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Documenta 13: i punti cardinali di Carolyn

  • Pubblicato il: 25/05/2012 - 12:42
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Articolo a cura di: 
Lidia Panzeri
Carolyn Christov-Bakargiev e Luca Massimo Barbero a Venezia. Foto cortesia Alessia Boro

Venezia. La lista dei nomi no. Quelli saranno svelati nella conferenza stampa del 6 giugno, «Anche per proteggere gli artisti da un’eccessiva pressione», sostiene Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice della prossima edizione, la tredicesima, di documenta (dOCUMENTA 13) in programma a Kassel dal 9 giugno al 16 settembre prossimi.
Ieri la Christov-Bakargiev si è concessa un diversivo rispetto all’allestimento in corso per volare a Venezia, invitata da Philip Rylands, direttore della Collezione Peggy Guggenheim, a una conversazione con Luca Massimo Barbero.
Ecco il primo dato: la sua nomina risale al 2 dicembre 2008, l’allestimento è in corso da tre mesi: «Un fatto talmente obsoleto, afferma, che mi chiedo se proprio per questo non siamo all’avanguardia». «Come Venezia, rincalza Barbero, obsoleta e all’avanguardia» .
Se nomi non se ne fanno, si registra però una nuova tendenza, specie nei Paesi giovani, asiatici o dell’America Latina: quella di operare una sintesi tra l’oggetto artistico e la persona.
Il punto di partenza è la prima edizione di documenta, del 1955, curata da Arnold Bode.
Carolyn è figlia di un’archeologa e dalla madre ha imparato che niente dura in eterno, ma tutto lascia pur sempre una traccia. Nel 1955 a Kassel c’erano ancora le macerie e si era da poco usciti da una dittatura. Ecco allora il primo dei temi individuati: in quali parti del mondo esiste, oggi, o in tempi recenti, una situazione analoga? In Vietnam, in Cambogia, in Afghanistan, in Libano. Da qui l’invito ai diversi artisti, residenti nei Paesi di origine o in diaspora.
Secondo tema: che cosa si fa se si è su un palcoscenico e non c’è dubbio che Kassel è un palcoscenico? Ecco, tutto è cambiato, altro che il quarto d’ora di celebrità di Warhol. Si è sulla scena 24 ore al giorno. Siamo in un’epoca virtuale. La risposta sta nel ritorno al performativo.
Terzo argomento: che cosa si fa quando si è in uno stato di speranza? Non si crea. È il caso dell’artista egiziano Wael Shawky, troppo impegnato nella rivoluzione del suo Paese. Fino all’ultimo è stata incerta la sua presenza, ma parteciperà con la sua trilogia delle Crociate, presentate dal punto di vista islamico.
Infine: che cosa vuol dire essere in uno stato di ritiro? «Non ho pensato ai soldati, sono una donna, con trascorsi femministi, puntualizza Carolyn, ma quando il mondo è molto agitato è meglio essere meno produttivi». Un esempio? «Morandi».
Ritorno alle origini significa anche ribadire l’impegno civile e politico, che caratterizza documenta. Con una precisazione: che l’opera d’arte non è politica per il suo soggetto, ma se riesce a spaccare la puntualità dello sguardo dello spettatore, come Max Beckmann nei suoi celebri trittici.
Poi i numeri. Documenta XII ha registrato 754.301 visitatori, quasi il doppio dell’ultima Biennale veneziana, sottolinea con malizia. Quanto al budget: tre milioni di euro ciascuno dagli enti pubblici (Città, Land e Stato federale), poi gli sponsor privati Deutsche Bahn, Sparkasse e Volkswagen.
Slow, molto slow, anche la gestione del catalogo. Man mano sono stati commissionati a diversi autori dei quaderni, di formato diverso, di costo diverso, colorati, in numero di 100. Si potrà comprare quelli che più interessano o, in alternativa, il catalogo che li contiene tutti, di 700 pagine.
Carolyn Christov-Bakargiev, analogie e differenze con Catherine David che l’ha preceduta come donna nel 1997 a Documenta X?
Intanto siamo entrambe donne. Un’altra affinità è che Catherine ha messo a confronto artisti di due diverse generazioni: quelli degli anni ’60 e quelli degli anni ’90. Per spiazzare il conformismo neoespressionista.
Una differenza?
L’accentuazione che David aveva fatto sul discorso: adesso il problema si è rovesciato, caso mai è la parola che tende a soppiantare le cose. Per questo occorre cambiare strada e uscire dal discorso. D’altra parte mi rendo conto che i tempi sono cambiati. Ci troviamo, attualmente, in una fase di capitalismo finanziario, ma io preferirei dire numerico, per cui vince chi ha una migliore transazione numerica. Per questo è importante anche un confronto con la scienza. Per carità, non nel senso dei pannelli didattici che spiegano i fatti scientifici o nel senso che lo scienziato e l’artista cooperino a creare, insieme, un’opera d’arte. L’artista, in genere ne è entusiasta; lo scienziato si annoia. Ho invece invitato il fisico quantistico viennese Anton Zelinger insieme ai suoi allievi a creare esperimenti nei cento giorni di Kassel. Siamo in un’epoca di transizione, è bene aprirsi ad altri campi. Per questo ci saranno numerosi partecipanti, in prevalenza artisti, ma non solo.

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da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 20 maggio 2012