri tipi di fondazioni, dall'altro da anche una grande credibilità e riconoscimento da parte della comunità, quindi diventa allo stesso momento un elemento importante e di forza”.
 
Mobilitazione, partecipazione, ascolto, prendersi cura della comunità. Caratteristiche femminili. Una donna è ai vertici. Il riconoscimento non è scontato Vittoria Burton è arrivata alla guidai della fondazione di Comunità del Canavese partecipando alla call di candidatura del Comune di Ivrea, uno dei soci fondatori dell’ente. La carica è pro bono. Il primo consiglio di amministrazione è stato in carica per un anno ed è appena stato rinnovato a marzo 2016, per tre anni. “Abbiamo iniziato con un gruppo di lavoro dedicato al progetto di Fondazione di Comunità per un anno e con una esperienza positiva per tutti, i membri, eccetto uno che aveva altri impegni nel volontariato di profilo nazionale e che quindi non poteva più dedicare il tempo necessario, tutti i membri sono stati confermati”.
Laureata in Psicologia presso l’Università di Cardiff, ha un Master in Sociologia delle migrazioni e psicologia transculturale presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Lavora da vent’anni nel campo della cooperazione sociale sia a livello locale che a livello internazionale, sia come operatrice che come progettista, promotrice e coordinatrice di servizi alla persona. La sua area di expertise sono i servizi educativi e ricreativi per l’infanzia, l’adolescenza e le famiglie. Attualmente è responsabile dell’area progettazione e sviluppo del Consorzio Copernico di Ivrea. È sposata e ha due figli, Caterina e Jacopo.
 “Lavorando nel mondo della cooperazione sociale che è un mondo prettamente femminile e nel quale ci sono donne che rivestono importanti ruoli dirigenziali, non sono mai stata soggetta a situazioni di discriminazione di genere. Devo ammettere che come presidente di una Fondazione devo impegnarmi maggiormente per ottenere quel riconoscimento. L’idea della filantropia è forse ancora ancorata all'ideale del pater familias che eroga, che si prende cura della comunità. Da quello che vedo alle assemblee nazionali, questo mondo è prevalentemente maschile. Ma il sistema delle fondazioni, alla vigilia di un cambiamento profondo, di una trasformazione da donatori a investitori sociale, rappresenta anche una grande opportunità per le donne impegnate nel settore. Ora si sta costruendo una nuova governance di sistema. Se le donne saranno pronte ad assumersi le responsabilità, molto complesse, che quest'ambito richiede, credo che potremo traghettare le fondazioni italiane verso una situazione di assoluta parità di genere. E in qualche modo ritornare alle origini, tutte femminili, della filantropia in questo Paese.
 
 
 
© Riproduzioni riservata

Articoli correlati:
MANCANO DENARI E IDEE? RIVOLGIAMOCI ALLE INFRASTRUTTURE DEL DONO